Poteva essere definito il caso delle ragazzine dei Parioli, mentre è lo scandalo delle baby-prostitute, quasi a qualificarle più efficacemente. Scandaloso è il susseguirsi di particolari sulla loro vita, sulle prestazioni offerte, sulle richieste di corrispettivo. Scandalosa è la distribuzione più variegata delle colpe al riguardo: dalle ragazzine, già schedate come “professioniste” o come libere e coscienti autrici delle proprie scelte ovvero come scarna esemplificazione del degrado di questi tempi; alle madri poco attente alla cura e troppo propense a concedere loro indipendenza, complici in qualche caso; ai padri assenti oppure clienti fruitori, in una duplice veste che conduce direttamente alla condanna del ruolo svolto, comunque.

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Lo scandalo sembra il fine dell'informazione fornita sulla vicenda, forse per far salire gli indici di ascolto, come spesso accade. O forse dettagli quanto più intimi e giudizi fin troppo scontati sono funzionali a colpire le coscienze, al fine di plasmarle a una morale più rigorosa di quella rappresentata attraverso i fatti esposti. O, ancora, i particolari oltremodo scabrosi e le valutazioni che conseguentemente ne vengono date sono finalizzati a definire le caselle nelle quali collocare ogni protagonista: perché tutto vada al proprio posto, perché la destabilizzazione indotta dall’accaduto venga contenuta e il pubblico provi sollievo nel constatare di esserne estraneo, non trovando coincidenza con se stesso, con il proprio modus vivendi, con la propria famiglia, con le categorie nelle quali ha stabilmente inquadrato la propria esistenza.

Non è importante sapere se i minuziosi dettagli che continuano a emergere su quanto successo vengano doviziosamente forniti per motivi di audience, per scopi educativi o per rassicurare chi legge o ascolta di non esserne in alcun modo coinvolto. Di certo, focalizzare l’attenzione su questo o quell’inutile dato di contorno che scandalizza, appunto, ma all’informazione non aggiunge niente, distoglie dagli elementi essenziali della vicenda, gli unici rilevanti per comprenderne la chiave di volta. Sulla base di quegli elementi, si può operare un qualche parallelismo: perché in passato adolescenti di buona famiglia, studiose e senza problemi apparenti, come quelle descritte dalle cronache recenti, non intraprendevano percorsi scabrosi come quelli da ultimo ampiamente riportati, ma altri diversi, pericolosi comunque e ugualmente poco capiti.

Identici sembrano i connotati distintivi, oltre alla suddetta base di partenza: l’ineludibile necessità di esercitare un controllo sul proprio corpo, l’estenuante ricerca della corrispondenza a un modello, l'adrenalinica sensazione di invincibile forza nel raggiungere il risultato perseguito abbattendo ogni schema precostituito, la necessità assoluta di indirizzare la propria vita nel senso voluto per dimostrare a se stesse e agli altri di contare, e molto. Anni fa questi sintomi,  indicativi di un malessere di fondo, avrebbero portato ad altre conseguenze: a un qualche disturbo dell'alimentazione, l’anoressia probabilmente.

Delle ragazzine che ne erano vittime si diceva, un tempo, che cinema e televisione le avessero rovinate, che i modelli pubblicitari le distogliessero costantemente dalla normalità di una famiglia con genitori iper-accudenti o, al contrario, un po' distratti rispetto alle reali necessità dell'adolescente, ma sani e solidi comunque. Queste erano le giustificazioni che venivano addotte perché la coscienza di coloro i quali volevano procedere sui binari di una vita tranquilla e sempre poco criticamente condotta fosse assolta dalla ricerca delle cause effettive del problema di fondo. Alla società dell’apparenza e al venir meno degli antichi valori di riferimento era attribuita la colpa e così la questione veniva risolta. Le ragazzine ne uscivano schedate comunque, come superficiali e insane aspiranti “modelle”: “veline”, si sarebbe detto qualche anno più tardi. Marchiate a vita anch’esse, come quelle che d’ora in avanti resteranno baby-prostitute, per sempre.

Agli ideali di magrezza ai quali ispirarsi per sentire di poter governare la propria esistenza oggi è stato sostituito (o forse solo aggiunto) altro, in linea l’epoca attuale: il facile guadagno. Ma il corpo continua a essere lo strumento per ottenerlo. Analoghe sono altresì le modalità adottate, dunque, l’utilizzo della fisicità per far capire al mondo circostante di contare, disponendo la capacità di incidere su qualcosa di importante: se stesse e una vita della quale essere protagoniste. Identico è l’obiettivo: suscitare apprezzamento per procurarsi un qualche amore, forse, o anche solo una sua monetizzabile parvenza, attenzioni comunque. Uguale il risultato: una sorta di drogante delirio di onnipotenza, fino a perdere contezza di ogni limite, nella sfida ad andare sempre oltre. Nelle vicende di questi giorni, la droga, quella vera in aggiunta all’altra, amplifica l’effetto.

Libertà è ciò che in apparenza esprimono le adolescenti di cui si tratta: invece, manifestano l’opposto nell’ansia di dimostrare una consistenza che non hanno, rifiutando il cibo o svilendo comunque, in altro modo, il proprio corpo. L’idoneità a compiere una scelta che possa essere definita libera veramente si fonda sulla consapevolezza delle possibili alternative e delle relative conseguenze: ma di essa le ragazzine non paiono disporre. Anzi, proprio la coscienza di un sé che trascenda la fisicità è ciò che a loro manca.

Di parole sulla vicenda, in questi giorni, se ne sono dette molte. A volte, la sensazione è stata più sgradevole di quanto lo sia abitualmente: scriverne e leggerne, se non serve a capire, fa sentire come gli ennesimi utilizzatori finali delle vite degli altri. E non è il caso.