In Italia ha sempre avuto scarsa fortuna l'idea che il federalismo potesse inaugurare una competizione tra territori anche sui temi eticamente sensibili che, secondo un malinteso concetto di uguaglianza, dovrebbero invece trovare sempre una "soluzione" nazionale. Eppure l'esperienza di altri Paesi dimostra che questa strada è percorribile e ha esiti tendenzialmente liberali.

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Sono passati più di vent’anni da quando, sulla spinta del successo elettorale della Lega Nord, è iniziato in Italia un dibattito sul federalismo. Sfortunatamente, nel tempo, tale dibattito si è mostrato sterile, incapace di produrre per il paese risultati concreti, al punto che oggi la parola stessa federalismo sembra aver perso gran parte del suo potere evocativo. Il vero problema è che in questi anni il federalismo è stato concepito dai partiti esclusivamente come il prezzo da pagare alla Lega e non come, invece, una delle chiavi fondamentali attraverso le quali ridefinire il rapporto tra lo Stato ed i suoi cittadini. Questo ha fatto sì che le modalità concrete secondo cui, via via, federalismo e devolution sono state declinati siano state quelle su cui meglio si incontrava il consenso del Carroccio e non piuttosto il frutto di una riflessione più ampia e generale. Nei fatti né la destra, né la sinistra hanno provato  a sviluppare su questo tema un’elaborazione propria, cosicché ad oggi le effettive potenzialità ed implicazioni del federalismo restano ancora largamente inesplorate. In particolare non si è mai realmente affrontata la questione dell’applicazione del modello federale ai temi civili ed eticamente sensibili.

Eppure la devoluzione verso le Regioni delle competenze in tali ambiti avrebbe potuto essere la chiave innovativa per sbloccare l’impasse politica che da anni si registra su argomenti come l’eutanasia, i diritti degli omosessuali, la ricerca sulle cellule staminali, la fecondazione assistita o le politiche sulle droghe. In fondo, molti paesi - ed in particolare quelli anglosassoni - accettano che su determinate questioni le decisioni pubbliche siano prese ad un livello più basso rispetto a quello nazionale. Negli Stati Uniti basta spostarsi da stato a stato per trovare legislazioni diverse su temi quali l’aborto, la pena di morte o i matrimoni omosessuali – ed anche in Canada ed in Australia ci troviamo in presenza di un simile modello di devolution sui temi civili. Per quanto riguarda l’Europa, vale la pena citare l’esperienza del Regno Unito, dove esistono significative differenze normative tra le quattro regioni costituenti. L’interruzione della gravidanza, ad esempio, non è consentita in Irlanda del Nord; similmente il via libera alle nozze gay è arrivato prima in Inghilterra e Galles, solo successivamente in Scozia, mentre è ancora di là da venire in quel di Belfast.

Purtroppo da noi si resta, invece, legati ad una gestione centralista delle questioni civili e biopolitiche. In nome di un malinteso concetto di uguaglianza, si impone che su tali temi l’Italia debba muoversi come un blocco unico. O le unioni civili e la fecondazione assistita sono disponibili dal Cenisio alla Balza di Scilla, oppure è meglio che siano precluse a tutti. Questo fa sì che il dibattito su determinate questioni si configuri necessariamente come “battaglia globale”, come “scontro di civiltà” tra guelfi e ghibellini. Che si parli di Eluana Englaro, di legge 40 o di coppie di fatto, si innesca immancabilmente un’escalation ideogica, esacerbata dal collegamento diretto con le dinamiche canoniche di conflitto della politica nazionale.

Eppure sarebbe allo stesso tempo giusto e pratico provare a fuoriuscire da questo tipo di logica e ricondurre le questioni eticamente controverse ad un ambito più civile, pacato e soprattutto più rispettoso della pluralità politica e culturale del paese. Nei fatti, uno dei princìpi fondamentali del federalismo è l'accettazione di una limitatezza intrinseca di ogni decisione politica. In un ordinamento federale ogni norma pubblica non ha infatti una valenza assoluta, bensì un'applicabilità limitata al territorio che la emana, e di conseguenza è posta idealmente in stato di concorrenza con possibili soluzioni diverse che emergano in altri territori. In un paese come il nostro che da sempre vive la politica come contrapposizione muscolare, la devolution sui temi civili e biopolitici sarebbe una scelta di umiltà e di moderazione – in quanto ogni parte politica dovrebbe riconoscere come legittimo il fatto che in alcune porzioni del paese prevalgano scelte diverse anche su importanti questioni “valoriali”. D’altronde le decisioni che scaturirebbero - di qualsiasi segno - non avendo un carattere di imposizione generale, non sarebbero vissute, come invece avviene oggi, in termini di affermazione di una parte del paese sull'altra e di annullamento culturale e morale dell'orientamento che risulta minoritario.

Va detto che, sul piano pratico, gli esiti di un approccio federalista e competitivo alle questioni civili sarebbero tendezialmente liberali. E’ vero che in alcune parti del paese potrebbero prevalere opzioni più “proibizioniste”, ma la valenza effettiva di tali politiche sarebbe depotenziata. In effetti le politiche stataliste – in economia quanto sui temi etici – sono realmente “efficaci” solo se si ha la possibilità di imporle su un vasto territorio. Diventano invece meno condizionanti quanto più è realistica la possibilità per i cittadini di sottrarsi alla loro giurisdizione: se il Lazio vieta la fecondazione eterologa, ma l’Umbria la consente, il proibizionismo laziale diventa poco più che un’affermazione di principio.

Senza contare che l’implementazione di politiche più “innovative” nelle parti - magari minoritarie - del paese che siano pronte per prime a recepirle può servire da apristrada per “contaminare” poi culturalmente le aree più tradizionaliste. Ad esempio sarebbe molto più facile parlare, oggi, di matrimonio e di adozione per gli omosessuali se magari avessimo tali istituti già a regime da qualche anno in regioni “di sinistra” come la Toscana e l’Emilia Romagna. Insomma, come avviene in ogni altro ambito, anche sui temi civili e biopolitici è la concorrenza tra modelli diversi il miglior modo di far avanzare gli strumenti normativi più compatibili con il benessere e con le aspirazioni degli individui.