Oggi più che mai il bisogno di identità europea è forte. Senza un vero cambiamento, però, l'europeismo è destinato a rimanere di maniera e ad affondare nel mare, sempre più vasto e tempestoso, dell'antipolitica. La soluzione? "Rottamare" le sovrastrutture burocratiche che ci allontanano dal vero obiettivo, gli Stati Uniti d'Europa.

 Bonfante Erasmus sito

 

Parlare di Europa, ormai, annoia. L'Europa come vorremmo che fosse è troppo lontana da come in effetti è. Quello che si vorrebbe è una federazione di stati, con un presidente federale eletto ed un congresso con poteri legislativi. La federazione europea si occuperebbe delle materie comuni - difesa, politica estera, mercato interno, energia, infrastrutture, istruzione, welfare. Gli Stati manterrebbero la facoltà di trovare la propria strada – fiscale, economica, culturale – per concorrere agli obiettivi condivisi e, per ciascuno, liberamente perseguiti.

Il modello federalista, gli Stati Uniti d'Europa disegnati da Altiero Spinelli, è, sebbene eternamente 'in potenza', la soluzione. Soluzione che però riposa, in stato comatoso, nella dimensione dell'utopia. La realtà non è l'euro-federalismo libertario, ma Strasburgo e Bruxelles, due sedi per un unico Parlamento, per di più in due Stati europei diversi. La realtà è una triarchia istituzionale pletorica e ostativa – Commissione, Consiglio, Parlamento. È poi l'Agenda di Lisbona, l'agenda 2020 lanciata appunto vent'anni prima, in tempo per completarla tutta, e che invece non è stata quasi nemmeno iniziata. L'Europa è questa roba qui, un concentrato continentale di frustrazioni politiche, di gratificazioni mancate.

Nello speciale Noi Euro pubblicato da Strade in collaborazione con iMille, e nella omonima campagna di orgoglio europeista, ci sono tutte le ragioni logiche, politiche, economiche e di diritto per spingere sull'acceleratore, non rallentare, fermarsi o addirittura arretrare rispetto alla destinazione indicata dall'esiliato di Ventotene. E invece ci ritroviamo neanche fermi, ma proprio impaludati. Euro sì Euro no, crescita o austerità, allentare il Patto o tenerlo fermo.

L'Agenda di Lisbona, come tutte le agende, non poteva vivere di vita propria né essere riprodotta in laboratorio riservandola alla cura, competenza e dedizione di una super équipe tecnica. L'ossigeno alle agende di policy viene dalla politica, com'è doveroso che sia. E "politica" vuol dire ascoltare, interagire, proporre, convincere, meritare il consenso. È così che un progetto di policy da illustrare ai convegni diventa un progetto politico da democratizzare col voto.

La politica, però, in Europa non c'è, o quantomeno non comanda, delegando l'amministrazione a tecnocrazie chiuse e conservative, e l'indirizzo a governi nazionali sindacalizzatisi per mancanza di ambizione, per assuefazione al conformismo. L'Europa ormai funziona così, nessuno ci mette la faccia, ma tutti ci mettono le mani. La bandiera blu con le stelle d'oro, tuttavia, senza faccia è solo un ufficio. Facciamo il Presidente, e gli stati europei si ritroveranno uniti.

Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi quando parla di Europa pensa all'Erasmus, e fa bene. Ne ha parlato anche al Senato, nel discorso per la fiducia:

"Noi viviamo in un momento in cui la 'generazione Erasmus', che tra l'altro è rappresentata al Governo, ha conosciuto il sogno degli Stati Uniti d'Europa come concretezza, che ha conosciuto l'euro come unica moneta o quasi. Di fronte a questa generazione, noi avvertiamo il bisogno di indicare una prospettiva di futuro e non di vivere di rimpianti e di ricostruzioni fasulle del passato. Propongo a questo Senato di essere la legislatura della svolta".

L'Erasmus è uno dei migliori esempi di federalismo applicato. Dire "Erasmus" è come dire "Stati Uniti d'Europa", ma senza la pesantezza retorica dell'espressione.
L'Erasmus si fonda su un principio banale: la libertà fa bene. Ed è un bene non finito, anzi: più si aprono spazi di libertà, più se ne creano di nuovi. Scegliere un paese europeo, e l'università di quel paese in cui trascorrere un periodo di studio, è un'esperienza di libertà che proietta chi la vive in uno spazio reale che non è un denominatore minimo di libertà condivise, ma un commutatore massimo delle diverse varianti possibili di libertà. Le libertà civili spagnole, le libertà economiche irlandesi, le libertà di rete estoni non sono l'Eldorado, ma sono qui e ora, fanno parte dello spazio comune. Comune, sebbene non a tutti.

Gli spazi di libertà li apre la politica. Il socialista Zapatero ha alzato in Spagna l'asticella delle libertà civili, e per tutti noi da quel momento il limite del possibile è diventato quello. In Ucraina si è appena rovesciata una 'democrazia repressiva' per l'urgenza di libertà: lì l'asticella l'ha fissata l'Europa. L'Europa, vista dagli extra europei, è uno spazio unico di libertà, diverse e spesso solo potenziali, e tuttavia tutte indistintamente possibili. È quello che fa venire voglia di esserne parte: la libertà ulteriore che può venire dallo stare liberamente insieme.

Noi nativi abbiamo effettivamente gustato il sapore della libertà europea, più trovata che conquistata, ma reale grazie all'Europa. Gli italiani che vanno via per mancanza di opportunità, e che spesso rimangono in Europa a lavorare e metter su famiglia, vanno a prendersi le opportunità a cui hanno diritto, quelle che il paese di origine ha in qualche modo negato loro. L'Europa restituisce ai propri cittadini il libero accesso alle opportunità meritate: non lo fa un paese europeo o un altro, ma l'Europa nella sua sinergica integrazione.

Il Presidente Renzi ha annunciato di voler fare del semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea l'opportunità per una svolta nelle politiche comuni. Ma la svolta, naturalmente, non si fa presentandosi in Europa un po' più "tedeschi", de complessati, con le riforme avviate e dicendo ok Angela, adesso ri-negoziamo il 3%. Bisogna riformare, modernizzare, liberare il nostro paese, ma non solo e non tanto per chiedere all'Europa maggiore generosità: il 3% è un'idiozia, il debito al 130%, però, è un'idiozia anche peggiore.

La svolta in Europa si farebbe se cogliessimo l'opportunità della nostra presidenza semestrale per mettere nell'agenda continentale la "rottamazione" di tecno-dirigismo, mancanza di accountability, ipertrofia burocratica. Per tagliare apparati, democratizzare la governance, accorciare la filiera proposta-decisione-attuazione-controllo e quindi potenziare l'effettività dell'azione. Ri-lanciare, non in forma retorica, l'essenzialità della democrazia decidente; dare una "faccia" politica all'agire europeo.

Gli Stati Uniti d'Europa ci sono già - nascosti, come il capolavoro dentro il blocco di marmo. Serve solo rompere, togliere l'eccesso, liberare e svelare. Per non avere alibi, per non volerli neppure cercare: basta metterci la faccia e cominciare.

@kuliscioff