corn field

Sarà il primo mais migliorato geneticamente per aumentarne l’efficienza fotosintetica. Secondo i costitutori c’è da aspettarsi incrementi di produzione vicini al 10%. Ci lavorano da alcuni anni alla Beck’s Hybrids, azienda sementiera statunitense che opera in una decina di Stati USA; a conduzione familiare, sì, ma pur sempre la sesta del Paese per dimensioni.

 Lo sviluppo della pianta è avvenuto in collaborazione con Benson Hill Biosystems, che si autodefinisce “una community di innovatori” e che ha presentato recentemente a Milano, in occasione dell’evento Seeds&Chips, il progetto CropOs, la prima piattaforma di progettazione vegetale in community. La colonna portante del loro lavoro è la biologia in cloud, che loro non considerano altro che l’evoluzione del buon vecchio approccio multidisplinare.

Ebbene da un’azienda ad alto tasso di capacità innovativa come Benson Hill Biosystems e una dalla solida tradizione sementiera tradizionale - Ogm, capiamoci, perché questa è ormai tradizione negli USA – come Beck’s Hybrids è giunto l’annuncio che presto sarà a disposizione degli agricoltori un mais in grado di fissare più CO2, e per questo produrre di più.

La fotosintesi di per sé non è un processo efficiente. In natura la pressione selettiva non ha spinto le piante verso alta efficienza fotosintetica. Non ce n’è mai stato bisogno: i fattori limitanti sono sempre altri; l’azoto, tanto per cominciare. Ma nell’ambiente agrario, dove le piante vengono coccolate, difese e nutrite, un metabolismo migliorato può essere messo a buon uso. Il gene proviene da un’altra specie vegetale e ben si adatta ad ambienti diversi e a genotipi diversi, quindi ad una ricca varietà di piante diverse. Queste sono caratteristiche altamente desiderabili, dato che le due aziende prevedono di concedere licenza d’uso del tratto migliorato anche ad altre ditte sementiere. E’ una decisione che andrà anche a beneficio degli agricoltori USA, che potranno vedere il tratto “fotosintesi migliorata” unito ai tratti che già utilizzano da anni con soddisfazione, per esempio quello Bt per la difesa dagli insetti nocivi o le varie resistenze a erbicidi, o anche la tolleranza alla siccità; tutti ogm. Ne risulteranno piante altamente performanti, una ricca diversità di genotipi a disposizione, un grande vantaggio competitivo.

Ma non si tratta solo di questo. Poter aumentare l’efficienza fotosintetica dei raccolti ha conseguenze di una portata che va ben oltre i redditi delle aziende agricole. Dobbiamo ricordare che la popolazione del pianeta sta rapidamente aumentando; una popolazione che va sfamata. Ma le terre coltivabili a disposizione non aumentano; anzi a causa dei cambiamenti climatici e del conseguente aumento di fenomeni estremi, la desertificazione, inondazioni sempre più frequenti, le terre fertili diminuiscono. D’altra parte, non possiamo certo pensare di disboscare ulteriormente le foreste del pianeta: causeremmo ulteriore innalzamento delle temperature e perdita di biodiversità che fra l’altro, come ricordano alla Benson Hill, è “una potente risorsa per soddisfare le esigenze del consumatore, dal sapore alla sostenibilità”. Ecco perché ogni innovazione in grado di farci produrre di più per unità di terra coltivata va salutata con entusiasmo.

Inoltre fotosintesi significa sequestro di CO2; migliorare la prima aumenta quindi un processo auspicabile. Infatti a parità di input, anche a parità di emissioni in atmosfera, cattureremo più anidride carbonica. La valenza ambientale di questo nuovo ogm è indiscutibile: maggiore produttività, maggiore sostenibilità, tutela della biodiversità soprattutto se abbinato a tratti Bt che permettono di evitare insetticidi.

Non è la prima pianta ingegnerizzata per migliorare la fotosintesi ad essere presentata: un paio di anni fa alla University of Illinois erano stati illustrati interessanti risultati su tabacco, tramite miglioramento del processo di cattura dei fotoni nelle foglie in ombra. Si lavora spesso su tabacco, sia perché è una pianta facile da allevare in laboratorio, sia per le interessanti prospettive in ambito farmacologico. I risultati sono stati decisamente promettenti: la modifica di tre geni ha portato ad aumenti di produzione fino al 20%. La Gates Foundation ha finanziato la ricerca con l’obiettivo di trasferirla su cassava, soia e riso.

In conclusione, per citare un ricercatore della Washington Univ. di St. Louis, “l’evoluzione non fa le cose perfette, le fa buone quanto basta per sopravvivere”. Abbiamo senz’altro le capacità di operare per migliorarle responsabilmente.

Una triste riflessione: l’Italia sembra aver totalmente abdicato al ruolo di leadership nel miglioramento genetico che aveva fino a qualche decennio fa. Assistiamo nel nostro Paese al sonno della ragione: si teme il progresso, si demonizzano innovazioni che dimostrano di avere un grande potenziale sia di produttività, sia di aumento della sostenibilità ambientale dell’agricoltura. È in realtà una gigantesca operazione di marketing che ha bisogno di torvare un nemico da usare per spaventare il consumatore e influenzarlo nelle sue scelte di acquisto.

Prime vittime sono evidentemente gli agricoltori, i maiscoltori in questo caso specifico, che perdono sempre più competitività; non per niente negli ultimi dieci anni la produzione di mais italiano si è dimezzata. Ne risente di fatto tutta la società, che ha solo da perdere da simili preclusioni oscurantiste.