In teoria, la pratica della trasparenza è il primo passo verso la democrazia. Tuttavia, bisogna tener presente che il valore della democrazia è tanto più alto quanto più basso si conserva il rumore di fondo.

Pascale lucchetti

Beth Noveck è stata (fino alle sue dimissioni, nel 2011) la responsabile di un ambizioso programma, l’Open Government Initiative, che puntava ad aprire i processi governativi a tutti i cittadini. “Quando sono arrivata alla Casa Bianca” – racconta la Noveck – “non c’era nulla di aperto. Anzi, c’erano le tende antiproiettile alle finestre. Non avevamo un blog. Sono arrivata per diventare capo di un Governo Aperto, prendere i valori e le pratiche della trasparenza e infonderli nei cittadini”.

In teoria, la pratica della trasparenza è il primo passo verso la democrazia. Anche perché, lo sappiamo, siamo in una società complessa, dunque molte decisioni sono il risultato di più forze. Se riusciamo a individuarle, appunto, con trasparenza, sarà più facile pervenire a una deliberazione condivisa (che misura le forze in gioco). Per questo la Noveck ha cercato di individuare reti di specialisti per avviare buoni processi decisionali.

Si è chiesta: l’expertise è qualcosa di sperimentale o di accademico? Si basa sui libri o sui contenuti? Per fare un esempio: se voglio capire come far arrivare più in fretta i sussidi ai veterani, dovrei parlare con chi è in prima linea nelle organizzazioni che concedono questi sussidi o con il burocrate statale che stabilisce il budget?

E ancora: in alcune decisioni, ci sono soggetti più importanti degli altri? Non so, devo capire come muovere alcune merci, a chi mi rivolgo? A quello che guida ogni giorno un tir o all’esperto di logistica del reparto informale? La Noveck non ha dubbi: l’uno e l’altro, ovviamente. Oggi la tecnologia permette di trovare con la stessa facilità le persone di esperienza e quelle con i titoli giusti. Dunque, questo allarga lo spettro delle opinioni e delle idee e in più “sfrutta l’entusiasmo di chi è del tutto autodidatta e di chi è esperto in uno specifico settore”. Tutto sta a rendere trasparenti le forze in campo, aprire il dibattito.

Per avviare questo processo, Beth Noveck, appena prese le redini del programma, allestì un sito pubblico e chiese ai cittadini di intervenire: domande? Proposte? Passa il tempo e il gruppo della Noveck si rende (tristemente) conto - esaminando la nuvola dei tag - che molte questioni (per le quali si chiedeva una partecipazione, un dibattimento o chiarificazioni) riguardavano gli ufo, le argomentazioni dei birther, cioè quelli che credono che Obama non sia nato negli Stati Uniti, i complotti dell’11 settembre, l’Area 51.

Piccolo momento drammatico. Qui si parla di Governo aperto e buone deliberazioni, democrazia e simili e arrivano domande sugli alieni? Che si fa? Si censurano simili questioni? Oppure si accolgono? Bel problema. Se si censurano, che valore ha un sito aperto a tutti? Ma d’altra parte, se vogliamo capire come muovere al meglio alcune merci, perché includere le voci di quelli che pensano che l’Area 51 nasconda degli alieni?

Ancora: se siamo tutti uguali e la pensiamo tutti allo stesso modo perché discutere? Ma se arrivano voci smisuratamente off topic perché includerle? Nel caso specifico Beth Noveck e il suo staff decisero di non cancellare niente, e furono anche fortunati, perché i partecipanti ai vari siti, responsabilmente, riuscirono a tenere basso il rumore di fondo. La lezione da trarre da questa storia potrebbe essere questa: il valore della democrazia è tanto più alto quanto più basso si conserva il rumore di fondo, e per “rumore di fondo” si intende tutto quello che sfugge a un rigoroso metodo di verifica e misurazione.

Dunque, secondo lo schema della Noveck, è essenziale partire dalle opinioni. Nostro compito è individuarle, scremarle, misurarle - tutto secondo un protocollo che garantisca trasparenza e razionalità - così che possano, poi, venire lette dai politici e trasformate in leggi. Mi rendo conto, trattasi di schema particolarmente semplificato, ma conviene accoglierlo, perché, almeno, ci permette di concentrare la nostra attenzione sulle opinioni.

Tuttavia, prima ancora di affrontare il tema trasparenza e deliberazione, la domanda è: come si formano le nostre opinioni? Il problema esiste, perché ogni volta che richiediamo una misura stiamo facendo appello alla nostra razionalità, tentiamo di usare strumenti logici che eliminano proprio quel rumore di fondo e dunque ci predispongono a una buona deliberazione - dove per buona non intendiamo perfetta, ci mancherebbe, ma condivisa.

Ma appunto, le nostre opinioni si formano davvero secondo una procedura razionale? Qui vale la pena dare un’occhiata alla tesi di Jonathan Haidt: Menti tribali (Codice Edizioni).

