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È in corso da alcuni giorni a Milano il processo d'appello sul caso del soldato della guardia nazionale ucraina Vitaliy Markiv, condannato in primo grado a Pavia per l’omicidio di Andy Rocchelli, fotoreporter italiano, morto il 24 maggio 2014 nella zona dell'Ucraina allora occupata da separatisti filorussi insieme Andrej Mironov, dissidente russo ed attivista per i diritti umani.

La sentenza è seguita a un processo surreale, dopo indagini inesistenti e un dibattimento che non ha valutato la totale assenza di prove e testimonianze a carico di Markiv. Poco prima dell’inizio del processo di appello, l’organizzazione russa di cui Mironov faceva parte, Memorial, ha costituito un gruppo di lavoro internazionale e indipendente per analizzare le indagini svolte e l'andamento del processo ed è giunta a conclusioni molto severe sulla reale fondatezza della sentenza.
Pubblichiamo sul tema la traduzione di un lungo “atto di accusa” sul processo di primo grado pubblicato sul Kyiv Post (“How an Italian court undermined the presumption of innocence in Markiv’s conviction”) scritto da Wayne Jordash avvocato e managing partner di Global Rights Compliance LLP e uno dei principali penalisti internazionali del mondo.

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Traduzione di Lucia De Luca Lighea

C'è una credenza comune tra coloro che si interessano ai casi penali che le prove indiziarie siano in qualche modo intrinsecamente deboli o inadatte allo scopo di provare la colpevolezza di un accusato.
Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Le prove circostanziali - prove di una serie di circostanze diverse che, prese insieme, portano a una certa conclusione perché normalmente esisterebbero in quella combinazione solo se tale conclusione fosse corretta - sono gli strumenti di base del processo decisionale nella vita quotidiana. I casi di perseguimento penale non fanno eccezione. La finestra rotta, il DNA su un pezzo di vetro, le impronte dell'accusato sulla scena del crimine, l'impronta digitale sull'arma del delitto e un movente possono suggerire individualmente una conclusione ma, in combinazione, possono distruggere l'alibi e puntare inesorabilmente alla colpevolezza di un imputato, a volte anche più dell'identificazione da parte di un testimone oculare. Un pubblico ministero con una salda presa sulle prove indiziarie è un formidabile oppositore di qualsiasi accusato, colpevole o meno.

Le prove circostanziali possono essere soggette a un uso improprio

D'altra parte, come Markiv ha scoperto nel suo processo in Italia per il presunto assassinio del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli, un tribunale che non si avvicina alle prove circostanziali con cura e obiettività rappresenta una seria minaccia, non solo per la presunzione di innocenza ma anche per la libertà personale. Il problema con le prove indiziarie non è che siano intrinsecamente inaffidabili, ma che in circostanze in cui la pressione pubblica richiede un'azione, siano più inclini a interpretazioni errate o abusi. Quando la tragedia colpisce ed è necessario un capro espiatorio per saziare la domanda pubblica di giustizia, le valutazioni probatorie eque e i diritti fondamentali sono i più a rischio. DNA, impronte, impronte digitali e armi del delitto sono più facilmente interpretati male, o riorganizzati, per assomigliare alla colpa. Le inferenze, tese fino al punto di rottura, possono diventare il punto di partenza di conclusioni che trasformano la nozione di ragionevole dubbio in una fiera ambulante, con conseguenze terribili per la verità e per lo sfortunato imputato.

