Salvini parla

Come, ormai, accade sempre più spesso, anche ieri alcune parole pronunciate da un'alta carica dello Stato italiano sono state utilizzate dalle opposizioni per fare un po' di quella che a Roma si definisce caciara. Questa volta, tuttavia, le conseguenze inintenzionali di questa alzata d'ingegno potrebbero esulare dal consueto gioco delle parti e ispirare qualche riflessione più seria del solito.

Riassumiamo la vicenda: domenica 10 aprile il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inaugurato la manifestazione Vinitaly con un fervorino incoraggiante, specificando, tra l'altro, come "il destino dell’Italia sia legato al superamento delle frontiere e non al loro ripristino".

Alla parola "frontiere", naturalmente, si è scatenato il riflesso pavloviano dei vertici leghisti, che, nella persona di Matteo Salvini, hanno ritenuto di emanare un duro comunicato via Facebook: "Se [Mattarella] lo ha detto da sobrio, un solo commento: complice e venduto."

L'esternazione ha avuto, come effetto immediato, quello desiderato, cioè procurare al segretario della Lega Nord un nuovo giro di minacce di denuncia, ospitate televisive e prime pagine (sottraendo probabilmente tempo al suo indefesso lavoro di parlamentare europeo, ma si sa, per difendere i patrî confini nessun sacrifizio è troppo grande); effetti secondari, invece, si possono considerare le critiche di molti che hanno argomentato all'incirca così: "Salvini non ha capito, Mattarella si riferiva all'export di vino italiano nel mondo".

Ecco, io ritengo invece che Salvini, per aver di fatto chiarito che il suo no all'apertura delle frontiere è bilaterale, sia da elogiare senza riserve, perché squarcia per un attimo il velo di Maya dei due pesi e due misure che quasi tutti usano quando si parla di importazioni ed esportazioni. Le sue parole riportano sincerità e coerenza in un dibattito pubblico che ne è sempre più drammaticamente privo.

Se, infatti, si costruisce la propria fortuna politica (anche) sulla battaglia per la chiusura delle frontiere, per l'autarchia alimentare travestita da "chilometro zero" e per i dazi sulle merci straniere, è senza dubbio un bene che se ne chiariscano tutti gli aspetti, non solo quelli che fanno comodo.

Inoltre - aspetto da non trascurare - per Salvini sarà certamente facile, grazie alla sua innata capacità comunicativa, spiegare ad agricoltori, allevatori e viticoltori che, una volta chiuse le italiche frontiere, anche il nostro export agroalimentare subirà una battuta d'arresto. Il segretario leghista è proprio la persona giusta per far capire alla gente che, se l'Italia mette i dazi sul famigerato olio tunisino e su qualunque altro prodotto venga dal minaccioso "estero", sarà scontato e naturale che dall'estero vengano applicati dazi analoghi o peggiori sui prodotti italiani.

Troppo facile, per i rappresentanti dell'agroalimentare italiano - delle cui istanze protezioniste il leader della Lega si fa spesso e volentieri portavoce - chiedere con toni ultimativi la chiusura delle frontiere alle merci straniere e poi pretendere di esportare liberamente i propri prodotti come se nulla fosse, accettando, del mercato globale, solo la parte funzionale alla propria convenienza e rifiutando quella che potrebbe costringerli a competere e modernizzarsi.

Basta coi due pesi e due misure, dunque: ideas have consequences, e Salvini, col suo intervento, ha indicato a chi lo segue la portata delle conseguenze delle sue idee, avendo anche (a differenza che in passato, quando ha attribuito agli Stati Uniti e all'Europa la colpa delle sanzioni imposte dalla Russia di Vladimir Putin sull'agroalimentare europeo) il coraggio di implicare che la responsabilità di un eventuale stop alle esportazioni dall'Italia sarebbe solo sua e di chi la pensa come lui.