Se saremo "assediati" e "immersi" nella registrazione costante di tutto ciò che ci riguarda, che ne sarà di queste informazioni? Chi le userà? Non verrà "fame" agli Stati, all'idea di potere sapere ogni minima azione fatta dal contribuente-cittadino? La battaglia dei dati riguarda la vita e la libertà di ognuno di noi.

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 Quando nacque la "privacy" come concetto vivo, almeno dal punto di vista culturale? Nel 1890 con Brandeis e Warren che declamarono il celeberrimo "right to privacy, to be let alone" sulla Harvard Law Review? No, ben prima. Si sia o meno credenti, prendiamo il libro della Genesi, quello che comincia con "In principio Dio creò il cielo e la terra". Nel secondo capitolo, troviamo Dio che vieta all'uomo e alla donna di mangiare il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Un frutto che è una cosa, ma non una cosa qualunque, una cosa "viva". La Genesi specifica, a questo punto, che l'uomo e la donna erano nudi ma non se ne vergognavano. Non può essere un dettaglio casuale, questa specificazione. Poi arriva il serpente, li convince a mangiare il frutto della conoscenza del bene e del male, lo mangiano e la prima conseguenza per i primi uomini è la seguente: "Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture". Nasce in quel momento – e fuor di riferimento biblico, possiamo dire "da sempre" - il senso di consapevolezza della propria immagine (dato personale), del suo senso e quindi della vergogna di mostrarsi, e nasce la privacy con la cintura di foglie.

Questa introduzione può fornirci una prospettiva tridimensionale e lontanissima (all'indietro) del senso profondo della privacy, intesa come bisogno e poi come diritto fondamentale, strumentale alla tutela di altri diritti fondamentali. Quando diciamo "privacy" diciamo protezione della sfera privata, dell'identità, dei dati personali, della riservatezza: che a loro volta proteggono la nostra libertà. Come delineare allora, oggi e in poche parole, una qualche visione e previsione della privacy e della tutela dei dati nell'altrettanto lontanissimo (ma mica poi tanto, in verità) domani quotidiano? La privacy è morta, morirà o vive e vivrà alla grande? La seconda è, almeno secondo chi scrive, la più sperabile delle speranze se vogliamo abitare in mondo fatto da persone umane, evolute e relazionali, e non schiacciate in indifesa e assoluta trasparenza da poteri automatizzati.

Cercherò di non essere "legalese". Immaginate un mondo nel quale ogni singolo oggetto della nostra vita sia dotato di "anima": è l'Internet delle Cose (Internet of Things, IoT). Non pensiamo solo al frigorifero o alla lavatrice intelligenti, nemmeno solo al riscaldamento computerizzato: la tazza con cui beviamo il caffè saprà la nostra glicemia e ne comunicherà i dati all'esterno, magari al laboratorio o al medico di fiducia. La lampada del comodino monitorerà i nostri bioritmi per decidere se accendersi e quando, avvisando i nostri famigliari di eventuali anomalie. Il cuscino, che può sapere tanto di noi, potrebbe catturare informazioni preziose sulle abitudini di sonno. I pavimenti potrebbero monitorare i passi, illuminando la strada e avvertendo i parenti in caso di cadute accidentali. Lo spazzolino da denti sarà connesso in rete, così la camicia, il cappello, i guanti. I sensori saranno impiantati sottopelle o in organi interni o inclusi in nano-vettori nel nostro sangue. Gli occhiali aumenteranno di continuo la realtà davanti a noi, con dettagli e previsioni, e la cattureranno. Tutto, intorno a noi e in noi, ci spierà – a fin di bene certo – e non avremo spazi di intimità che non siano registrabili da "scatole nere". Scatole, oggetti, indumenti che saranno costantemente in contatto con il mondo esterno, verso il quale comunicheranno e dal quale potrebbero essere influenzate. I pagamenti elettronici saranno stati, allora, solo remoti iniziatori di una tracciabilità inevitabile di ogni gesto della nostra vita, di ogni parola, forse, chissà, di ogni pensiero e intenzione, se è vero che arriveranno perfino lettori neurali in grado di cogliere quello che pensiamo e di trasformarlo in bit.