Andrea Rocchelli ucciso il 24 maggio 2014

Markiv è stato condannato ai sensi dell'articolo 575 del codice penale italiano per l'omicidio del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli nella città di Slovyansk, vicino al monte Karachun. L’"omicidio" è avvenuto il 24 maggio 2014, durante un attentato (che avrebbe presumibilmente coinvolto altri volontari della Guardia Nazionale e soldati dell'esercito regolare ucraino), che ha ucciso anche il collega russo di Rocchelli, Andrey Mironov, e ferito il giornalista francese William Roguelon. Markiv è stato condannato a 24 anni di reclusione. Il caso è ora in appello ed è attualmente all'esame della Corte d'Appello di Milano.
Secondo la decisione della Corte d'Assise di Pavia, la giuria ha stabilito le seguenti circostanze:

Il 24 maggio 2014, tre giornalisti, Rocchelli, Mironov e Roguelon, si sono recati nel sito della fabbrica di ceramiche Zeus nella città di Slovyansk, vicino alla collina di Karachun. La città all'epoca era occupata dalle forze speciali russe e dai loro delegati locali, e la fabbrica e il passaggio ferroviario (che segnavano la linea del fronte) erano controllati da loro. Le forze ucraine, sia la Guardia Nazionale che l'esercito, erano di stanza a circa due chilometri di distanza sulla collina di Karachun che domina Sloviansk, a difesa di una torre televisiva. Dopo essere scesi dal taxi e aver camminato verso il ponte della ferrovia per scattare fotografie, un individuo disarmato è apparso, gridando ai giornalisti l’avvertimento: ''cecchino''. La giuria ha scoperto che è stato a quel punto che la Guardia Nazionale li ha sottoposti a un attacco concordato, usando armi AK-74, sapendo che erano giornalisti e non combattenti.
In poche parole, è stato affermato che Markiv faceva parte delle forze situate sulla collina, con una visione completa del terreno e dei giornalisti. La corte ha ritenuto accertato che fosse dotato di un mirino ottico per consentire di mirare a bersagli distanti. Secondo la convinzione della giuria, Markiv ha riconosciuto il gruppo come giornalisti e ha puntato il suo AK-74 "contro i giornalisti nelle vicinanze del muro della fabbrica Zeus, con cadenza a raffiche, mediante tiro a saturazione senza traguardare in modo mirato per cui bersagliò con il maggior volume di fuoco disponibile le vittime". Quando gli AK-74 non sono riusciti a colpire i giornalisti, Markiv ha seguito i loro movimenti attraverso i suoi mirini ottici e ha diretto i membri dell'esercito ucraino in modo che potessero colpire i giornalisti con i mortai, portando alla morte di Rocchelli e Mironov. Secondo la giuria, "solo dalla sua postazione [di Markiv] poteva indicare con tale precisione, servendosi di un mirino che gli consentiva di focalizzare le vittime, dirigendo via via i colpi verso il bersaglio".

Un caso in metamorfosi contro Markiv

Il caso contro Markiv è stato costruito sulla base di prove circostanziali. È stato un caso in metamorfosi, per non dire altro. Il caso originale dell'accusa durante il processo era che Markiv stesso aveva ucciso i giornalisti con un mortaio. Durante il processo sono emerse prove che hanno dimostrato l'impossibilità di ciò: Markiv, in quanto membro della Guardia Nazionale, non aveva accesso ai mortai. Invece di abbandonare l'accusa, come sarebbe stato normale in molte giurisdizioni penali, l'accusa continuò, a prescindere da ciò. Comunque sia, in entrambi i casi il procuratore non è stato in grado di fare affidamento su un singolo testimone che avesse visto Markiv in grado di commettere il crimine al momento rilevante, ancor meno di uno che lo aveva visto sparare un solo colpo o lo aveva sentito fornire eventuali coordinate per le forze dell'esercito ucraino. Nonostante gli ovvi rischi per il concetto di responsabilità individuale da un caso così mutante e fragile, il tribunale ha concluso che le prove indiziarie stabilivano non solo che Markiv era presente sulla montagna, ma che lui, e lui solo, aveva la funzione di guidare i mortai ed era in una posizione unica per farlo.

