"Nella storia della scienza è così: quando credi di aver risolto tutto, tutto cambia. È successo anche agli studi sul linguaggio". Andrea Moro, allievo di Noam Chomsky, docente di Linguistica presso la Scuola Superiore Universitaria IUSS di Pavia e direttore del NeTS, Center for Neurocognition and Theoretical Syntax, lo racconta all'incontro La scienza del Linguaggio nella prima giornata del Festival delle Scienze di Roma: "La baldanza della scienza – dice – porta sfiga". E quando al MIT di Boston è arrivato il suo mentore – autore della frase spartiacque negli studi sul linguaggio: "Gli esseri umani – scrisse infatti Chomsky nel 1959 – sono progettati in modo speciale con capacità di natura misteriosa", le certezze crollano e i ricercatori si pongono un dubbio: davvero la lingua consiste in una convenzione culturale di natura arbitraria oppure la sintassi è una attività specifica del cervello? Quali sono, allora, le competenze misteriose di cui parla Chomsky?

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Una su tutte: la creatività linguistica. "Noi umani incontriamo frasi nuove di continuo e possiamo sempre crearne di ulteriori – spiega il professor Luigi Rizzi, docente di Linguistica all'Università di Siena e già professore al MIT –, eppure di fronte a oggetti sempre nuovi li troviamo comunque comprensibili". Abbiamo una continua familiarità con l'inedito. "Con "20 caratteruzzi", come scrisse Galielo nel Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, possiamo raccontare i sentimenti più profondi e controversi, inventarci interi mondi. E lo facciamo per una ragione: la nostra è una mente computazionale. Il nostro cervello, in estrema sintesi, procede costruendo strutture – le parole o le frasi – e collegandole tra loro, secondo regole ricorsive. Una prova? La forma del linguaggio: se lo guardiamo da molto vicino, continua Rizzi, è fatto come un cristallo. Entrambi, infatti, la pietra e la lingua, sono composti da strutture frattali, da sequenze simili ripetibili all'infinito. Disegnarle, oggi, è il compito dei cartografi della sintassi, linguisti che tracciano mappe precise e complesse di quello che diciamo, come grandi geografie della parola. Utili a scoprire le invisibili strutture della logica umana.

Non solo mappe, però. Un altro strumento efficace per entrare nei meandri del linguaggio è, come spiega Philippe Schlenker, ricercatore della New York University, lo studio delle lingue dei segni. Per lungo tempo considerate come semplificazioni, si sono rivelate invece preziosi strumenti per comprendere l'uomo. "Le lingue dei segni – spiega infatti Schlenker – ci mostrano la struttura logica del linguaggio". I gesti, in sostanza, non solo ci fanno vedere le parole ma mettono in scena i meccanismi più reconditi del cervello e aiutano a rispondere alla domanda chiave di Chomsky: la lingua è una funzione della mente computazionale?

Andrea Moro ne era da tempo convinto: c'è una ragione neurologica nelle regole grammaticali, altrimenti perché alcune norme non esistono in nessuna lingua? Doveva, però, dimostrarlo e lo ha fatto grazie un esperimento e attraverso la tecnica delle neuroimmagini, la quale permette di associare una attività umana al flusso ematico presente in una determinata zona del cervello nel momento in cui la si compie. Vedere la lingua, però, non è semplice, perché possiamo parlare mentre facciamo altro. Possiamo pronunciare e pensare frasi corrette mentre battiamo le mani, laviamo i piatti, proviamo a comporre le facce del cubo di Rubik. "L'unica via – spiega Moro – era procedere con un metodo sottrattivo". Andando avanti, cioè, per confronti continui e cercando di ingannare la mente. Proprio come Moro e il suo team hanno fatto per dimostrare come "i confini di Babele sono iscritti nella nostra carne".

Il primo test ha coinvolto un gruppo di parlanti tedeschi della ex DDR, i quali non avevano mai studiato o provato a parlare una lingua diversa dalla propria. Per la prima volta, quindi, ne hanno approcciata una: l'italiano. Il secondo test, invece, è stato condotto con giapponesi mai venuti in contatto con un idioma indoeuropeo. Grazie alle neuroimmagini i ricercatori hanno visto come in entrambi i casi al miglioramento della padronanza della nuova lingua corrispondeva in una zona precisa del cervello del parlante – l'area di Boca – un aumento del flusso del sangue. Quando, invece, le persone sono state messe di fronte a regole impossibili e a frasi con errori clamorosi – un esempio di quelle usate: "il gullo gianigevano le brale" - il rapporto tra padronanza linguistica e flusso ematico si capovolgeva. In sostanza: il cervello sa setacciare i tipi di regole. La sintassi risiede nei nostri neuroni.
Perché? Non si sa. Capirlo è la nuova sfida per gli scienziati. "Il linguaggio – conclude Moro – è come la tartaruga di Achille: ti sembra ferma, ma quando ti sei avvicinato si è spostata un po' più in là". Forse, allora, non la raggiungeremo mai. Ma arriveremo al punto di guardarla dritto negli occhi.