stradedelcibo quadratoTra i tanti luoghi comuni sull’olio di palma c’è quello, assai diffuso, secondo il quale la coltivazione della palma da olio sarebbe in mano a grandi multinazionali, che avrebbero espropriato i contadini e i piccoli produttori della terra necessaria alla loro sussistenza. Un’immagine suggestiva, favorita dal successo commerciale dell’olio di palma nell’industria alimentare, e soprattutto dalla distanza fisica dai luoghi di produzione, sufficiente ad alimentare qualsiasi leggenda. D’altronde, chi è in grado di andare a controllare?

Sono andato a Milano a EPOC 2015, la conferenza annuale organizzata dall’European Palm Oil Alliance, un po’, diciamo così, prevenuto: su Strade abbiamo scritto molto sull’olio di palma, è normale che ci invitino, ma è anche normale attendersi un dibattito squilibrato, un’esegesi dell’olio di palma e delle sue virtù salvifiche. D’altronde, a EPOC si incontrano tutti gli stakeholders della filiera, portatori di interesse, non osservatori neutrali.

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Invece ciò di cui più di ogni altra cosa ci si può rendere conto in circostanze del genere è la complessità, che non viene mai trasmessa dall’informazione, soprattutto quella più “attivisticamente modificata”. Un esempio è proprio la questione dei piccoli produttori. Nel dibattito ci si arriva per una strada diversa da quella che uno potrebbe attendersi: si parla di sostenibilità ambientale della coltivazione della palma da olio, e Stefano Savi di RSPO (Roundtable for Sustainable Palm Oil, l'ente che si occupa della certificazione della sostenibilità ambientale della filiera dell'olio di palma) risponde ad alcune domande. Il problema maggiore, dice, sono i piccoli produttori, che spesso non ne vogliono sapere di adottare standard sostenibili, o che comunque fanno resistenza. Hanno sempre lavorato in una certa maniera, difficile convincerli che da oggi a domani si fa in un altro modo, perché qualcuno dall’altra parte del mondo ha deciso così. Mi sembra di rivedermi in campagna, ogni volta che acquistavo un’attrezzatura innovativa, o che provavo a cambiare qualcosa nelle tecniche di lavorazione, e suscitavo lo scetticismo dei miei vicini. A volte avevo ragione io, a volte loro, ma il punto è che gli agricoltori, ovunque nel mondo, sono abitudinari, e tendono a non cambiare. Più sono piccoli, poi, più sono conservatori, ed è ovvio che sia così: un esperimento fallito può pregiudicare l’intero raccolto, e più la tua sussistenza dipende da quel raccolto, meno sei propenso al rischio.

Quindi, se ancora solo il 20% dell’olio di palma è certificato secondo gli standard dell’RSPO, non lo si deve alla perfidia delle multinazionali che se ne fregano dell’ambiente e passano come ruspe (e con le ruspe) sopra a tutto e tutti. No: lo si deve al fatto che la coltivazione dell’olio di palma è in mano, per l’80% del totale, a piccoli e piccolissimi agricoltori: difficili da convincere a cambiare tecniche produttive, difficili da controllare, proprio perché tanti. Ma come, non era tutto in mano alle multinazionali?

E' un bene? E' un male? Né l'una né l'altra cosa, probabilmente, solo un fatto del quale è necessario prendere atto perché, mentre cade una leggenda, si apre una problematica interessante: paradossalmente sarebbe meglio, per l’ambiente naturale, che a coltivare le palme fossero grandi e grandissime aziende. Ma è questo quel che si vuole? E’ la contraddizione che si avverte anche nell’interessante intervento di Eva Alessi, del WWF, che pure sulle campagne di boicottaggio dell’olio di palma non ha dubbi: sono sbagliate, disincentivano l’uso dell’olio di palma certificato e potrebbero indurre a preferire alternative all’olio di palma meno produttive, e che quindi imporrebbero il sacrificio di più terra coltivabile. “Coltivare secondo gli standard ambientali è un nostro interesse, e vogliamo farlo sempre di più - interviene un indonesiano dal pubblico - ma gli stessi standard sono adottati anche per le alternative all’olio di palma? Sarebbe giusto che lo fossero”.

E se da una parte c’è la complessità, dall’altra c’è l’ultrasemplificazione: la maggior parte delle persone che pensano che l’olio di palma faccia male alla salute non sanno spiegare perché, e a cosa esattamente faccia male, secondo un sondaggio illustrato da Laurent Cremona di Ferrero. Fa male e basta, semplice no? E’ il frutto marcio della diffusione di notizie confusionarie e spesso false, come ricorda nel suo intervento Giorgio Donegani della Fondazione Italiana per l’Educazione Alimentare. E forse il punto è proprio questo. L’ignoranza e la scarsa informazione sono il terreno di coltura migliore per le mistificazioni, e sull’olio di palma finora ne abbiamo sentite fin troppe.