lotito italia

Era nell’aria da dieci anni. Malgrado la finale europea di Kiev nel 2012, terminata con il cappottone della Spagna ai danni dei Nostri, o la semifinale sfumata ai calci di rigore l’anno scorso a Bordeaux, nei quarti di Euro 2016 contro la Germania. Risultati insperati, talvolta al di là di ogni aspettativa, maturati solo grazie al talento di un paio di fuoriclasse ormai in pensione o alla competenza di un tecnico - come nell’unico e irripetibile caso di Antonio Conte - a cui non è stato nemmeno permesso di lavorare nelle migliori condizioni, senza il minimo sforzo da parte della Federazione per trattenerlo alla guida della nazionale.

Era nell’aria per molte ragioni. Lo era perché, nelle due edizioni dei Mondiali che hanno succeduto l’insperato e - probabilmente - immeritato successo a Germania 2006, nella bollente estate di Calciopoli, gli Azzurri hanno collezionato soltanto eliminazioni nella fase a gironi. Nel caso della prima, in Sudafrica, si parlava già di vergogna e disfatta, il cui principale responsabile era, a detta dei più, Marcello Lippi, emblema eccellente di quel sistema di poteri, rendite, spartizioni e parentopoli che ci conduce sino alla Caporetto di San Siro e ne è la principale causa. Nel caso dell’eliminazione al primo turno nel 2014, invece, a rimetterci le penne furono Prandelli e Abete, che ebbero il buon gusto e la serietà di dimettersi subito dopo l’incornata a rete di Godin.

Tuttavia, l’eliminazione di ieri ha un sapore differente. Un gusto più amaro. Perché è maturata ai preliminari, contro una formazione nettamente inferiore, quasi a mo’ di beffa, e perché, per la prima volta, l’opinione pubblica ha assolto i calciatori e riconosciuto, in maniera quasi plebiscitaria, la loro estraneità ai fatti. Gli unici responsabili, quanto meno agli occhi degli italiani, sono il commissario tecnico Ventura e il presidente della FIGC Tavecchio che - ad ora - sono ancora seduti sulle rispettive poltrone. Da un lato, se il cammino del tecnico sembra comunque giunto al capolinea - questione di ore, al massimo giorni - siamo pronti a scommettere che quello di Tavecchio in Federazione continuerà a lungo. Perché, se non si può certo apostrofare i due come i capri espiatori del fallimento, un’analisi conscia di tutte le piaghe che affliggono il calcio italiano non può che prendere atto che questi ultimi rappresentano solamente le due punte dell’iceberg contro cui ci siamo schiantati.

L’allenatore pagherà, giustamente, ma lo farà per tutti, mentre il vero garante del sistema di poteri e rendite di posizioni non verrà spodestato dal trono, perché conviene a tutti quelli che governano il nostro non-movimento calcistico che resti lì. Lì nell’Olimpo, insieme al consigliere federale Claudio Lotito. Lotito che, prima o poi, insieme ad altri colleghi, dovrà chiarire la vicenda Infront che, se da un lato non sembra avere implicazioni penali, dall’altro ha gettato nuova luce sulle dinamiche che hanno portato una “lobby” di pochi intimi a spartirsi una quota rilevante dei ricavi dei diritti TV del nostro campionato e a fare del calcio italiano la loro torta di mele. Poco importa se tale torta diventa sempre più piccola e il divario, in termini economici e sportivi, con gli altri campionati europei aumenta: se a mangiarla sono sempre meno persone, le fette saranno abbastanza grandi.

Dispiace per i veterani, che hanno dato l’anima per l’ultima volta. Dispiace per i giovani: per Immobile e Belotti, centravanti infallibili messi nelle condizioni di non andare mai a centro, per Florenzi, la cui generosità non è stata ripagata da un incompetente che l’ha utilizzato poco e male, per Insigne ed El Shaarawy, i due esterni sinistri più forti di tutta la Serie A lasciati inspiegabilmente a scaldare la panchina, per il talento cristallino di Verratti che ha fatto la parte del capro espiatorio. Dispiace ancora di più per i giovanissimi come Pellegrini, Chiesa, Caldara, Gagliardini, semifinalisti solo pochi mesi fa dell’Europeo Under-21 e, in gran parte dei casi, nemmeno presi in considerazione per la nazionale maggiore.

Di tutte queste scelte tecniche fortemente discutibili qualcuno dovrebbe rispondere, ma siamo certi che nessuno lo farà, perché il sospetto è che, alla base di certe decisioni, vi siano criteri tutt’altro che tecnici. Fra i tanti al mondo, il nostro è il non-movimento calcistico che più meritava una sorte così avversa. Per decenni si è tirata la corda, campando di rendita sulla passione di un paese intero e sul talento di tanti calciatori. Dopo tanti anni trascorsi a parassitare, da parte di un calcio di nominati e raccomandati, fatto di gruppi occulti e interessi particolari, era naturale che la corda si rompesse. L’illusione si è protratta fin troppo a lungo.