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La Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, riunita a Roma nel XXXV Congresso, ha eletto all’unanimità Antonio Stango nuovo presidente nazionale. Politologo, storico, fondatore nel 1987 insieme con Paolo Ungari del Comitato Italiano Helsinki per i diritti umani, Stango ha diretto progetti e condotto missioni in numerosi Paesi e aree di crisi per diverse organizzazioni internazionali, fra le quali “Freedom House” e la “International Helsinki Federation”, ed è stato esperto per la Commissione europea. Membro del Direttivo di “Nessuno tocchi Caino”, nell’ultimo anno ha coordinato per Ensemble contre la peine de mort il Congresso mondiale contro la pena di morte, svoltosi ad Oslo lo scorso giugno. Antonio Stango succede ad Alfredo Arpaia, già deputato repubblicano, che l’ha guidata dal 2002 e che è stato acclamato presidente onorario. Il lavoro di Stango nel prossimo futuro sarà molto incentrato nella formulazione e attuazione di progetti umanitari, anche sul campo e attraverso la ricerca accademica e giuridica. Ascoltiamo il dottor Stango per comprendere al meglio cosa aspettarsi dalla LIDU nel corso dei prossimi mesi.

Partire dalle scuole è un obiettivo da realizzare in ogni regione dove la LIDU è presente, una richiesta emersa dal congresso. Che idee e progetti futuri ci puoi accennare?

Fra gli iscritti alla LIDU vi sono molti docenti di scuole superiori e dirigenti scolastici, che contribuiranno a ridisegnare e ampliare un programma di informazione e dibattito sui diritti umani nelle scuole che è già stato avviato con ottimi risultati negli anni scorsi. Inoltre da gennaio avremo due giovani ricercatrici in servizio civile che sono state selezionate come collaboratrici del progetto per un anno. Questo è tanto più importante considerando che nel sistema scolastico italiano manca da troppo tempo, purtroppo, anche la semplice educazione civica, che a mio avviso dovrebbe essere una struttura portante della preparazione alla vita sociale e alla responsabilità individuale. Ricordo spesso che la LIDU nacque nel 1919 come risultato di un percorso di impegno per i diritti umani iniziato già nella seconda metà dell’Ottocento in ambienti mazziniani, e quindi formati sul pensiero di chi scrisse, fra l’altro, “I doveri dell’Uomo”. Diffondere la conoscenza dei diritti umani, attraverso la spiegazione dei principali documenti internazionali in materia e della loro applicazione o mancata applicazione nella realtà, va per noi di pari passo con l’invito alla consapevolezza della responsabilità di ciascuno.

Recentemente hai dichiarato che vorresti istituire un corso superiore per i diritti umani e per la gestione di progetti per una ventina di laureati o studenti universitari, basato su una metodologia che hai elaborato nel corso degli anni e che per alcuni giovani potrebbe far scoprire opportunità anche sul piano lavorativo. Ti invito ad approfondire, di cosa si tratta?

Moltissimi giovani si avvicinano alla LIDU o a me personalmente chiedendo come acquisire una maggiore preparazione teorico-pratica nel campo della protezione internazionale dei diritti umani. Il percorso universitario, in particolare nelle materie giuridiche e storico-politiche, fornisce una buona base per questo, ma ritengo che occorra facilitare l’integrazione fra la conoscenza accademica e il lavoro sul campo. Ho tenuto corsi superiori sui diritti umani e il diritto internazionale umanitario in Italia e in altri Paesi, e fra l’altro ho disegnato e diretto tre diversi corsi in Kazakistan (approfondendo anche le tecniche di advocacy e di gestione di ONG), organizzato una scuola estiva di educazione ai diritti umani in Libano e insegnato in Uzbekistan e in Kirghizistan, con un metodo che favorisce l’interattività. L’esperienza mi ha consentito di comprendere cosa serve maggiormente a chi intenda arricchire il proprio curriculum con la frequentazione di un corso di questo tipo, conseguendo anche un attestato finale e in molti casi scoprendo nuove possibilità di avviamento a una carriera che richiede competenze, impegno e a volte sacrifici, ma che può essere entusiasmante.

La LIDU realizzerà adeguate azioni di monitoraggio, denuncia o appello, contribuendo al sostegno dei diritti umani insieme con altre organizzazioni in Paesi dove c’è ancora una forte repressione. Puoi anticiparci che idee hai per le prossime missioni internazionali sul campo?

Anche grazie a un rafforzamento della LIDU, con nuove iscrizioni e con il contributo di chi intende sostenere il nostro lavoro, saremo in grado di condurre iniziative, oltre che in Italia, in alcuni Paesi dove la solidarietà internazionale è fondamentale per individui o associazioni per i diritti umani che si trovano in grande difficoltà, o perché vittime di repressione o semplicemente perché prive di competenze specifiche necessarie. Quest’ultimo caso può essere, ad esempio, quello di alcuni dei Paesi africani che, con una missione di Nessuno tocchi Caino nell’ambito della campagna per la moratoria universale delle esecuzioni, ho visitato in novembre insieme con due iscritte sia a questa associazione che alla LIDU (Eleonora Mongelli e Yuliya Vassilyeva). Il partenariato con ONG sorelle, con molte delle quali abbiamo anche relazioni formali attraverso la Fédération Internationale des Droits de l’Homme, ci aiuterà molto in questo. Inoltre ritengo che, anche sollecitando i meccanismi di dialogo di istituzioni come il Consiglio d’Europa e la OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), potremmo insieme con Nessuno tocchi Caino occuparci – fra l’altro – dell’unico Paese in Europa che ancora mantiene la pena di morte e che non osserva una moratoria: la Bielorussia. Certamente ci occuperemo anche di una delle questioni internazionali di maggiore impatto sociale e politico, cioè le ondate migratorie, con l’analisi delle loro cause e la ricerca di soluzioni razionali, nel pieno rispetto del diritto internazionale umanitario e delle valutazioni di fattibilità; e in questo ci farà da guida la nostra decisa propensione federalista europea, dato che abbiamo ben presente che si tratta di una crisi epocale che non può essere affrontata da un solo Paese, per quanto ricco di buone intenzioni sia.

Che ruolo futuro immagini per la LIDU sul piano internazionale, giuridico e accademico?

Amplieremo ancora le nostre relazioni di collaborazione con numerose Università, sia in Italia che all’estero, oltre che con l’avvocatura che è per noi un partner naturale; e svilupperemo ulteriormente l’attenzione ad alcune delle principali istituzioni che svolgono un ruolo importante nel nostro campo. Penso, fra l’altro, ai Parlamenti italiano ed europeo, al Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, alla Corte Europea di Strasburgo, all’Office of Democratic Institutions and Human Rights della OSCE, all’Alto Commissariato per i diritti umani e a quello per i rifugiati delle Nazioni Unite e – pur con tutti i suoi gravi limiti – allo United Nations Human Rights Council. Tutto questo, insieme con la realizzazione di progetti comuni con altre ONG qualificate in diversi Paesi, ci consentirà una proiezione internazionale oltre che una rinnovata incisività in Italia. Considero inoltre importante che si giunga finalmente alla nascita dell’Istituzione Nazionale indipendente per i Diritti Umani, per la quale esiste da tempo un disegno di legge in Parlamento, che sarà un ponte di grande rilievo fra organi dello Stato e società civile e alla quale sono convinto che la LIDU, che ne indicò la necessità fin dai tempi del compianto Paolo Ungari, possa dare un contributo significativo.