Gravi violazioni del giusto processo

Non sorprende che la condanna della giuria sia caratterizzata da gravi violazioni del giusto processo. Lo scopo di questo articolo non è quello di riassumere la totalità delle violazioni del processo equo o di sostenere in altro modo l'annullamento del verdetto. Possiamo solo sperare che gli avvocati italiani di Markiv lo facciano, e lo facciano bene. Invece, questo breve contributo al dibattito si concentra su una questione più fondamentale: se, in assenza di prove dirette di presenza e partecipazione al momento rilevante, le prove fossero in realtà addirittura in grado di provare il caso oltre ogni ragionevole dubbio. Questa non è una questione meramente tecnica. È una questione profonda che deve essere affrontata in ogni processo penale. Se le prove non sono in grado di stabilire le azioni e lo stato mentale corrispondente oltre ogni ragionevole dubbio, non importa quanto sospetti possano sembrare i singoli pezzi, da soli o in combinazione, il caso deve essere archiviato. Chiedere all'imputato di rispondere ad accuse che sono incapaci, se prese al massimo, di assolvere l'onere dell'accusa di provare il caso oltre ogni ragionevole dubbio, non è solo una violazione del diritto al silenzio e un'inversione dell'onere della prova, ma un passo lungo la strada verso gravi errori giudiziari. Nessuna risposta è richiesta se non esiste alcun caso.
Al fine di dimostrare la tesi dell'accusa contro Markiv, l'accusa ha dovuto stabilire quattro elementi principali:
Primo: che la parte ucraina (e non quella filo-russa) era responsabile dell'omicidio dei giornalisti nel momento in questione.
Secondo: la presenza di Markiv nel giorno in questione sulla montagna.
Terzo: la partecipazione di Markiv alla sparatoria iniziale e il coordinamento della sparatoria (presunta mortale) che ha causato la morte dei giornalisti.
Quarto: che le sue azioni avevano lo scopo di uccidere i giornalisti.

Ognuno di questi elementi doveva essere stabilito oltre ogni ragionevole dubbio.

Come definito da Lord Denning, un rinomato giurista inglese, la prova oltre ogni ragionevole dubbio non significa la prova oltre l'ombra del dubbio, ma “(se) la prova è così forte contro un uomo da lasciare solo una remota possibilità a suo favore, che può essere respinta con la frase, "ovviamente è possibile, ma non per nulla probabile", il caso è provato oltre ogni ragionevole dubbio, ma niente di meno sarà sufficiente”.

In altre parole, le prove circostanziali della presenza di Markiv, la consapevolezza di un piano per uccidere i giornalisti e la partecipazione a quel piano con l'intenzione pertinente, dovevano essere in grado di fornire una prova a quello standard. Le prove dovevano essere, in primo luogo, in grado di dimostrare che l'affermazione di Markiv di non essere stato presente o di non aver partecipato (con o senza intenzione) era possibile ma per nulla probabile e poi, in secondo luogo, stabilire, alla luce dell’integrità delle prove (comprese le prove della difesa), che quella colpevolezza è stata effettivamente stabilita.

La corte fa un gigantesco “salto nel buio”

Come mostra un esame delle prove circostanziali invocate per condannare Markiv, le prove erano, per legge, incapaci di stabilire la colpevolezza. Avendo scoperto che la parte ucraina era responsabile di aver sparato ai giornalisti, con AK-74 e mortai, il tribunale ha compiuto un gigantesco salto nel buio. In mancanza di qualsiasi prova diretta del coinvolgimento di Markiv, il tribunale ha semplicemente presunto che, dei 100 uomini dell'esercito ucraino e dei 30-40 soldati della Guardia nazionale (di solito) situati sulla montagna (lungo un fronte di 100 metri e ad una distanza di 10-15 metri l'uno dall'altro), Markiv deve essere stato l'uomo responsabile dell'attacco dell'AK-74 e del coordinamento dell'attacco mortale con i mortai. Quel salto – cioè che Markiv è stato posizionato singolarmente per essere in grado di guidare l'attacco e lo ha fatto, con l'intenzione di uccidere - è un'illustrazione da manuale di un'inversione dell'onere della prova in un procedimento penale. Comprendeva la fusione di prove - che tendevano a suggerire che Markiv avrebbe potuto essere responsabile - con prove che erano in grado di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che era effettivamente responsabile.
Anche se sussistevano gravi difetti nell'analisi del primo elemento da parte della giuria, era la parte più ragionevole e persuasiva della condanna di Markiv.

