Presepe

Dovevamo aspettarcelo: contro il preside di Rozzano è stato operato un linciaggio mediatico bipartisan, da parte di intellettuali moderati come Michele Serra e politici estremisti come Matteo Salvini. Ma il preside di Rozzano è probabilmente solo il primo dirigente scolastico a essere stato costretto a dimettersi non per aver fatto male il suo lavoro, ma per polemiche su social e tv. Forse siamo in astinenza da casi Cogne. Forse i venti di guerra e le ventate di terrorismo richiedono auto da fé tribali. Ad ogni modo, se non fosse stato il preside di Rozzano, sarebbe toccato a qualcun altro.

A parte queste considerazioni amare, da straniero in patria, non intendo commentare nel merito quello che è successo nella scuola di Rozzano, in particolar modo perché non sappiamo i fatti né addirittura se ci siano stati dei “fatti” di cui parlare. Quel che sappiamo con certezza è che l’informazione mainstream ci tiene a parlarci a luglio delle ondate di caldo e a Natale delle scuole che non fanno il presepe. È di stagione. M’interessa invece parlare di come un paese formalmente laico possa affrontare le diverse sensibilità religiose, in particolare a scuola.

Da questo punto di vista l’Italia è indietro per la sua tradizionale ambiguità cerchiobottista. Se l’Italia è infatti un “paese cattolico”, è anche vero che è un paese di straordinaria ignoranza sulle questioni religiose, incluse quelle cattoliche. Chi appartiene a una minoranza religiosa, come chi scrive, ha constatato nella sua vita giorno dopo giorno, anno dopo anno, incontro dopo incontro, quanto l’analfabetismo religioso sia radicato in Italia, soprattutto nella massa, in chi si definisce cattolico ma non conosce neanche il nome del proprio parroco, figurarsi la dottrina della transustanziazione. Anche l’ateismo italiano non scherza e il fenomeno nostrano degli atei devoti lo dimostra.

L’ignoranza è un male che genera male. Lo vediamo ogni anno nelle polemiche contro le scuole su presepi, alberi di Natale e recite. Tra parentesi, visto che siamo sempre più abituati a non rispettare le stagioni, si sono inventati la bufala del gender, in modo da poter fare polemiche sterili contro le scuole tutto l’anno. La scuola è il primo nemico dell’ignoranza. Inutile a dirsi, la scuola non è perfetta e se l’ignoranza la fa da padrona qualche responsabilità c’è anche nel sistema educativo. Tuttavia, questi attacchi non servono a migliorare la scuola, ma anzi a creare trincee e diffidenze verso la formazione e la cultura.

La società italiana — e la scuola che ne è espressione — è impreparata al pluralismo religioso. Questo è il modus operandi dell’Italia: se non parlo del fenomeno, esso non esiste. Basti pensare alla visione idiota di chi crede che basti non riconoscere le famiglie diverse da quella tradizionale per non averne. La società italiana crede ancora che la popolazione sia costituita da cattolici praticanti e non praticanti — strano che per loro non si usino le parole “moderati ed estremisti”—. Se non rientri in questo schema, non esisti o al massimo puoi appellarti alla tolleranza del re, che non è più il cristianissimo monarca, ma il popolo sovrano che, però, non concede la tolleranza, ma la mercanteggia: tu accetta il mio crocifisso e io accetterò la tua esistenza. 

In questo contesto, insegnanti e dirigenti scolastici sono costretti a sperimentare, un po’ come Colombo che, a naso, diceva di continuare a navigare a ovest. Affrontare la realtà diventa allora come il passaggio delle Colonne d’Ercole: un tabù o, per restare in tema, un’eresia. Bisogna allora rompere questo schema e partire dal fatto che o la scuola è il luogo deputato a parlare delle cose in massima libertà, sicurezza e anche riservatezza oppure si riduce ad agenzia di informazione. La scuola deve rendere attenti gli alunni al mondo che li circonda, affinché un giorno siano adulti liberi e consapevoli. Ecco perché in autunno si chiede ai bambini di portare una foglia caduta in classe: osserva, discuti e impara.

Immaginate ora una scuola dove si appendano degli oggetti al muro, si costruiscano dei paesaggi esotici con angeli nel cielo e si cantino delle canzoncine, senza discuterne, senza parlarne: è la scuola che vorrebbero molti e, in molti casi, è già realtà. Tanti anni fa al Liceo l’insegnante di religione cattolica — da protestante non mi avvalevo del suo insegnamento — m’invitò a restare in classe per una volta per parlare di un argomento a mia scelta. Accolsi il suo invito e le chiesi perché doveva esserci il crocifisso appeso dietro la cattedra. La maggior parte dei protestanti, infatti, non usa immagini di Gesù e nella chiesa dove sono pastore c’è una croce vuota, simbolo della vittoria di Cristo sulla morte. Devo dire che vent’anni fa si poteva parlare di queste cose senza rischiare linciaggi. Non ci fu però risposta. Il crocifisso è lì perché ci deve stare. Tutto quello che è in classe ha un senso: le sedie, la cattedra, la lavagna, la mappa geografica. In scuole dove i bagni non hanno la carta igienica o il soffitto è pericolante, il crocifisso non ha bisogno di giustificarsi. È un simbolo di potere: qui comando io e tu sei tollerato. Non ci stupiamo allora se, tra chi difende crocifissi, presepi e recite di Natale, ci siano anche persone che coltivano sentimenti ben poco cristiani di xenofobia, omofobia, misoginia. Se il messaggio è: se non ti sta bene, zitto e subisci, questi sono i risultati.

Ma allora, una scuola laica deve essere purificata da ogni accenno alla religione? Assolutamente no. Bisogna però imparare a discuterne. Come per la foglia morta a settembre, bisogna discutere del perché la scuola è sospesa tra il 24 dicembre e il 6 gennaio. Questo non per indottrinare, ma perché bisogna conoscere il mondo e leggere la realtà, per poter alla fine dire che cos’è una tradizione e come ci si relaziona ad essa. L’ignoranza del fatto religioso promossa dalla nostra società ci rende estranei all’Europa (Che significa “Ce lo chiede l’Europa”? Un fiorentino direbbe mai “Ce lo chiede la Toscana?”), ci rende estranei ai migranti che continuiamo a considerare solo come bocche da sfamare o braccia da sfruttare e non come a uomini e donne portatori di senso e cultura.

Questo è un sistema che non funziona e lo vediamo sia nell’afasia o logorrea — due facce, un’unica medaglia — di fronte a fatti gravi come gli attacchi di Parigi o le decapitazioni nemiche dell’ISIS e “amiche” dell’Arabia Saudita, sia quando il rifiuto della carne di maiale in una mensa scolastica diventa una questione di stato, come se il buon bambino cristiano dovesse mangiare braciole e salsicce tutti i giorni (salvo poi prendere in giro i tedeschi che fanno colazione con würstel e prosciutto). Purtroppo manca una politica colta e lungimirante, in grado di costruire e non solo di cavalcare i malumori del popolo sovrano.