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Nel Paese dove ogni politico che parli di agricoltura non manca di intonare un peana al “Made in Italy” è opportuno provare a sfuggire il più possibile a stereotipi da stadio, pro o contro questa o quella tipologia di colture. L’Italia non è “una”. E neppure l’agricoltura è “una”, se non per quelli che vorrebbero che tutta l’agricoltura fosse solo quella che conviene loro.

L’Europa ha fatto per l’agricoltura fin troppo. Ha inondato i nostri Paesi di incentivi, ha innalzato barriere protezioniste (dazi), drogando il mercato per favorire i produttori interni a scapito degli esterni. In una metafora possiamo dire di aver inconsciamente preferito l’importazione di raccoglitori di olive, piuttosto che quella delle olive, con il risultato – Salvini docet – di “maledire” i primi (“no agli immigrati tunisini!”), ma di continuare a osteggiare le seconde (“no all’olio tunisino!”).

Però oggi, con l’ingresso di molti paesi a trazione agricola, e con nuove emergenze che si scaricano sul bilancio dell’Unione, la torta da suddividere in Europa va assottigliandosi e questa tendenza sarà sempre più evidente nel prossimo futuro, a partire dalla prossima programmazione 2021-2028.

In questo contesto, ogni azienda agricola italiana è costretta a porsi in modo nuovo di fronte al futuro e a divenire sempre più – finalmente! – una vera e propria impresa, che opera scelte, trae profitti e paga conseguenze di scelte sbagliate, senza seguire pedestremente e burocraticamente i contributi europei. Sempre di più le aziende – visto che anche in Europa l’economia agricola tornerà a essere sempre più un economia di mercato – si misurano con le potenzialità dei propri territori per scegliere quale mercato occupare.

A nostro avviso in questo settore che, ancorché ritenuto marginale da molti, è in realtà uno dei veri motori del futuro sviluppo nazionale, si deve riuscire ad affrontare gli anni a venire con una sorta di strabismo, riuscendo a guardare contemporaneamente avanti e indietro. Il supposto contrasto tra diverse tipologie di agricoltura - biologica, tradizionale, transgenica, biodinamica - è in realtà un contrasto del tutto fittizio. Oggi ogni azienda deve potere scegliere, sotto il cappello della cosiddetta “coesistenza” promossa dall’Europa, il settore dove operare e vendere i propri prodotti. La vera sfida è infatti quella dell’etichettatura con l’informazione ai consumatori delle provenienze, delle qualità e delle varietà utilizzate, nonché dei sistemi di coltura adottati. Sarà il consumatore, sempre più informato e consapevole, a dettare cosa può stare sul mercato e quali prodotti premiare. Per questo noi non ci inseriamo in un dibattito tra chi tifa per gli OGM e chi tifa contro gli OGM. Noi facciamo un ragionamento pragmatico che parte da dati scientifici, economici e sociali. 

È un fatto che in molti settori della produzione agraria, e più in generale di tutto quanto ruota attorno al comparto dell’alimentazione umana, la differenziazione premia. Dopo decenni nei quali l’agricoltura ha avuto come unico obiettivo l’incremento delle produzioni con la selezione di varietà sempre più produttive ma al contempo sempre più omologate, oggi la riscoperta degli antichi sapori, delle antiche varietà, delle differenze e delle peculiarità, sono un aspetto di marketing essenziale. È per questo che molti non comprano più semplicemente mele o pere ma acquistano e conoscono varietà differenti, alcune recuperate da banche dei semi che ormai parevano solo destinate a rimanere dentro musei a futura memoria. Non si cerca più solo la perfezione del frutto, la dimensione grande, la lucentezza della superficie ma si è attirati, giustamente, dalla miriade di differenze che secolari selezioni genetiche hanno costruito e di cui avevamo perso memoria.

Quel che vale per la frutta in genere è oggi di attualità per le farine. Molti consumatori non si limitano a comprare una farina di grano o di mais ma cercano la farina di una specifica varietà, macinata con una specifica tecnologia. Per i produttori, riuscire a riportare sulla tavola varietà antiche di mais o di grano significa spuntare un prezzo migliore rispetto al mais o al grano della monocultura classica, riuscendo a sopperire in termini economici a produzioni ad ettaro ovviamente inferiori. Gran parte dell’indotto del turismo, in particolare del turismo enogastronomico legato indissolubilmente ai paesaggi tipici delle zone di produzione, deriva proprio dalla capacità di puntare su antiche varietà portando le persone del luogo - ma soprattutto chi arriva da fuori - ad associare quelle colline a quei sapori, quelle coltivazioni a quei colori; in sostanza ad assaggiare un territorio.

Ovviamente questa agricoltura che guarda apparentemente indietro può reggere solo se saprà guardare avanti rispetto all’utilizzo di tutte le nuove tecnologie, in termini di meccanica e meccanizzazione agraria, di irrigazione e di riduzione al minimo di input energetici (concimi, fitofarmaci, carburante, acqua). È illusorio tornare indietro e basta; occorre riportare alla luce i reperti storici di sapori dimenticati con il massimo di tecnologia possibile.

Questa nuova frontiera che alcuni pionieri stanno da tempo sperimentando è in contrasto con l’utilizzo degli OGM? Semplicemente si tratta di una scelta alternativa che deve essere libera. Occorre essere consapevoli che mentre una nicchia sempre più ampia di consumatori nei Paesi ricchi cerca ed esplora sapori e tradizioni, la fetta più grossa consuma e basta perché non ha sviluppato una sofisticata cultura del cibo o perché non ha risorse sufficienti per procurarsi cibi di particolare qualità (non solo nei paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli sviluppati). Per questo l’utilizzo di tecnologie genetiche avanzate, che superino i vecchi sistemi di realizzazione di nuove varietà (con incroci di decenni o con l’utilizzo di radiazioni), non è il diavolo: è semplicemente un ulteriore strumento, il più controllato di tutti, per migliorare e aumentare le produzioni quando si lavora su scala più ampia.

Tutto in agricoltura è innovazione, sia il recupero del passato sia l’invenzione del futuro. Senza innovazione (e quindi senza avanzamento tecnologico), l’agricoltura non potrà né garantire l’efficienza delle produzioni, né salvaguardare la cosiddetta biodiversità dei prodotti. La libertà di scelta per gli imprenditori agricoli e la libertà di scelta informata per i consumatori sono gli obiettivi primari da seguire. Il resto è tifo e non è né utile né interessante.

@igorilicboni
@carmelopalma