Principalmente, sulla base della testimonianza del testimone oculare di un uomo, Roguelon, la corte ha ritenuto che fosse la Guardia Nazionale dell’Ucraina, che agiva di concerto con l'esercito ucraino - e non la parte filo-russa -, a essere responsabile, e tali attacchi fossero deliberati e non nel bel mezzo della battaglia. Secondo la giuria, non c'era spazio per sbagli o errori di identificazione: le vittime chiaramente non erano combattenti ma facilmente riconoscibili come giornalisti. L'attacco è iniziato solo dopo che sono stati riconosciuti. In effetti, la giuria ha adottato la stessa "intima convinzione di Roguelon che non fossero filo-russi" a sparare.
Secondo la giuria, le prove fornivano “da un punto di vista logico…. molte considerazioni fondamentali sull'attribuzione dell'attacco alla fazione ucraina".
Tuttavia, per arrivare a questa conclusione, la giuria ha dovuto ignorare le prove più convincenti sulla questione: prove video contemporanee registrate da Mironov.
All'inizio della sparatoria, i giornalisti hanno cercato di scappare nascondendosi nel sottobosco. In quel momento, Mironov, parlando con un tassista che si era nascosto accanto a lui in un fosso, ha dichiarato che erano stati presi nel "fuoco incrociato da entrambi i lati", che c'era "qualcuno seduto vicino e che sparava con tutto ciò che aveva", incluso un mortaio, e dalla collina sparavano mitragliatrici pesanti e mortai.
Questa prova era di fondamentale importanza per due ragioni. Era rilevante per la questione di quale fazione fosse responsabile della sparatoria. Ma era anche rilevante per il quarto elemento dell'accusa, vale a dire se la sparatoria avesse lo scopo di uccidere i giornalisti o se (come suggerito da Markiv) fossero vittime accidentali di fuoco incrociato o vittime di aggressioni filo-russe.
Le prove contemporanee di questo tipo in un processo penale di solito hanno un peso significativo. A causa della loro immediatezza e spontaneità, è altamente improbabile che siano stato fabbricate o altrimenti indebolite dalle fragilità della memoria o da traumi successivi.
Insieme all'errata caratterizzazione del contesto storico da parte della giuria (che gli eventi si sono verificati il ​​24 maggio 2014, in seguito alla dichiarazione di indipendenza dell'Ucraina), e alla riluttanza a considerare le ramificazioni della scena come una prima linea più in generale, la giuria sembra aver ignorato volontariamente questa prova.
Tuttavia, questa analisi era ancora la parte più ragionevole delle conclusioni della giuria.
Le prove erano almeno in grado di supportare la conclusione, anche se la loro conclusione era basata su un'analisi che sembrava trascurare le prove più rilevanti e probatorie.
Lo stesso non si può dire delle prove dell'effettiva presenza, coinvolgimento e intenzione personale di Markiv.
In relazione a questi ultimi tre elementi, in mancanza di prove dirette che Markiv fosse presente e agisse nel modo presunto, la giuria ha esaminato una serie di prove che erano rilevanti e probanti del solito posto, funzione e posizione di Markiv.
Nella sentenza, la giuria ha diviso queste prove in due parti: in primo luogo, prove indiziarie che indicano l'ubicazione di Markiv e il presunto comando (compreso il ruolo di coordinatore dei mortai) e, secondo, una presunta confessione extragiudiziale che è stata considerata la "principale" prova che attestano la presenza di Markiv nel giorno in questione.
Come verrà discusso, la giuria non ha compreso che, da sole o in combinazione, queste prove erano, per la legge, del tutto insufficienti per risultare oltre ogni ragionevole dubbio. Come accennato, era una prova che Markiv avrebbe potuto essere presente e come risultato della sua funzione avrebbe potuto partecipare come affermato. Niente di più, niente di meno.

