Il dibattito "adulto" sulla cannabis, quello che dovrebbe coinvolgere dati certi sul mercato criminale, il consumo, le potenzialità anche fiscali di una liberalizzazione, il valore del mercato da sottrarre ai clan, le tutele per i minorenni, non decolla. Nessun partito ha il coraggio di farsene carico.

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Mica solo in Colorado. Anche in Italia le aperture bipartisan al commercio di cannabis ci sono, pure se il dibattito nazionale le ignora, salvo qualche sussulto come il recente appello di Umberto Veronesi. A Torino è passata un mese fa la mozione in favore dell'utilizzo a fini terapeutici, come già accade in Toscana, Liguria e Veneto, dove la Regione (a trazione leghista, come il Piemonte) ha autorizzato i farmaci a base di cannabis per la terapia del dolore e ha approvato la distribuzione sperimentale in ospedale e farmacia di preparati dello stesso tipo. Regioni ed enti locali agiscono sulla base di una decisione del governo Monti (in particolare, dell'allora ministro della Salute Renato Balduzzi), che nel 2012 inserì medicinali di origine vegetale a base di cannabis tra le sostanze psicoattive autorizzate. Il sistema è molto complicato, come sempre in Italia quando si fanno le cose "alla vergognosa": la prescrizione del medico deve essere inviata alla Asl, che la passa alla Regione, che interpella il ministero, che provvede ad acquistare il prodotto all'estero, per poi ripercorrere l'intero iter all'indietro (e questo per ogni singolo malato e per ogni singola ricetta).

Piccoli segnali, con scarse conseguenze pratiche. Siamo ancora molto lontani dall'onda bipartisan che negli Usa sta insidiando la scelta proibizionista con il sostegno di procuratori distrettuali, giudici, poliziotti, blogger e personaggi attivi in politica sia di destra che di sinistra. Ma d'altra parte in Italia resiste tenacemente una visione ideologica delle questioni legate ai tempi nuovi, che trasforma in una guerra di religione qualsiasi tema connesso alla libertà e comprime nella dialettica destra/sinistra problemi che il pensiero classico di destra e sinistra non ha mai affrontato semplicemente perchè nel Novecento non esistevano.

Da noi si è ancora ai tempi (35 anni fa!) della campagna Just Say No di Nancy Reagan, che ancorò alle destre lo slogan "tutte le droghe sono uguali" e confinò le tesi antiproibizioniste nelle irrilevanti rivendicazioni dei fricchettoni californiani. Da un lato il "modello Giovanardi". Dall'altro la galleria fotografica della manifestazione pro-cannabis di due settimane fa a Roma, con la sua sfilata naif di barbe e gonnelloni, la musica reggae e le magliette giamaicane. Il dibattito "adulto" sulla cannabis, quello che dovrebbe coinvolgere dati certi sul mercato criminale, il consumo, le potenzialità anche fiscali di una liberalizzazione, il valore del mercato da sottrarre ai clan, le tutele per i minorenni, non decolla. Gli inviti anche autorevoli ad affrontare la questione (vedi Veronesi) durano lo spazio di un mattino. Nessuno dei politici e dei partiti in Parlamento ha il coraggio di farsene carico, tanto che è servita una sentenza della Corte Costituzionale per annullare dopo nove anni una legge ritenuta inefficace e superata da tutti, epperò mai messa in discussione dalle maggiori forze politiche.

Gli unici ad agire con una certa serietà sul fronte dell'antiproibizionismo, va detto, sono stati e sono i Radicali: tuttavia la marginalità, imposta in parte dall'esterno e in parte dall'interno, che caratterizza la loro azione politica fa sì che le loro battaglie non riescano mai ad arrivare davvero al centro del dibattito pubblico.

Rompere questa anomalia e aprire un confronto serio che marginalizzi il folklore su entrambi i fronti sarebbe un'operazione di onestà politica. Resta da vedere chi avrà il coraggio di provarci in modo strutturato, a livello nazionale, in giacca e cravatta anziché con la maglietta di Bob Marley, spiegando che non è (solo) una questione di libertà individuale ma che il modello proibizionista degli anni '80 ha fallito, e tutto il mondo libero ha aperto una riflessione su come superarlo, e anche noi, insomma, non è che possiamo lasciare la questione ai consigli comunali e regionali come se si trattasse della licenza per un parcheggio o dell'apertura della stagione di caccia.