Il 15 dicembre scorso si è tenuto, a Roma, un convegno organizzato dal Partito Democratico sul tema "verso la salute del futuro". Tra i relatori, il governatore del Lazio Zingaretti, la coordinatrice del Forum Sanità del PD Valentina Mantua e Walter Ricciardi, presidente dell'Istituto Superiore di Sanità. Un confronto su come si dovrebbe organizzare un moderno ed efficiente sistema sanitario, alla luce delle nuove sfide poste dai cambiamenti demografici e delle opportunità legate all'innovazione tecnologica. Come caporedattore di Strade, Giordano Masini è stato invitato a contribuire al dibattito con un intervento sul rapporto, non proprio lineare, tra scienza e politica. Quello che segue è il testo del suo intervento.

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La politica, ogni classe politica, ogni classe dirigente, si trova con una bussola in mano, e deve decidere da quale parte far pendere l’ago.

Il potere deriva dal consenso, e il consenso dalla popolarità: se non si prendono decisioni popolari non si ha il potere per prendere decisioni giuste. Qualsiasi capitale politico, prima di essere speso, deve essere guadagnato. E' un bel problema, perché questo significa che ogni persona di potere decide, quotidianamente, dove guadagnare consenso e dove esercitare potere. Ovvero, dove spendere consenso, dove spendere capitale reputazionale, prendendo decisioni anche impopolari. Il gioco deve essere almeno a somma zero, perché se spendi più di quel che guadagni non vieni rieletto.

C’è chi è abbastanza bravo, ha abbastanza carisma e qualità di leadership da potersi permettere anche decisioni impopolari senza perdere credibilità e reputazione. Quelli così li chiamiamo statisti. La storia dell’Occidente democratico ne è piena, e alcuni fanno parte del Pantheon ideale del Partito Democratico. Invece ci sono quelli che questo gioco lo hanno portato alle estreme conseguenze, ma dal lato opposto: sono quelli che ritengono legittimo giustificare ogni loro singola decisione con la necessità di aumentare il consenso, costi quel che costi. Quelli così li chiamiamo demagoghi.

Dato che gli statisti cercano di prendere decisioni giuste, e i demagoghi cercano di prendere decisioni popolari, i primi li ricordiamo perché hanno contribuito al miglioramento economico e sociale del loro paese, i secondi in genere li ricordiamo perché sono stati molto popolari, ma non hanno combinato nulla di buono. Anche qui, la storia dell’Occidente ne è piena, e l’Italia ha sempre contribuito con una folta delegazione.

Perché ho fatto questa premessa per parlare del rapporto tra scienza e politica? Perché la scienza è una perfetta cartina di tornasole per individuare il livello di demagogia e populismo di ogni classe politica, di ogni epoca. La ragione è semplice: la scienza non è democratica. Se lo fosse, la Terra sarebbe ancora piatta e il Sole le girerebbe ancora attorno. Perché? Perché lo dice la gente, la rete ha votato, e più non dimandare.

Torniamo indietro di qualche decennio. E’ il 1978, Non è un periodo facile, anzi, è molto difficile, probabilmente, per questo paese, è uno dei periodi più difficili di tutti. Il giorno che ci interessa è il 13 maggio 1978. Quattro giorni prima il corpo di Aldo Moro era stato ritrovato nel bagagliaio di una Renault quattro rossa in Via Caetani. Ma cosa è successo quel 13 maggio? Lo ha raccontato Silvia Bencivelli in un bell'articolo su Strade: il parlamento italiano ha approvato a larghissima maggioranza la legge 180, quella che siamo soliti chiamare legge Basaglia. Era la legge impopolare per eccellenza: superava, anzi, scardinava radicalmente l’istituzione manicomiale. Metteva al centro il malato mentre la legge che la 180 andava a sostituire, che risaliva al 1904, era una legge di ordine pubblico, serviva a contenere, isolare, segregare, non a curare. A rimuovere il problema, non a risolverlo.

Una legge di civiltà, che metteva al centro le ragioni della scienza invece che la pur comprensibile esigenza di rimozione del danno sociale che la malattia mentale provocava nell’opinione pubblica. Un mese dopo, a giugno, si sono tenuti due referendum abrogativi: uno aboliva la Legge Reale e l’altro il finanziamento pubblico ai partiti. Se ne sarebbe dovuto tenere un terzo, l’abrogazione della legge sui manicomi, in cui con ogni probabilità avrebbe vinto un No grande come una casa. Se quel referendum non si è tenuto, lo si deve alla responsabilità di una classe politica che ha preferito il lato statista al lato demagogo del quadrante delle scelte possibili. Non è stata una cosa da poco. Sei mesi dopo lo stesso parlamento ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale: progresso economico e sociale del Paese, dicevamo.

Facciamo un salto di 35 anni, è il 2013. Il parlamento (questo parlamento, ancora in carica), prima la Camera e poi il Senato, è chiamato a convertire in legge il decreto che autorizzava la sperimentazione, a spese del Servizio Sanitario Nazionale, di una cura che tutti già sapevamo essere una vera e propria truffa. Parliamo di Stamina, naturalmente. Anche in quel caso c’era da scegliere: responsabilità o demagogia, gli editoriali di Nature, il parere compatto di tutta la comunità scientifica, o i servizi strappalacrime delle Iene. E’ finita, sommando i voti di Camera e Senato, 763 a 3 per le Iene (gli astenuti furono 10).

Praticamente l’intera classe politica, in modalità assolutamente bipartisan, ha scelto il lato demagogo rispetto al lato statista. Ha scelto di usare quell’episodio per acquisire popolarità, non per fare la cosa giusta. Anzi, per farne una completamente sbagliata perché il costo di quella decisione, poi fortunatamente corretta (ma non grazie al parere della scienza, quanto alle indagini della magistratura) era altissimo: in quel momento stavamo aggirando le norme a tutela dei malati e creando un precedente che avrebbe scardinato i principi su cui si fonda la sperimentazione di farmaci e terapie. Un cardine della stessa sostenibilità economica del Servizio sanitario Nazionale perché andavamo a pagare con denaro pubblico la parte più onerosa dei costi legati all’approvazione di un nuovo farmaco, parte che di norma è a carico di chi il farmaco vuole produrlo e venderlo.

Perché credo che sia importante ricordare questi due episodi? Perché se si vuole costruire la sanità del futuro ci vuole una classe politica all’altezza, e ho il forte sospetto che oggi come oggi non ce l’abbiamo, e costruirla ed educarla è responsabilità di un partito serio. Soprattutto del Partito Democratico, quindi, non fosse altro per l'assenza di alternative. Imparare, reimparare a fare le cose giuste, prima di quelle che portano facile popolarità. A dare risposte complesse a problemi complessi. E’ un ruolo che la politica dovrebbe rivendicare con orgoglio.

Perché sennò non si costruisce la sanità del futuro, ma una sorta di età dell’Acquario in cui alcune convinzioni etiche e filosofiche, anche nella loro versione più caricaturale - quante ne abbiamo sentite su farmaci, salute, vaccini, biotecnologie, OGM, e chi più ne ha più ne metta? - prevalgono sui dati e sulle evidenze scientifiche. Un atteggiamento che oggi è tanto popolare da costituire il fondamento di un partito politico di successo come il M5S, ma che che le altre forze politiche spesso non contrastano ma assecondano, e a cui sono pericolosamente permeabili, così come ne è permeabile l’informazione. Un'età dell’Acquario che somiglia tanto a un nuovo Medioevo.