mihajlovic

Nel corso degli anni i media e, di riflesso, l’opinione pubblica, hanno adottato in forma sempre più insistente la malsana abitudine di pretendere che i personaggi dello sport e dello spettacolo svolgano mansioni e ricoprano ruoli a loro non confacenti. Talvolta sembra che alcuni giornalisti architettino delle trappole per incastrare il malcapitato di turno, inducendolo a rilasciare dichiarazioni scioccanti che, nella migliore delle ipotesi, evidenziano la grande ignoranza del soggetto in questione e, nella peggiore, ne rivelano le inclinazioni razziste o omofobe.

È il modus operandi adottato, ad esempio, da Cruciani e Parenzo a La Zanzara su Radio 24: una sorta di moderno “yellow journalism”, votato al sensazionalismo, allo scandalo e alla ricerca perenne della frase ad effetto, al solo fine di fare gossip, e aumentare il seguito e gli introiti di una testata o di una trasmissione.

In molti ricorderanno, ad esempio, l’imboscata tesa ad Antonio Cassano durante una conferenza stampa in occasione degli Europei del 2012, durante la quale il fantasista barese si augurava che non ci fossero omosessuali (usò un termine più volgare, che in questa sede omettiamo di citare) tra i convocati di Prandelli in nazionale. Il giornalista, sicuro che l’attaccante avrebbe fornito una risposta che lo avrebbe messo nei guai, se ne tornò a casa con uno scoop che varcò persino i confini nazionali.

Un episodio analogo, mutatis mutandis, è accaduto lo scorso martedì a Sinisa Mihajlovic, protagonista della massima divisione del nostro campionato da quasi venticinque anni – intervallati soltanto dall’esperienza di una stagione sulla panchina della nazionale serba – prima in veste di calciatore e, da circa undici anni, in quella di allenatore, attualmente alla guida – seppur precaria – del Torino. In conferenza stampa, il Sergente – così soprannominato per via della personalità irreprensibile e militaresca – ha affermato di non sapere chi fosse Anna Frank e, di conseguenza, di non potersi esprimere al riguardo perché ignorante in materia.

Probabilmente, nel caso specifico dell’allenatore serbo, alla luce della scabrosa vicenda che ha visto gli ultras laziali attaccare adesivi ritraenti Anna Frank in maglia giallorossa nella curva Sud dello stadio Olimpico, la domanda posta dal giornalista a Mihajlovic non celava alcuna malizia o tentativo di estorcere dichiarazioni clamorose. Tuttavia, il trattamento riservato al tecnico granata da parte dei media e dei social in seguito alla conferenza stampa non è poi così diverso dalla pioggia di critiche volate nei confronti di Antonio Cassano in occasione di quella sua sortita così infelice e volgare nei confronti degli omosessuali.

E così arriviamo al paradosso per cui in un paese in cui il ministro dell’Istruzione non è laureato e non ha mai lavorato nel mondo della scuola – se non come insegnante d’asilo, a inizio carriera, prima di diventare sindacalista di professione – e in cui vi sono parlamentari della Repubblica che votano all'unanimità (o quasi) per il finanziamento della sperimentazione del metodo Stamina, o convinti che il grano saraceno sia il frumento importato dalla Turchia, o ancora altri che avvertono la necessità di presentare interrogazioni parlamentari sull’annosa questione degli UFO, ci si indigni perché un allenatore di calcio serbo, nato nella Jugoslavia di cinquant’anni fa, in quella città di Vukovar che, nel 1991, fu teatro della più atroce battaglia tra forze serbe e croate, non sappia chi sia Anna Frank e non ne abbia letto il diario.

Sono gli stessi giornalisti che chiedono a Mihajlovic cosa pensa di Anna Frank a fare una figura barbina quando il tecnico granata, in seguito alla gara tra Fiorentina e Torino, per fare chiarezza sulla vicenda, decide di metterne alla prova la cultura generale, domandando se conoscono Ivo Andric. Nessuno lo sa, e nello studio di Mediaset cala il gelo. “Ivo Andric è un premio Nobel per la letteratura della ex-Jugoslavia. A noi a scuola ci insegnavano Ivo Andric, non Anna Frank”. E tanto basta a ritornare il favore a chi ha tentato – e, in parte, ci è anche riuscito – a identificare nel Sergente l’uomo contro cui scagliare le invettive social del giorno, il soggetto del minuto d’odio di orwelliana memoria che però, ai tempi di internet, ha durata e diffusione ben maggiori, oltre a lasciare tracce indelebili negli archivi del web.

Sinisa Mihajlovic, nei quasi 25 anni trascorsi nel nostro paese, ha attirato l’attenzione dei media anche per via di dichiarazioni, frequentazioni e posizioni politiche a dir poco controverse. È nota la sua amicizia con la tigre Arkan, così come l’ammirazione politica che nutriva nei confronti di Milosevic – due personaggi accusati di crimini contro l’umanità – e le parole dolci spese per Tito. Di lui Adriano Sofri scrisse che “ha usato e abusato del suo ruolo sportivo per esaltare le sue opinioni e poiché i suoi idoli erano Arkan e le tigri serbiste e le loro imprese criminali, mi sembra difficile che ideali simili non influiscano sul modo di considerare l’agonismo sportivo e la formazione dei campioni a lui affidati”.

Tutto vero, ma decontestualizzando si commette lo stesso errore dei liberal americani che abbattono le statue di Cristoforo Colombo perché schiavista e razzista, ignorando il fatto che shiavismo e razzismo erano parte integrante della cultura dell’epoca in cui visse l’esploratore genovese. Stavolta è toccata a Mihajlovic, e qualcuno – comprensibilmente – dirà pure che se lo merita, ma domani sarà la volta di qualcun altro.

Con questo tipo di persecuzione mediatica, il cantautore nordirlandese Van Morrison – che di guerra civile e situazioni politiche difficili ne sa qualcosa – ha fatto i conti per tutto il corso della sua interminabile carriera. Rifiutandosi sistematicamente di rendere pubbliche le sue convinzioni più intime e molti aspetti della sua vita privata, nel 1986, ormai esausto, arrivò ad intitolare un suo album “No Guru, No Method, No Teacher”.

Siamo noi, semmai, che non accettiamo fino in fondo che i personaggi pubblici non si concedano completamente alle platee, e avvertiamo il costante bisogno che gli idoli, appunto, i “guru” dello sport e dell’intrattenimento diventino leader spirituali anche quando non ne hanno alcuna intenzione. Delusi dalla costatazione alquanto prevedibile che si tratta di persone distanti anni luce da Mahatma Gandhi, ci sentiamo offesi e ci scandalizziamo per opinioni che noi stessi abbiamo ossessivamente tentato di strappare controvoglia dalle loro bocche.