giroisraele

Si è conclusa domenica 6 maggio una storica tre giorni che ha portato il Giro d’Italia per la prima volta fuori dai confini europei: per la partenza dell’evento, infatti, il direttore Mauro Vegni e gli organizzatori di RCS Sport hanno scelto Israele. L’evento è stato accolto da un entusiasmo fuori dalle righe da parte degli Israeliani, a cominciare dal premier Netanyahu intervenuto con tanto di maglia rosa addosso durante la tappa di apertura di venerdì a Gerusalemme, fino alla gente comune accorsa lungo le strade del Paese che è stato attraversato in lungo e largo (letteralmente, al netto ça va sans dire dei Territori Palestinesi) dal gran circo del Giro.

Il prologo, una cronometro individuale di 10km lungo le tortuose strade della controversa Capitale, è stata seguita da due lunghe tappe di pianura (da Haifa a Tel Aviv sabato, da Ber Sheva a Eilat domenica). Restano negli occhi le spettacolari immagini della corsa, al di là della comunque appassionante cronaca sportiva che ha visto prevalere il campione in carica Tom Dumoulin nella crono e poi due volte il veronese Elia Viviani: il panorama mozzafiato di Gerusalemme, l’anfiteatro romano di Cesarea, i grattacieli di Tel Aviv fino al maestoso deserto del Negev e ai resort sul Mar Rosso di Eilat.

 

L’impatto sociale

L’evento è stato fortemente voluto da Sylvan Adams, miliardario attivo nell’immobiliare di origine canadese, un filantropo che ha finanziato il primo velodromo del medio oriente e supporta il Comune di Tel Aviv nel potenziamento della rete di piste ciclabili. “Cycling is already the fastest growing recreational sport in Israel” dice al Guardian. “But we also have perfect weather for cycling commuting 12 months a year, and by creating the necessary infrastructure for safe riding, I am sure we can become the Amsterdam of the Middle East, which will be ecologically friendly, take cars off the road, save travel times, and promote healthy physical activity”.

Un piano molto ambizioso che avvicina Tel Aviv al trend del ciclismo urbano e alle dinamiche della green economy e della sostenibilità tanto in voga nei Paesi a economia matura. A questo proposito, mi permetto di evidenziare che il nostro Paese, fino agli anni Novanta guida del movimento ciclistico mondiale, è invece riuscito a regredire contro ogni logica e dinamica internazionale riducendo il peso relativo della bici nello sport agonistico come nella dialettica pubblica (a parte qualche raro afflato, vedi Pisapia/Sala a Milano, e qualche promessa di cattedrali nel deserto, vedi Raggi a Roma).

 

…economico

Israele ha puntato grosso sull’evento, investendo 25 milioni di euro (10 soldi pubblici, il resto Sylvan Adams, fonte Il Giornale) per l’organizzazione della tre giorni e trasformandola in grande festa popolare. I benefici per l’economia italiana di un tale shock positivo in termini di “publicity” sono di difficile stima, si può però immaginare che la dinamica di crescita dell’export italiano in Israele (2,6 miliardi di euro nel 2017, fonte ICE), già in doppia cifra da quattro anni, possa solo incrementarsi. Benefici diretti sulle esportazioni dirette poi sicuramente per i main sponsor dell’evento (tutti italiani, da Alfa Romeo a Segafredo) e per lo stesso brand “Giro d’Italia”, compreso il conseguente stimolo alla partecipazione futura dei più forti ciclisti al mondo (vedi Froome quest’anno). Infine, la copertura stampa mondiale sull’apertura a Gerusalemme si è raramente vista per il ciclismo, e solitamente riservata al Tour de France, con importanti ricadute indirette in termini emozionali e di credibilità del “marchio Italia” ben al di là di Israele, oltre che sull’economia della bici visto che in Italia, nel nord-est su tutti, si produce quota rilevante della componentistica mondiale.

 

...e quello politico

Ma l’aspetto forse più interessante è quello politico. Netanyahu ha dichiarato "Siamo molto emozionati per questa gara. E in particolare ci felicitiamo che siano venuti ciclisti da tutto il mondo, incluso quello arabo. Questo è un messaggio molto importante per Gerusalemme, la nostra città, città della pace" (Il Giornale); replica palestinese: “La corsa servirà solo a legittimare l'annessione di Gerusalemme e a distorcere l'autenticità e il carattere della città" di Gerusalemme, dice Ashrawi, dirigente OLP, a Huffington Post.

La notizia diplomatica è che l’Italia, dopo decenni di equilibrismi e tentennamenti sull’argomento, ha per la prima volta significativamente preso posizione (notare che il ministro Lotti era intervenuto alla presentazione dell’evento a Gerusalemme lo scorso settembre) di fatto legittimando l’attuale assetto geografico dello Stato Israeliano, e addirittura spingendosi a considerarne Gerusalemme (e non “Gerusalemme Ovest”, come richiesto dall’OLP oltre che da Roberto Speranza in una lettera all’HuffPost) la Capitale. Questo in barba a quanto ancora dichiarava il Ministro degli Esteri Alfano all’Ansa ai tempi della decisione di Trump sullo spostamento dell’Ambasciata USA: “Ho detto personalmente a Rex Tillerson che noi siamo preoccupati’ e contrari alla scelta degli Usa di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele”.

Che bella la diplomazia italiana dello sport basata sul pragmatismo e quanto è ironico che riesca ad avere maggiore autorevolezza e capacità di leadership internazionale dell’attuale ex Governo/non-Governo del Paese.