"Novantatré" è il libro-diario di Mattia Feltri sulle inchieste di Tangentopoli, che ripercorre un anno fatale per la politica italiana, a partire dal 15 dicembre 1992, giorno del primo avviso di garanzia a Bettino Craxi. "Novantatré" non è un diario in tempo reale, ma raccoglie le cronache pubblicate da Feltri dieci anni dopo, nel 2003, sul Foglio, alla luce di quanto era nel frattempo successo, ma anche delle impressioni che l'esplosione di Tangentopoli aveva suscitato in diretta nell'allora giovane cronista di giudiziaria del Giornale di Bergamo. In questo articolo, Simona Bonfante racconta il suo "Novantatré" visto da una Sicilia apparentemente lontana all'epicentro del terremoto politico-giudiziario, ma del tutto interna e paradigmaticamente rappresentativa della politica primo-repubblicana.

di pietro copia

Nel 1992 ho vent’anni, vado all’Università, vivo a Messina - provincia parassitaria, gretta, molle che vivacchia di soldi pubblici, connivenze private e dove tutto passa dalla politica. Tutto: il posto in ospedale, il posto per la moglie, il voto allo scrutinio per il figliolo liceale, il rinnovo della carta d’identità. Non siamo a Milano, dunque.

A Messina l’uso discrezionale ed abbondante di denaro pubblico, l’abuso d’ufficio, la negazione della libera concorrenza non sono le conseguenze di un’offerta politica corrotta ma “la” domanda politica. E c’è anche un certo candore in questo, una specie di inevitabilità perseguita più che subìta. Si va dal politico perché faccia pressione sulla commissione esaminatrice del concorso pubblico al quale si deve partecipare, o per il trasferimento della sorella ad un ufficio che la signora possa raggiungere a piedi. Si va per raccomandare che il nipote poco dotato venga promosso e, di raccomandazione in raccomandazione, accompagnato fino al conseguimento del titolo di Dottore, perché gli si spalanchino le porte all’empireo del funzionariato para-statale. Ci si rivolge al politico per sanare l’abuso edilizio della villetta al mare e far avere al cognato agricoltore una via preferenziale all’ultimo fondo inutile per lo sviluppo del Sud. 

C’è sempre qualcosa di abusivo, arbitrario, moralmente controverso da chiedere al politico - ma lo si chiede senza problemi, senza il minimo sospetto di correità.

Messina ha una delle costituency elettorali nella baraccopoli del terremoto del 1908, baracche nel frattempo cementate e tramandate alla progenie, e comunque sempre ancora là. A Messina, a differenza di Milano, non esiste economia non-pubblica. Non esiste dimensione del pensiero che non sia perimetrata dalla concessione del sovrano. Non è poi così scontato d’altronde raggiungere l’obiettivo concessorio, data la concorrenza dei bravi o degli ancora meglio ammanicati. L’autorevolezza e il know-how del concessore vengono quindi ponderate dal questuante, riconosciute, premiate. Il sistema, nella sua aberrazione, si auto-alimenta, equilibra e perpetua con equanime soddisfazione.

Nel 1992 arriva Tangentopoli, e se i nomi degli amministratori milanesi non dicono molto in periferia, i nomi siciliani arriveranno e quando arrivano, si alza il sipario del teatro pirandelliano. Gli amici diventano estranei, l’ostentazione cafona - cifra topica del gioco sociale urbano - si fa improvviso oggetto di stigma; addirittura materiale per trame diffamatorie, strumento probatorio della propria alterità. Il dipietrismo, che pure come moda arriva anche là, è pura dissimulazione, sfacciato opportunismo - uno, nessuno e centomila.

“Novantatré: gli anni del terrore di Mani Pulite” è un diario - raccolto da Mattia Feltri dieci anni dopo e riletto oggi, a vent’anni dai fatti - delle aberrazioni che siamo stati capaci di dire, quindi evidentemente anche di pensare e di fare, durante quel topico anno del regime forcaiolo. Mattia Feltri, figlio di Vittorio, direttore de L’Indipendente, ha vent’anni anche lui all’epoca, ed è a Milano. E non solo è a Milano, è non ancora attore ma certamente già spettatore in prima fila dello show.

Ed oggi in quella pièce catartica interpretata dal Pool, dai giornalisti, dai politici ma anche un po’ da tutti noi, il più giovane dei Feltri nel frattempo diventato adulto vede un’altra cosa, una farsa tragica, anzi peggio: un remake grottesco di Piazzale Loreto. Un remake in cui si vede la Seconda Repubblica fondarsi su un cortocircuito sanguinario e se ne vede l’ipocrisia della memoria selettiva, ed il fardello di ingiustizia patria che questo comporta.

Per la Piazzale Loreto della Prima Repubblica non ce ne siamo mai voluti fare una questione, noi italiani, noi antifascisti ecc ecc. Abbiamo rimosso e punto. E così è stato anche per l’altare sacrificale al quale abbiamo consacrato la Repubblica dell’onestà.

Ma una comunità istituzionale che fa della forca - cieca, irrazionale, improduttiva - la propria fonte battesimale crolla per forza sotto il peso delle menzogne e della violenza che essa stessa deve generare e tramandare perché la struttura dia l’impressione di tenere. D’altronde, vediamo anche oggi quali aberrazioni liberticide prospetti la “democrazia degli onesti”, e con quale perseveranza le si persegua.

Ecco, questa è la ragione per cui il Novantatré - con gli avvisi di garanzia, i processi in tv, le monetine e tutto il resto - è l’anno in cui io sono diventata craxiana.

@kuliscioff