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Uno degli errori più frequenti che capita di fare quando si maneggiano grafici e statistiche senza padroneggiare abbastanza la materia è quello di confondere la correlazione con il rapporto di causa-effetto. Quando due fenomeni si presentano contemporaneamente non è detto affatto che il fenomeno A sia all’origine del fenomeno B. Potrebbe essere il contrario: B che è causa di A. oppure ci potrebbe essere un fenomeno C, di cui ignoriamo l’esistenza o trascuriamo la rilevanza, che è all’origine di entrambi. Oppure potrebbe non esistere alcun rapporto di causa effetto tra i due fenomeni, che si presentano simultaneamente o progrediscono in maniera analoga del tutto casualmente. In questo caso abbiamo una cosiddetta “correlazione spuria”.

Guardate il grafico qui sotto: la diffusione del cibo biologico sembra essere strettamente correlata con l’aumento dei casi di autismo.

autismo bio

Vista in questo modo, è difficile non sospettare che il cibo biologico non provochi l’autismo, eppure, come è ovvio, tra i due fenomeni non esiste alcun rapporto di causa-effetto. L’effetto comico delle correlazioni spurie a volte è straordinario: questa è la correlazione tra le apparizioni cinematografiche di Nicolas Cage e le morti per annegamento in piscina.

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E questa è la correlazione tra i divorzi nello stato del Maine e il consumo pro-capite di margarina:

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Addirittura esiste un sito in cui si possono mettere in relazione fenomeni diversissimi tra loro, e osservare quanto le correlazioni spurie siano frequenti. Guardate infine il prossimo grafico: l’uso del pesticida Roundup (prodotto da Monsanto e spesso usato in associazione con le colture geneticamente modificate) correlato ai casi di celiachia.

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Probabilmente avete visto circolare questo grafico nei giorni scorsi in un articolo il cui autore ignora, o finge di ignorare, che si tratta di una correlazione spuria, esattamente come il rapporto tra i film di Nicolas Cage e gli annegamenti in piscina. Non è mai stato dimostrato alcun rapporto di causa-effetto tra diffusione del Roundup (o più genericamente del Glifosato, il suo principio attivo) e il numero dei casi di celiachia. E’ molto facile fare confusione tra correlazioni dirette e correlazioni spurie: il progresso tecnologico degli ultimi decenni fa si che si diffondano sempre nuove tecnologie, ed è fin troppo banale associare in un rapporto di causa-effetto una nuova tecnologia e una malattia che prima non si conosceva, o che ha conosciuto una forte diffusione negli ultimi tempi.

Beatrice Mautino è una divulgatrice scientifica, scrive su Le Scienze e con Dario Bressanini ha dedicato alla celiachia e all’intolleranza al glutine un capitolo del loro libro Contro Natura (Rizzoli, 2015), che consigliamo a tutti quelli che hanno voglia di andare oltre le leggende e i luoghi comuni che imperversano nel mondo del cibo e dell’agroalimentare. A Strade innanzitutto spiega che la celiachia è una cosa, le intolleranze al glutine sono un’altra cosa, quindi certe cifre andrebbero prese con le molle:

La celiachia ha una base genetica e sintomi inequivocabili, come la presenza di lesioni intestinali provocate dall’attacco autoimmune dell’organismo in risposta all’assunzione di glutine e, quindi, dalla presenza di determinati anticorpi nel sangue. Colpisce circa l’1% della popolazione e si diagnostica, ormai, da secoli. Esiste poi una pletora di disturbi raggruppati sotto al cappello delle “intolleranze al glutine” che sembrano affliggere una sempre crescente fetta della popolazione. In questo caso, però, il malessere non è accompagnato né da lesioni intestinali, né da anticorpi, quindi fare una diagnosi certa è molto più difficile. Tant’è che diventa difficile anche calcolarne l’incidenza. Quante fra le persone che sostengono di essere intolleranti al glutine lo sono davvero? Gli unici dati che abbiamo a disposizione, ottenuti con esperimenti condotti in doppio cieco, sembrano ridimensionare molto l’ondata di intolleranze al glutine che sembra travolgere i nostri tempi. La maggior parte dei pazienti sottoposti agli esperimenti, ha risposto in maniera uguale all’assunzione di glutine o di placebo. Solo il 5% dei pazienti analizzati ha avuto una reazione significativamente diversa assumendo glutine, che vuol dire che il restante 95% deve andare a cercare l’origine dei suoi sintomi altrove. Dove? Secondo i ricercatori, nell’effetto “nocebo”, cioè nel convincersi che un qualcosa faccia male e poi starci male davvero, o in altre sostanze contenute negli stessi alimenti che contengono anche il glutine. Insomma, il glutine potrebbe non essere l’unico nemico da condannare.

E il rapporto con il Roundup e il Glifosato? Si cita spesso uno studio pubblicato su Responsible Technology. Questo studio è in grado di smentire tonnellate di produzione scientifica sulla celiachia?

La celiachia è in aumento e su questo, ormai, la comunità scientifica non ha più molti dubbi. I dubbi rimangono sulle cause di questo aumento. Ognuno ha la sua ipotesi, dall’inquinamento al fatto che vivendo in ambienti sin troppo puliti da piccoli non siamo più esposti a tutti quei fattori che permettono al nostro sistema immunitario di “tararsi”, al mancato allattamento a, ovviamente, il maggior consumo di alimenti contenenti glutine, passando per gli immancabili OGM, i pesticidi e gli additivi alimentari. Tutte ipotesi che aspettano ancora conferme sperimentali e che, in mancanza di queste, sono catalogabili solo come “ipotesi di lavoro”. Su alcune si è indagato di più e si è scoperto, per esempio, che l’allattamento non influisce né positivamente né negativamente o che, a differenza di quello che si sente dire in giro, non ci sono differenze quantitative o qualitative fra il glutine moderno e quello “antico” tali da giustificarne una maggiore tossicità. L’ipotesi del glifosato è, al pari delle altre, solo un’ipotesi che, prima di essere presa in considerazione, dovrebbe almeno essere supportata da qualche dato sperimentale, cosa che i due autori dello studio in questione si guardano bene dal fare.

Una correlazione spuria a tutti gli effetti, in assenza di prove sperimentali, spacciata per buona. Per quale ragione? L’autore dell’articolo-bufala lo spiega piuttosto chiaramente poche righe più in basso: il problema sono le importazioni di frumento dall’estero che danneggiano, più che la salute dei consumatori, il portafoglio dei produttori locali. Si prova a raccontare in giro che quel grano fa male alla salute, anche se non è vero, nella speranza che le autorità lo rispediscano indietro. Non è altro che il solito protezionismo commerciale spacciato per difesa della sicurezza alimentare. Bastava dirlo subito.