Gessetti

Non troppo tempo fa, la cronaca ‘etnica’ era affidata a blog specializzati nel collezionare tutti i crimini degli immigrati. Ovvero, fatti più o meno verificabili appartenenti alla cronaca locale, spesso estera, che di norma non finirebbero mai su carta o in un tg. Questa nicchia tra lo pseudo-giornalismo e la pura propaganda è sempre stata un mondo a sé, finché non ha finito col contaminare l’informazione mainstream creando un ibrido fazioso a uso e consumo di opposizioni sguaiate e dozzinali, in Italia come in quasi tutti i Paesi occidentali.

Trovano ora spazio, in prima pagina, crimini cruenti che hanno in comune tra loro e col terrorismo islamista solo la componente etnica, che poi è l’unico motivo del loro essere elevati a notizie di respiro internazionale. Non parliamo di delitti direttamente legati al terrorismo o comunque rivendicati, ma di episodi messi sullo stesso piano o in continuità con certo Islam militante solo sulla base della provenienza, dell’origine o della fede degli autori.

Il disprezzo con cui certi ideologi dello scontro di civiltà liquidano ogni tentativo di dibattito o di esercizio della ragione come un inutile atto di buonismo non è che il contraltare dei tagliagole e degli uomini-bomba, pregno di un fanatismo speculare rispetto a quello dei fondamentalisti islamici e altrettanto pericoloso.

Chi si occupa di cronaca fa il proprio lavoro quando informa su quel che accade nel mondo. In questi giorni, però, assistiamo a qualcosa di diverso: un giornalismo dell’angoscia o della paura, etnicamente orientato, che rincorre il sensazionalismo stragista.

La velocità delle comunicazioni telematiche, combinata con l’impazienza nella ricerca del morto per mano dello straniero o del cittadino europeo di origini straniere, mette a disposizione dei predicatori d’odio religioso occasioni imperdibili per dare lustro all’internazionale del terrore e mostrare una potenza che, invece, sul piano militare si sta esaurendo, visto il crescente arretramento dello Stato islamico su tutti i fronti bellici. Non solo.

L’acritica diffusione di notizie di reati terrificanti come sconfitta o resa incondizionata del potere costituito, solo perché fa comodo a chi è comodamente all’opposizione a far campagna elettorale, incoraggia un intero esercito atipico di “assassini della porta accanto” a compiere il grande gesto di gloria, perché ogni piccola e orripilante azione potrebbe, secondo questa visione, essere quella decisiva per finire il nemico. La realtà, ovviamente, è ben diversa, ma ciò che conta da queste parti è giocare col disfattismo a scopo di propaganda politica.

Si gestisce politicamente la scarsa capacità di reazione alla minaccia islamista come se fosse un tema qualsiasi, cioè risolvibile nella naturale alternanza del colore politico dei governi, con la stessa faccia tosta con cui si rimprovera la responsabilità per le buche nel manto stradale all’amministrazione comunale di turno. Perché “tanto peggio, tanto meglio”: i morti, intanto, portano voti. Poi sarà il carisma di Mastro Lindo a mettere ordine a tutto.

In Europa le classi politiche sono palesemente impreparate, a livello programmatico e strategico, sul come vincere la guerra contro i mostri fondamentalisti. Ma, in questa paralisi valoriale e ideale, non potrà essere (solo) un cambio di amministrazione a rendere più sicure le nostre città. Perché stanare gli estremisti e prevederne gli attacchi non è facile come asfaltare strade.

Ora si può vivere di rendita monetizzando il sangue dei morti, a colpi di clic o in termini di voti, perché ciò permette di “asfaltare” l’avversario politico; tuttavia, verrà il momento in cui le attuali opposizioni, in tutta Europa, dovranno misurarsi con qualcosa che non sono più abituate a trattare: la realtà. Niente più sermoni su quanto siano inutili le fiaccolate o i tanto vituperati gessetti colorati, diventati il simbolo delle ossessioni feticiste di certi partiti e dei loro funzionari, col pallino del politicamente corretto e del buonismo solo perché non sono in grado di parlare d’altro.