Non siamo così razionali, l’evoluzione ha inciso sul meccanismo deliberativo, siamo vissuti per milioni di anni in piccole tribù e siamo ancora lì: in gruppi con specifiche dinamiche, dunque, il rumore di fondo inquina la procedura razionale. Prima delle opinioni – e della misura, degli strumenti logici, eccetera - c’è la morale. La morale si esamina con più precisione se si tiene conto della biologia evoluzionista e della psicologia cognitiva - due discipline che nel dibattito pubblico italiano latitano.

Haidt, nella fattispecie, è un innatista. Dicesi innatismo qualcosa di organizzato prima dell’esperienza, come la bozza di un libro che viene rivista a mano a mano che una persona cresce. Valori e regole specifiche variano da una cultura all’altra.

Tuttavia, se vogliamo capire cosa c’è scritto nella prima bozza universale della natura umana, allora bisogna fare i conti con cinque principi. Vediamo: a) principio protezione/danno. Sviluppato in risposta alla sfida di offrire protezione ai bambini, ci rende sensibili ai segnali di sofferenza del prossimo; b) principio di correttezza/inganno, evolutosi in risposta alla sfida di raccogliere i frutti della collaborazione senza essere sfruttati, ci spinge a evitare o punire i truffatori; c) principio di lealtà/tradimento, ci fa allontanare chi tradisce il gruppo cui apparteniamo; d) principio di autorità/sovversione, ci rende sensibili ai segnali relativi allo status o al rango sociale; E infine e) principio di sacralità/degradazione, cosa ci appartiene (dunque è spesso irrazionalmente investito di sacralità), cosa dobbiamo allontanare (perché ci degrada).

La bozza è questa, e nelle verifiche empiriche di Haidt si scopre, per esempio, che i progressisti hanno una morale che fa affidamento solo sui principi protezione/danno e correttezza/inganno, mentre la destra attiva meno i primi due e più i restanti tre.

Tuttavia, la complessità della società confonde spesso i campi. La sinistra, per esempio, da una parte attiva i codici di protezione/danno, quindi è sensibile a temi e sofferenze globali, dall’altra parte difende, soprattutto in tematiche alimentari, la sacralità della natura - in effetti, tanti intellettuali di sinistra in teoria sono progressisti, nella pratica conservatori. La destra sembra cristallizzata nel principio di autorità/sovversione: culto del capo - e dunque incapace di autocritica e di indipendenza.

Dunque, abbiamo menti tribali, cioè le nostre opinioni si formano secondo lo schema “morale, emozioni, opinioni”. In effetti, Haidt usa un’immagine mutuata da Platone: le emozioni sono come un elefante, il ragionamento è il portantino. Quando parliamo, parliamo all’elefante che si curva e spesso il portantino lo segue. Non capita spesso che grazie al ragionamento (alle verifiche sperimentali, alla metodologia scientifica ecc.) accada il contrario. Anzi, a ben vedere nemmeno su quest’ultimo si può fare affidamento.

Spesso il ragionamento altro non è che un bias di conferma, un modo strategico per accogliere le tesi a sostegno e allontanare i dubbi. E se così stanno le cose, arriviamo al punto: come possiamo trasformare le opinioni in conoscenza? Passaggio non facile, anche perché la ragione non si attiva senza emozione, e l’emozione sì, promuove bias ma anche l’empatia.

L’interrogativo è alla base degli ultimi libri di James R. Flynn, il filosofo noto per il cosiddetto effetto Flynn, l’aumento del QI (detto in breve). Che, per inciso, ha una storia particolare. È un liberal americano, poi si è trasferito in nuova Zelanda nel 1963. Nel 1969 legge gli studi di Arthur Jensen: i neri conseguono bassi punteggi nei test di intelligenza. Flynn come tutti gli intellettuali di sinistra rigetta i risultati, anzi si intestardisce, studia bene il metodo Jensen in cerca di pecche e che ti scopre? Che non c’erano pecche, i risultati erano validi. Tuttavia non accetta l’ipotesi genetica, avanzata da Jensen. Studia ancora e che ti scopre? Che è tutta colpa della povertà. Famiglie povere e numerose hanno risultati più scarsi rispetto alle famiglie mononucleari e ricche, nelle quali i genitori interagiscono più facilmente con i figli, sono più disponibili al dialogo, al confronto.

Con il tempo e l’aumento del benessere sono cresciuti anche i punteggi nei test, e ora neri e bianchi pari sono. Dunque la cultura – intesa come progresso - è fondamentale. E J.R. Flynn si dedica anima e corpo all’insegnamento, scrive libri molto belli, alcuni poetici (“How to Defend Humane Ideals: Substitutes for Objectivity”), attacca spesso la sinistra liberal, la trova poco scientifica e preda di astratti e magici furori, finché a un certo punto, dopo anni e anni di insegnamento e di lotte si chiede: ma io, ai miei studenti, in questi anni, che cosa ho insegnato?