Per quanto riguarda le prove circostanziali della posizione e del comando, la giuria ha esaminato una serie di circostanze. Ciò includeva le prove stesse di Markiv che i suoi doveri lo ponevano ordinariamente sulla montagna di Karachun nel maggio 2014; che la Guardia Nazionale, di cui faceva parte, aveva il compito di difendere l'antenna televisiva dalle forze filo-russe; che avrebbero agito insieme all'esercito ucraino in caso di attacco; che la Guardia Nazionale aveva fucili d'assalto Kalashnikov AK-74 e l'esercito usava mortai (che richiedevano assistenza coordinata per dirigere il loro obiettivo); e che diverse settimane prima degli eventi gli era stata assegnata una posizione fissa sulla montagna che sarebbe stata ruotata ogni quattro ore.
In mancanza di prove dirette che Markiv fosse persino in grado di puntare un AK-74 (con una portata precisa di massimo 600-800 metri) oltre la distanza di 1.700 metri dal suo solito posto di montagna, per non parlare di dirigere il fuoco del mortaio, la giuria ha fatto affidamento su una serie di prove circostanziali.
La principale prova del comando e della funzione consisteva nella testimonianza di una giornalista, Ilaria Morani (che ha riferito che Markiv si era presentato, poco dopo le uccisioni, come Capitano e quindi in un ruolo di comando) e in una serie di fotografie scattate in altre occasioni che erano indicative dell'affermazione che Markiv potrebbe (normalmente) svolgere la funzione di "osservatore" all'interno della Guardia Nazionale, una funzione coerente con la partecipazione presunta per coordinare il fuoco di mortaio.
Queste includevano fotografie che suggerivano che potesse essere un "soldato qualificato" rispetto ad altri nella sua unità; che era stato in possesso di un AK-74 con ottica (in grado di facilitare il suo presunto ruolo di coordinatore); e che ha usato una radio (presumibilmente non posseduta da altri membri della Guardia Nazionale, che gli conferiva la capacità di comunicare le coordinate degli obiettivi all'esercito ucraino).
Per quanto riguarda la location, la giuria ha attribuito un peso significativo a un video che Markiv aveva ripreso l'8 giugno 2014, più di due settimane dopo la sparatoria. Sembrando invertire l'onere della prova, la giuria ha concluso che le immagini mostrate nel video non solo riprendevano Markiv con la radio necessaria per confermare il suo comando e lo stato del ruolo, ma, alla luce delle prove che i soldati della Guardia Nazionale dovevano mantenere il loro designato post, davano "una descrizione accurata delle funzioni di Markiv sulla collina e del luogo in cui si trovava, dato che non ci sono immagini che lo mostrerebbero in altri luoghi, in altre posizioni".
Non è necessario essere un avvocato penalista per vedere che questi frammenti di prove non erano in grado di stabilire che Markiv era presente il giorno presunto. Anche prendendo le prove al massimo, queste erano in grado di dimostrare solo che se Markiv fosse stato presente, avrebbe potuto ricoprire il ruolo presunto.
Non avrebbero potuto stabilire una presenza effettiva sulla montagna nel momento in questione, per non parlare della partecipazione alla presunta condotta criminale o della sua intenzione di uccidere.

Le prove principali erano deboli

Riconoscendo l'inadeguatezza di queste prove, la giuria si è concentrata sul resto delle prove. Il caso dell'accusa si basava su una conversazione che Markiv avrebbe avuto con un giornalista italiano subito dopo l'incidente che il tribunale considerava una "confessione stragiudiziale".
Il tribunale ha concluso che la certezza che l'imputato fosse sulla montagna nel giorno in questione deriva principalmente dalle dichiarazioni dei giornalisti italiani ai quali ha trasmesso informazioni. Era la prova principale contro Markiv, ma non perché fosse una prova convincente. Al contrario, era intrinsecamente debole e inadatta al compito da svolgere. Come mostra un esame della presunta "confessione" di Markiv, nella sua forma più incriminante, questa era semplicemente incapace di dimostrare l'effettiva partecipazione a un crimine così atroce, per non parlare di stabilire l'intento criminale richiesto.

