La vicenda della Xylella, degli ulivi pugliesi e della magistratura che sospende le eradicazioni è ormai di pubblico dominio, e ha fatto fare all’Italia l’ennesima pessima figura nel consesso scientifico internazionale. Tuttavia, all’estero è stata compresa solo parzialmente, perché non si è considerato nella sua importanza l’elemento narrativo e complottista di tutta la storia.

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Chiunque abbia dimestichezza con i romanzi di Dan Brown non farà fatica ad ammettere che la ricostruzione offerta dalla Procura di Lecce di quanto sta accadendo agli ulivi pugliesi infettati dalla Xylella contiene tutti gli elementi di un bestseller di successo: ci sono i buoni e puri (i contadini pugliesi che difendono le loro piante dall’eradicazione e i giudici che cercano di proteggerli), i cattivi “di secondo livello” (un gruppo di scienziati locali corrotti che avrebbe inoculato volontariamente il batterio nelle piante) e i cattivi “di primo livello” che appartengono al Grande Potere Occulto (nelle vesti della multinazionale Monsanto che, in termini di immagine pubblica, ha poco da invidiare al Priorato di Sion di browniana memoria).

Non mancano altri strumenti adatti a un thriller pronto a finire sul grande schermo e a sbancare i botteghini: provette con agenti infettivi che viaggiano da un Paese all’altro nelle mani di scienziati senza scrupoli e squadre vestite con tute bianche protettive che svolgono manovre sospette in campi segnalati dall’inquietante scritta “sperimentale” (un episodio chiaramente ispirato ai copioni scientifici di Michael Crichton).

L’avessimo letta in un libro comprato all’Autogrill, sulla strada per il mare, avremmo trovato questa storia fin troppo banale: il prototipo di tutte le trame complottiste, senza nemmeno un guizzo di creatività. Fermo restando che è in corso un’indagine e che la magistratura ci sta lavorando, alla luce degli elementi disponibili, la storia suona scontata perché tutte le ricostruzioni complottistiche di eventi reali riconducibili a spiegazioni ben più semplici seguono schemi analoghi, non a caso ripresi dagli autori di fiction.

La Xylella è purtroppo una fitoinfezione ben nota, contro la quale, al momento, nessuno ha trovato un rimedio migliore dell’eliminazione fisica delle piante infette per limitare il contagio. Gli scienziati e le persone che conoscono il problema, in Italia e nel mondo, si stupiscono di fronte allo sviluppo di questa vicenda, di cui hanno cominciato a occuparsi anche i giornali stranieri, dal momento che il mancato rispetto dei protocolli di eradicazione dell’infezione mette a rischio l’intero continente: l’impressione, però, leggendo gli articoli usciti all’estero, è che sfugga la dimensione complottistica che permette di interpretare il tutto in una chiave diversa.

Lo studio scientifico delle teorie del complotto è relativamente recente e utilizza strumenti come la sociologia e la psicologia sociale. È nato negli anni ’70, negli Stati Uniti, a seguito del dilagare di curiose teorie sull’omicidio del presidente Kennedy e del tentativo di spiegare la persistenza nel tempo di alcune interpretazioni di eventi che, seppure fantasiose, possono avere una influenza nefasta sul decorso della storia. Basti pensare che una delle teorie del complotto più note, diffuse e perniciose - quella secondo la quale esisterebbe un potere occulto di matrice ebraico-massonica che governa il mondo e possiede il controllo dell’economia - è espressa già nel famigerato Protocollo dei Savi di Sion, un falso libello prodotto probabilmente dalla polizia segreta dello Zar in Russia, utilizzato poi dalla propaganda nazista e tutt’oggi tradotto e diffuso in tutti i Paesi del mondo.

Se questo viene considerato “il padre di tutti i complotti”, non è certamente il primo: secondo gli esperti del settore il complottismo è da far risalire alla fine del XVIII secolo, quando - come scrive Christopher Hodapp, giornalista esperto di massoneria e templari e autore di “Conspiracy theories and secret societies for dummies” (un libro della fortunata serie di manuali per “idioti”) - “dalla Rivoluzione Francese nasce il primo connubio tra la paranoia e la stampa”. I primi media diventano il megafono che amplifica e diffonde i deliri dei singoli, persino quando non sostengono affatto le tesi dei complottisti: come dire che basta parlarne per far danno.

Michael Barkun, professore di scienze politiche all’Università di Syracuse, negli Stati Uniti, e autore di “A culture of conspiracy”, uno dei saggi più completi sul fenomeno, identifica alcuni elementi tipici del complottismo che possono aiutare a capire anche come si costruiscono e consolidano casi come quello a cui assistiamo in questi giorni in Puglia: “Una delle caratteristiche delle teorie del complotto è che tendono a inglobare al loro interno le prove che potrebbero smentirle, interpretandole alla luce del complotto stesso e rendendo così difficilmente smentibile il quadro generale, a meno di uscire dall’universo cognitivo all’interno del quale il complottista si trova. Le teorie del complotto somigliano quindi più ad atti di fede che a interpretazioni fattuali del reale”.

Nel caso Xylella, per esempio, la presenza di un campione del batterio a Bari durante un congresso internazionale dedicato proprio a come eradicare l’infezione viene utilizzata come prova eziologica della diffusione del contagio in Puglia, anche se tra il luogo del congresso e la regione colpita vi sono 200 km di distanza. Quella che potrebbe essere una prova che smentisce il complotto stesso viene inglobata nella trama in modo da confondere ulteriormente le acque e confermare il frame cognitivo del complottista.