Se saremo "assediati" e "immersi" nella registrazione costante di tutto ciò che ci riguarda, che ne sarà di queste informazioni? Chi le userà? In teoria, la risposta non può che essere netta: le dovrebbe usare solo chi decidiamo noi e nei limiti che noi stessi stabiliamo. Il medico potrà consultare i valori glicemici trasmessi dalla tazzina di caffè solo se glielo chiederemo e permetteremo noi, e per il tempo e le finalità di diagnosi o cura strettamente previste. Ma sarà così veramente? I fornitori delle tecnologie intermedie, che renderanno possibile tutto questo e saranno a decine di migliaia di km di distanza, si accontenteranno di condurre i dati senza sfiorarli, elaborarli, analizzarli per loro fini di marketing e di profilazione? Sicuramente si svilupperà una domanda di protezione che il mercato in qualche modo soddisferà in modo sempre più efficace (si aprono praterie per i "fornitori di oblio", distruttori professionisti di informazioni e spazzini di dati), ma ci si chiede: non verrà "fame" agli Stati, come già accade con le spese elettroniche per redditometri e spesometri, all'idea di potere sapere ogni minima azione fatta dal contribuente-cittadino? Allo stesso modo, non saranno interessate le Polizie e le Magistrature al monitoraggio di ogni dettaglio per scopi di pubblica sicurezza e di anti-terrorismo? Le tecnologie di analisi dei Big Data, dopotutto, consentirebbero grandi risultati di prevenzione e di predizione del crimine e degli illeciti, non essendo i miliardi di dati da processare un limite ma anzi un vantaggio per questo tipo di attività. Quanta umanità servirà per considerare colpevole una persona, sulla base di tutti i dati che ne demoliranno apparentemente ogni alibi, e per scongiurare che si arrivi a una sentenza o a provvedimenti amministrativi fondati unicamente sull'elaborazione automatizzata di informazioni?

In generale, gli Stati e le imprese potrebbero cadere nella tentazione della trasparenza totale delle nostre vite private e nella bulimia di verità "data-based", distorcendo la realtà e standardizzando canoni comportamentali e di valutazione che dovrebbero, invece, tenere conto della unicità irripetibile di ogni singolo essere umano. E un terrorista lancerà ancora bombe fisiche o preferirà bloccare con un virus la vita delle persone intervenendo sulle cose, sugli oggetti che quella vita pervadono e fanno funzionare in modo sempre più interdipendente, anche passando attraverso attacchi ai fornitori di tecnologie privati? Se ci verranno offerti sempre più contenuti e pubblicità basati sulla profilazione delle nostre pregresse preferenze di consumo e di vita, come faremo a crescere, a sviluppare senso critico e ad evolverci mediante confronto con ciò che è altro e diverso da quello che già siamo? Come potremo evitare una omologazione eterodiretta e ingannevole, perché favorita da chi sa troppo di noi? Oggi, il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male avrebbe probabilmente un nanochip nella polpa, interconnesso e sempre on line, e ci falserebbe con la scusa della "verità totale".

E' difficile aprire uno squarcio sul futuro meno superficiale di una cartolina, in così poche righe: di certo c'è che la tutela dei dati e della privacy fatta di carte e di informative, di flag e di password di otto caratteri ci sembrerà un passato remoto e anche ingenuo, quasi tenero nella sua primordiale artigianalità. Una previsione-speranza giuridica, però, sento di formularla: i Garanti Privacy dovranno trasformarsi in "autorità indipendenti degli algoritmi", siano essi di natura pubblica o privata, verificandone l'uso e l'abuso, e le Costituzioni e i Trattati dovranno parlare espressamente degli algoritmi, della loro trasparenza e dei criteri di funzionamento delle tecnologie, fissando paletti (tralicci) che impediscano a chi governerà e a chi gestirà le tecnologie informatiche, e ad entrambi insieme, di comprimere silenziosamente le libertà, l'identità, l'originalità e gli altri diritti fondamentali delle persone.

 

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