Siamo dotati di una sorta di sistema immunitario che ci impedisce di cambiare le nostre convinzioni più profonde e radicate. Ma è proprio la conoscenza critica dei processi controintuitivi della scienza - più che improbabili 'pillole di verità' - a formare il sistema immunitario migliore contro il pregiudizio.

Corbellini anticorpi

La ricerca sperimentale nell’ambito degli studi di psicologia sociale ha confermato che la cosiddetta mente umana possiede una sorta di “sistema immunitario” che protegge da credenze e opinioni diverse da quelle maturate o stabilizzate con l’educazione o l’esperienza.

Di fatto, le nuove credenze o opinioni, ovvero gli argomenti che mettono in discussione il sistema personale di valori, sono percepite come potenzialmente destabilizzanti per l’identità psicologico-sociale fin lì faticosamente costruita e mantenuta. I meccanismi dell’autoinganno portano peraltro a sottovalutare la precarietà di quella funzione di integrazione e persistenza della nostra presenza a noi stessi, che chiamiamo “io”.

L’immunità verso le novità e le critiche, che tende a prevalere quanto più si avanza con l’età adulta, riguarda ogni ambito delle decisioni umane che possono associarsi a qualche percezione, vera o falsa, di minaccia. Sono della stessa categoria le resistenze che scienziati e medici possono maturare, per qualche ragione extrascientifica, contro spiegazioni dei fatti diverse da quelle preferite.

Quella che potrebbe essere definita una sorta di “legge” dell’immunità ideologica dice che le persone con forti credenze sbagliate e fondate su false percezioni di alcuni fatti reagiscono ai tentativi altrui di correggere tali inganni accentuando le false credenze. È quello che gli psicologi politici chiamano anche “ritorno di fiamma”, e che in ogni caso implica una condizione già descritta intorno al 1960 da Leon Festinger.

“Una persona che ha una convinzione – sciveva Festinger – è difficile che la cambi. Ditele che siete in disaccordo con lei, e se ne andrà. Mostratele fatti e numeri, e metterà in discussione le vostre fonti. Fate ricorso alla logica, e non sarà in grado di capire il vostro punto di vista”. Il concetto di “dissonanza cognitiva” fu introdotto da Festinger per descrivere le situazioni in cui lo stesso individuo può coltivare credenze e comportamenti tra loro incoerenti, che inducono automaticamente a ricercare una qualche consonanza attivando diverse strategie di elaborazione cognitiva o comportamentale compensatoria.

Pediatrics, la più autorevole rivista di pediatria, ha pubblicato l’anno scorso (nel mese di marzo) uno studio, ideato da Brendan Nyhan, che insegna scienze politiche alla Michigan University, in cui si dimostra che la comunicazione pubblica sui vaccini è in larga parte sbagliata. Questo perché non tiene conto dei bias cognitivi ed emotivi attraverso cui le persone filtrano i fatti e le informazioni; ovvero del fatto che raramente le false percezioni, anche di fatti scientificamente acclarati, si possono correggere somministrando, semplicemente, la “verità”.

Lo studio arruolava 1759 genitori statunitensi coinvolgendoli in un esperimento in cui essi erano casualmente suddivisi in quattro gruppi, ognuno oggetto di specifiche e differenziate forme di comunicazione volte a far capire l’utilità della vaccinazione MMR (quella ritenuta dai fanatici responsabile dell’autismo), o un gruppo di controllo.

Il risultato è stato che nessuno degli interventi di comunicazione rivolti ai genitori che non intendevano vaccinare i figli li ha smossi da quell’atteggiamento. Tra l’altro, quando i genitori che avevano l’atteggiamento meno favorevole verso il vaccino capivano la falsità delle tesi che associano la vaccinazione MMR all’autismo, essi correggevano le loro false percezioni, ma riducevano anche ulteriormente l’intenzione di vaccinare i figli. Inoltre, l’uso di immagini o racconti che mettevano in evidenza i rischi di non vaccinare induceva nei genitori un aumento della credenza in un legame tra vaccino e autismo, o un’aumentata percezione dei rischi di effetti collaterali dovuti alla vaccinazione.