È una questione seria, e dolorosa per lui. “Ho dato l’anima in 50 anni di insegnamento universitario, in luoghi che vanno da Cornell e il Maryland in America, a Canterbury e Otago in Nuova Zelanda. Mi fa diventare matto il pensiero dei tanti giovani brillanti che frequentano le università con profitto, dei quali, una volta laureati, siamo costretti ad ammettere di non essere stati in grado di insegnare loro a pensare. Nonostante le numerose conferenze e i tutorial, le ore spese a dare voti e fornire feedback, non credo di aver trasmesso ai miei studenti ciò che ritengo più prezioso nel mio modo di vedere la vita”.

Dunque Flynn si rende conto che la cultura, anche se fa avanzare nei test, non sempre è alla base di un corretto modo di ragionare, anzi una buona formazione culturale non garantisce l’assenza di bias. Tuttavia – anche perché vogliamo trasformare le opinioni in conoscenza - non possiamo mica mollare, dunque, come si fa a usare l’emozione per promuovere il ragionamento e non, al contrario, spegnerlo?

Flynn allora scrive un libro: “Osa pensare. Venti concetti per capire criticamente e apprezzare la modernità”, a cura di Corbellini (Mondadori Università, una casa editrice che sta pubblicando libri molto particolari). Quello che Flynn propone è sì arricchire il dibattito culturale – e farlo in qualunque sede, la scuola, le università, i circoli di partito, la rete e i talk show televisivi - ma considerando sempre alcuni concetti chiave, senza i quali è facile cadere in bias.

In sostanza, si potrebbe semplificare il problema. La scuola non deve insegnare tutto, ma solo i concetti chiave che aiutano a comprendere il mondo, ed evidenziare i concetti antichiave che, al contrario, oscurano il ragionamento. I concetti chiave sono tratti dalla filosofia morale, dalla biologia evolutiva, dalla matematica, dalla sociologia. Gli studenti dovranno affrontare, con le suddette chiavi, problemi pratici, raggiungere risultati, imparare a ragionare in modo logico, accorgersi delle pericolose deviazioni illogiche. I risultati dovranno essere analizzati e verificati.

Ecco le chiavi.

  • Universabilità (1785, Kant, filosofia morale) – se si afferma un principio morale, bisogna, poi, sostenerlo con la logica;
  • Tautologia/falsificabilità (1800, logica) – per non abusare della logica quando la usiamo per difendere in maniera fraudolenta qualcosa;
  • Fallacia naturalistica (1903, filosofia morale) – non argomentare partendo dai fatti per arrivare ai valori;
  • Fallacia della scuola della tolleranza (200, filosofia morale) – la tolleranza non sempre è una virtù suprema;
  • Il campione casuale (1877, sociologia) – selezionare i campioni in base al caso.
  • Il quoziente intellettivo (1912, sociologia) per valutare il QI bisogna conoscere cosa sia una correlazione e affrontare il concetto di regressione verso la media;
  • Effetto Placebo (1938, medicina) – senza la nozione di placebo, una razionale politica di gestione dei prodotti farmacologici si scontrerebbe con il disperato desiderio di una cura da parte di chi è colpito da una malattia;
  • Effetto Carisma – quando una teoria viene applicata da un carismatico innovatore o da suoi discepoli infiammati da zelo, il suo successo potrebbe essere dovuto proprio a questo fattore.
  • Gruppo di Controllo (1875, sociologia);
  • La Fallacia del sociologo (1973, sociologia) – nel confrontare fra loro gruppo apparentemente omogenei, bisogna prestare attenzione, poiché i suddetti gruppi potrebbero appartenere a un insieme più ampio;
  • Percentuale o proporzione (1860, Matematica) – senza il concetto di percentuale e di proporzione non si riesce a valutare il rischio;
  • Mercato (1776, economia)
  • L’interesse nazionale (sociologia) – per comprendere davvero l’operato e gli atteggiamenti di una persona, è necessario farsi almeno tre domande: a) che cosa determina il suo comportamento, b) persegue sempre il suo interesse? c) è mosso da altri fattori quali amicizia/inimicizia?
  • Le affinità nazionali (sociologia)
  • L’identità nazionale (sociologia).

Poi vengono le antichiavi:

  • la realtà è un testo – un’antichiave che ci distrae dal compito della scienza, la decodifica del mondo reale;
  • le storie alternative;
  • le scienze alternative;
  • il progetto intelligente.

Alla fine, quando mi capita di ragionare su questi argomenti, mi viene sempre in mente mio nonno, vecchio contadino meridionale. Quando arrivavano i tecnici agrari in paese lui andava a sentirli, ma prima indossava il suo unico vestito elegante, il vestito della festa. Per lui la cultura era qualcosa di sacrale, anche perché serviva. Oggi abbiamo bisogno di un nuovo vestito culturale: i tessuti, i colori, la grana, devono soddisfare i mutevoli desideri/esigenze dei nuovi cittadini del mondo.