Per esempio, nessuno dei “patrioti” che militano nelle nostre opposizioni ha mai pensato a come occuparsi delle sacche d’emarginazione che si sedimentano in tutte le nostre città. È un problema risolvibile solo eliminando o selezionando gruppi etnici? Erigere muri in mare può bastare? E con gli immigrati di seconda o terza generazione che facciamo? Erigiamo muri pure nelle città, nelle strade, nei bus, nelle discoteche, nelle scuole e nei palazzi? Andiamo sul classico: pulizia etnica? Sdoganiamo anche questo in nome della lotta al perbenismo e al politicamente corretto? Soprattutto, cosa propongono le attuali opposizioni per il giorno dopo la grande cacciata dei Babbani e dei mezzosangue? Automaticamente vivremo nella terra dove scorrono latte e miele o ci sarà bisogno d’altro? E precisamente, di cosa? Parliamone: potremmo forse scoprire come la pensano realmente le opposizioni, invece di discutere della palese inutilità dei gessetti colorati.

Chi ancora ostinatamente si definisce liberale o chi, pur con altre definizioni, continua ad avere a cuore l’economia di mercato e la limitazione dell’intervento dello Stato e della spesa pubblica deve sforzarsi per cercare e per trasmettere una diversa idea del mondo, in particolare su come dovrebbe essere organizzato e governato lo Stato del futuro.

Che si voglia cementificare il Mediterraneo, per tener lontani i presunti invasori, o bombardare gli scafi prima che partano, compiendo veri e propri atti di guerra, o adottare il premiato modello Srebrenica contro il buonismo imperante, o che si voglia, al contrario, insistere per l’eliminazione delle difficoltà che ancora si frappongono allo sviluppo armonioso delle società europee (per dirla con una parolaccia, parliamo di “integrazione”), saranno necessari investimenti massicci da parte dello Stato. E cioè si dovrà investire sulla cultura, con la quale forse non si mangia - e lo sappiamo - ma senza la quale si muore comunque. Non basta.

Si dovrà investire nelle politiche sociali, non meno che nella sicurezza e nella difesa. Con questo, certo, non s’intende fare riferimento ad altre regalie a questa o quella categoria di lavoratori, ma a un programma ambizioso di investimento sull’ossatura della società, oggi ripiegata su sé stessa a causa di un’eccessiva conflittualità e di un pericoloso smarrimento dovuto alla mancanza di valori condivisi.

Quella che deve nascere è una società con un autentico spirito civico europeo, che si fondi sul rispetto di pochi ma chiari e inderogabili principi di salvaguardia dei diritti umani. Tutto questo non può essere calato direttamente dall’alto. Sarebbe impensabile. Però non si può neanche tollerare che dall’alto qualcuno istighi all’odio e allo scontro di inciviltà esattamente come fanno i tagliagole.

I diritti umani devono diventare terreno di condivisione e da questi bisognerà muovere nell’educazione, nella formazione, nell’amministrazione della cosa pubblica, ma anche nella comunicazione, nei dibattiti, nelle riflessioni e nell’approccio con le culture diverse. Affinché chiunque provenga da un’altra parte del mondo sappia che su certi principi non si discute (più), e che, se è vero che in una società democratica, pluralista e aperta non si può rinunciare al multiculturalismo, è anche vero che su alcuni valori di fondo non si può (più) transigere. Risulta più facile dire a chi vuole investire, lavorare o rifugiarsi in un Paese europeo che la condizione per poter restare è il rispetto di certi principi e che non deve predicare o perseguire l’esatto contrario, se siamo noi i primi a crederci e a compattarci graniticamente su di essi.

Non possiamo considerare gli Stati alla stregua di club della vela o del golf, in cui è difficile entrare, ma al cui interno i membri possono fare quel che vogliono. Ma non possiamo nemmeno, con la scusa della globalizzazione, trasformarli in discariche morali, in cui si entra, si esce, si fa affari con chiunque ed è vero tutto e il contrario di tutto, mentre ciascuno predica il proprio estremismo eversivo e delirante, facendosi beffa di secoli di civiltà con la scusa dell’antiperbenismo, seminando bufale, ansia e superstizione, con sistematiche circonvenzioni d’incapaci.