Anche se l’esperimento è stato criticato, perché i partecipanti in qualche modo sapevano di esser parte di una situazione costruita, in realtà risultati analoghi sono stati ottenuti in altri studi. E confermano, tra l’altro, una scoperta costante sui fattori che influenzano come e quanto le persone possono fidarsi delle informazioni sanitarie dissonanti rispetto a quello in cui credono.

Le pseudoscienze e le credenze non scientifiche sono largamente diffuse e fioriscono anche nelle società il cui funzionamento dipende sempre di più, se non quasi del tutto, da conoscenze scientifiche, di base e applicate. È ormai facile, anche per chi di mestiere fa lo storico, capire e spiegare quali processi e meccanismi comportamentali hanno fatto sì che così a lungo l’uomo si sia lasciato ingannare dai venditori di illusioni.

Esiste una letteratura monumentale da cui risulta che veniamo al mondo con un cervello e predisposizioni cognitive ed emotive che rimangono in larga parte quelle evolute dai nostri antenati per sopravvivere nel Paleolitico, e che, se non educhiamo opportunamente i cuccioli umani e non facciamo una costante manutenzione degli strumenti critici che ci può fornire l’istruzione scientifica, è del tutto normale cadere nelle trappole delle credenze intuitive, che ci mettono alla mercé di diverse categorie di impostori.

Le credenze pseudoscientifiche e le loro origini sono spiegate da studi neurocognitivi, dai quali risulta appunto che, se non si interviene correggendo una serie di bias e fraintendimenti che strutturano il modo comune o più spontaneo di ragionare, non si riesce a distinguere tra spiegazioni scientifiche e argomenti o credenze pseudoscientifiche. Senza contare che i fattori che condizionano la comunicazione interpersonale in contesti sbilanciati, e che determinano l’efficacia persuasiva degli impostori, agganciano predisposizioni emotive, anch’esse ancestrali e molto resistenti ad argomenti che siano “solo” razionali.

È importante che gli studiosi dei bias cognitivi che sono all’opera nelle mistificazioni politiche dei fatti collaborino con i medici, per entrare nel merito di come funziona la mente umana e di quali siano le strategie più efficaci per combattere le false credenze che possono danneggiare persone e comunità. Come è stato per il caso Stamina, o per l’idea che i vaccini siano pericolosi. Perché i fenomeni sono più o meno della stessa natura. E studi come quello pubblicato da Pediatrics dimostrano che le idee di democrazia deliberativa o partecipativa rispetto a questioni mediche percepite come controverse sono illusorie se non si interviene direttamente ai livelli decisionali istituzionali per assicurarsi che le scelte siano effettuate sulla base di fatti accertati e non falsamente interpretati.

I meccanismi e processi che inducono o fanno preferire agli esemplari della specie umana di “credere” senza “controllare” sono ben descritti. Meno chiaro è come riuscire a modificarli per renderli adeguati ai contesti della modernità. Intanto ci si dovrebbe domandare chi e quanti siano quelli che riconoscono l’esistenza del problema, in quali termini, etc. Probabilmente la questione della dissonanza tra le nostre dotazioni cognitive più naturali e le esigenze di efficienza poste da società fondate sull’uso di conoscenze controllate è avvertita da una minoranza, e diventa di interesse generale quando esplodono casi eclatanti o abusi. Come il caso Stamina. Senza che ci si accorga che i casi esplodono perché esistono condizioni specifiche che lo consentono.

Si può sostenere che più cultura scientifica risolverebbe il problema? Forse. Ma non c’è da scommetterci. Esistono indizi per cui si può ipotizzare che non sia tanto la cultura scientifica quanto piuttosto la comprensione critica di come funziona la scienza, che può essere acquisita solo attraverso specifici processi di istruzione, a poter riprogrammare l’immunità ideologica per indirizzarla contro le imposture della pseudoscienza e la loro contagiosa diffusione sociale.

Questo significa usare nelle scelte politiche, in ambito scolastico e universitario, soprattutto per quanto riguarda la formazione delle élite professionali, le migliori prove su come sia possibile o più probabile ottenere come risultati dei percorsi di apprendimento capacità di critica razionale, rispetto per i fatti controllati e autonomia di giudizio. E su questo punto, purtroppo, i politici sono i primi a resistere, perché sarebbero decisioni che non producono consenso.