Nel caso Xylella si ravvede anche un altro aspetto comune a queste vicende, ovvero la necessità di dare una spiegazione diversa dalla casualità a un evento percepito come devastante per l’individuo o per un certo gruppo sociale. “Sappiamo dagli studi di epidemiologia che il cancro può comparire per una serie di mutazioni casuali anche in individui dagli stili di vita inappuntabili” dice ancora Barkun. “Ma gli esseri umani sono restii ad attribuire al caso un evento negativo e tendono a identificare uno specifico agente causale su cui riversare la rabbia per quanto sta loro accadendo”. È così che la rete wi-fi della scuola o la presenza di un’industria nel vicinato possono essere identificate come colpevoli della malattia, e i tentativi di discolparle o di dimostrarne l’estraneità essere inseriti all’interno di una teoria del complotto. Il pregiudizio di conferma (la tendenza a interpretare un fatto alla luce del proprio pregiudizio) e l’esclusione dal quadro cognitivo di qualsiasi elemento dissonante intervengono a cristallizzare l’interpretazione dei fatti.

Sempre Barkun aggiunge altri due elementi chiave per la costruzione del complotto, a parte il più importante, ovvero che per un complottista nulla avviene per caso: nulla è come appare e tutto è collegato. Quindi, applicando la teoria al caso in specie, gli scienziati non sono ciò che sembrano – agronomi e biologi dedicati allo studio - e non è un caso che un congresso sulla Xylella venga seguito, seppure a distanza di tempo, dalla ricomparsa dell’infezione, persino se casi di tale infezione erano già stati segnalati sul territorio prima che il congresso avesse avuto luogo.

Ogni schema complottistico che si rispetti deve identificare un potere forte che governa gli accadimenti e li guida da dietro le quinte. La rivista Frontiers in Psychology ha pubblicato, nel 2013, un numero monografico dedicato alla psicologia delle teorie del complotto. In uno studio pilota su un campione di 300 soggetti, Adrian Furnham, psicologo dello University College di Londra, si è concentrato sui cosiddetti complotti commerciali, ovvero quelli che hanno come responsabili entità quali banche, compagnie del tabacco o case farmaceutiche, dimostrando che esiste nella popolazione una sorta di gradiente che va dalla diffidenza verso le pubblicità e le compagnie commerciali in generale fino alla tendenza a credere a cospirazioni a sfondo commerciale, la più nota delle quali dice che le case farmaceutiche hanno la cura per molte malattie che affliggono l’umanità ma non le rendono disponibili perché conviene loro fare soldi con i malati cronici. Anche nel caso Xylella, il ruolo di Monsanto e dei suoi fitofarmaci ricalca uno schema analogo.

Le compagnie farmaceutiche e le biotech sembrano essere particolarmente prese di mira dalle teorie del complotto, mentre altre imprese commerciali, come quelle del tabacco (che pure in passato hanno complottato davvero per tener nascosti i danni del fumo) sono percepite come “cattive ma trasparenti”. Le persone più di sinistra, meno religiose, più povere e più pessimiste sono anche più portate a credere ai complotti commerciali, almeno secondo l’analisi personologica condotta da Furnham sul suo campione utilizzando il modello personologico Big Five, uno dei più consolidati.

L’associazione con una certa area politica viene spiegata semplicemente con la naturale diffidenza della sinistra verso il profitto, mentre è noto che teorie del complotto che coinvolgono il controllo economico e sociale da parte di gruppi di interesse occulti sono più diffuse in ambienti di destra; le cospirazioni millenariste o che coinvolgono entità aliene o sovrannaturali, infine, sono più frequenti negli ambienti religiosi, in particolare nell’ambito del protestantesimo americano. Esistono anche interpretazioni sociologiche più complesse che considerano il complottismo una sorta di “effetto collaterale” della democrazia e della disponibilità di informazioni oppure, come il sociologo francese Bruno Latour, una punta estrema della tendenza a cercare la verità, una sorta di estremizzazione del diritto di critica.

Il ruolo dei media, e dei social media, nella diffusione di un complotto è messo in luce anche dallo studio di Marius H. Raab e colleghi dell’Università di Bamberg, in Germania, sullo stesso numero di Frontiers in Psychology. “La maggior parte degli studi sulle teorie complottistiche cadono nell’errore di ridurle ai loro elementi costitutivi e fattuali, tralasciando il piano della narrativa” spiega Raab. “I complotti non sono solo costituiti da eventi collegati tra loro in modo errato, ma sono sostenuti da un racconto, un linguaggio che trasmette anche elementi valoriali. Spesso sono i media i primi a creare il racconto, amplificando gli aspetti morali della vicenda”. La protezione dei cultivar pugliesi, nonché il mito di un’agricoltura pura e tradizionale che deve lottare contro le multinazionali e contro la globalizzazione, costituiscono i potenti elementi narrativi della storia della Xylella fastidiosa in Puglia.

E i magistrati pugliesi? La legge è spesso protagonista di disegni cospirativi, specie nella casistica statunitense, in quanto costituisce uno dei “poteri forti” e un elemento di controllo sociale. Meno frequente è vedere la legge dalla parte di chi è la presunta vittima del complotto o addirittura, come in questo caso, nel ruolo del “narratore”. Rimane il fatto che anche i giudici sono soggetti agli stessi meccanismi e bias cognitivi dei comuni mortali, a cui si aggiunge, in Italia, una storia pregressa ricca di cospirazioni ben reali, il che costituisce, secondo gli studi, un ulteriore fattore di rischio per la nascita di nuove teorie del complotto.