“Qui non c’è un fronte preciso"

Le prove in questione si basavano su una conversazione telefonica presumibilmente avuta da Markiv con un giornalista italiano chiamato Fauci la sera dopo l'incidente. Quella conversazione è stata a sua volta ascoltata da un’altra giornalista italiana, Morani, che stava ascoltando in viva voce. Subito dopo la telefonata ha parlato con Fauci anche un’altra giornalista, Volpi. Morani ha scritto un articolo per il quotidiano italiano "Corriere della sera", presumibilmente basato sulla conversazione che ha sentito. L'articolo, intitolato “Ucraina, il racconto del capitano «Ecco come è morto Rocchelli»”, riportava le parole di quello che avevano definito "un capitano dell'esercito che in quel momento era sulla torre a coordinare la difesa della città".
Secondo Morani, Markiv ha dichiarato: “Qui non si scherza, non bisogna avvicinarsi: questo è un luogo strategico per noi". Ha spiegato in dettaglio come il “capitano” avesse affermato: “Normalmente noi non spariamo in direzione della città e sui civili, ma appena vediamo un movimento carichiamo l'artiglieria pesante. Così è successo con l'auto dei due giornalisti e dell'interprete. Noi da qui spariamo nell'arco di un chilometro e mezzo. Qui non c'è un fronte preciso, non è una guerra come la Libia. Ci sono azioni sparse per tutta la città, attendiamo solo il via libera per l'attacco finale".

Il ricordo della conversazione di Fauci era alquanto diverso. Fauci ha testimoniato di aver chiesto a Markiv della sorte del suo collega. Markiv avrebbe risposto dicendo che "non aveva notizie specifiche della persona che era stata colpita, ma sapeva che c'erano stati degli scontri e dei
combattimenti, probabilmente con dei caduti, con delle persone morte".

Fauci ha anche ricordato che Markiv ha confermato di essere sulla montagna e “da quella posizione lui e i commilitoni avevano sparato contro ogni cosa che si muoveva. Aggiungeva che era a conoscenza del fatto che vi fossero state delle vittime. Mi consigliava caldamente di non recarmi in loco".

Tuttavia, interrogato sul contenuto dell'articolo di Morani, Fauci ha dichiarato di non averne memoria (ammissione parziale). Ha dichiarato: "Confermo solo di ricordare che in quella telefonata, questa persona - Markiv - che, secondo lui, comandava l'ufficio della Guardia Nazionale, riferì che in quei giorni sparavano a tutti".
Fauci ha confermato che: "Non so se il contenuto riportato nella sua telefonata sia vero o no. Sicuramente sapeva cosa è successo lassù su quella montagna". Le prove di Volpi erano ancora più a sostegno del caso di Markiv (l'articolo di Morani e le prove successive non sarebbero state altro che il prodotto di una fertile immaginazione e di una licenza creativa).
Volpi si è limitata a ricordare che Fauci le aveva detto di aver parlato con Markiv in merito all'incidente e che Markiv gli aveva detto: "Questa zona è pericolosa, avevamo detto di non avvicinarvi".

Racconti incoerenti

La giuria ha affermato che non ci sono state "controversie significative" riguardo a queste dichiarazioni. Eppure niente potrebbe essere più lontano dalla verità.
Mettendo da parte il fatto che Morani ha ricordato la conversazione avvenuta attraverso l’altoparlante (in viva voce) in un bar di Donetsk in inglese e italiano e Fauci ha ricordato una conversazione in italiano nell'appartamento in affitto di Morani, la giuria ha ignorato le differenze significative nei loro racconti.
Come si può vedere, il racconto di Morani colloca Markiv tra un gruppo di militari ucraini che sparano contro i giornalisti, e il racconto di Fauci, sebbene soffra di incoerenza interna, sembra suggerire che Markiv possa aver avuto solo conoscenza dell'attacco. Volpi ha corroborato questa interpretazione della telefonata contestata.
Alla luce dello standard e dell'onere della prova, i resoconti di Fauci e Volpi non potevano essere ignorati. Hanno confermato la versione degli eventi di Markiv. La giuria non poteva semplicemente selezionare il racconto che era più incriminante e tralasciare quelli che hanno minato la causa dell'accusa. Per lo meno era necessaria una spiegazione, non un'affermazione falsa che non ci fossero controversie.
In ogni caso, e questo è il punto più saliente di tutti; anche il racconto più incriminante di Morani non poteva essere letto come una vera confessione. Nella migliore delle ipotesi, era ambiguo. Ha ragionevolmente due significati: che Markiv potrebbe essere stato tra gli uomini che hanno sparato ai giornalisti o che stava parlando più in generale dell'incidente.
Il fatto che tutto ciò che Markiv ha detto riguardasse "noi" e non "io" non ha permesso di risolvere questa ambiguità, in un modo o nell'altro. Qualunque fosse l'interpretazione corretta, si trattava di una conversazione incapace di distinguere o identificare Markiv come partecipante specifico tra i 30 o 40 soldati della Guardia Nazionale o il suo intento di uccidere dei giornalisti (e non dei combattenti), specialmente quando le prove hanno stabilito che gli uomini sulla montagna, Markiv compreso, sono stati ruotati dalle loro posizioni abituali ogni quattro ore, con quattro ore di osservazione attiva, quattro ore di riserva e quattro ore di riposo.
Mettendo da parte l'ambiguità e la fragilità delle prove principali, queste rotazioni hanno creato un problema probatorio insuperabile per l'accusa: anche se le prove circostanziali hanno posto Markiv sulla montagna al momento rilevante, il che è altamente in dubbio, come potrebbero stabilire che non fosse di riserva o di riposo?
Markiv potrebbe non essere stato in servizio attivo. Anzi, potrebbe anche essere stato a dormire!
Una lettura del giudizio della giuria mostra che ha riflettuto su questo tema e ha sottolineato la gravità del problema. I giurati hanno notato che un "elemento a favore del prevenuto avrebbe potuto essere l'ordine di servizio o la rotazione dei turni" ma che nessuno dei militari è stato in grado di fornire questa prova.
Il modo in cui la corte ha affrontato questa mancanza di prove la dice lunga. Affinché la presunzione di innocenza significasse qualcosa, la Corte era tenuta a concedere a Markiv il beneficio del dubbio.
Era compito dell'accusa fornire queste prove, non del governo ucraino e certamente non di Markiv. Non c'era caso senza queste prove. Invece, contrariamente ai fondamenti della procedura penale, il tribunale ha concesso all'accusa il beneficio del dubbio: Markiv avrebbe potuto essere in servizio attivo, quindi era di fatto responsabile dell'omicidio.

Wayne Jordash, avvocato e managing partner di Global Rights Compliance LLP, ha analizzato il verdetto del tribunale italiano nel caso Vitaliy Markiv. Jordash è stato descritto nel Legal 500 UK 2017 come uno dei principali consiglieri della Regina e uno dei principali avvocati penalisti internazionali del mondo. Ha lavorato in tutti i principali tribunali penali internazionali negli ultimi due decenni, rappresentando governi, leader militari e politici e vittime. Ha rappresentato il governo serbo presso la Corte internazionale di giustizia, il governo libico (post-rivoluzione), le vittime dei Rohingya presso la Corte penale internazionale e l'ex capo della sicurezza dello stato della Serbia presso il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia .