La diminuzione delle nascite e l’aumento dell’aspettativa di vita sono tra i fenomeni che influenzeranno di più le nostre politiche pubbliche ed economiche, negli anni a venire. Dovremo essere più produttivi se vorremo conservare il nostro tenore di vita.

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Secondo i dati del “2015 Revision of World Population Prospects” delle Nazioni Unite, nel 2015 i “cittadini del mondo” ammontavano a 7.349.472, uomo più, donna meno. Perché anche la scienza demografica, solitamente pensata come “newtonianamente esatta”, è in realtà una scienza probabilistica soggetta a margini di errore, che, sebbene controllabili con opportune tecniche, rendono l’esercizio di previsione tutt’altro che “esatto”, nella percezione comune del termine.

La principale fonte di errore nella misurazione, soprattutto nei paesi meno sviluppati, è rappresentata da registri di stato civile ben lontani dalla perfezione.

Le previsioni future sui trend demografici, una branca della demografia applicata ai problemi economici che acquista sempre più importanza, non sono certo più precise, anzi, essendo soggette all’incertezza delle “ipotesi di lavoro” sui parametri sconosciuti che guidano l’incremento della popolazione in un determinato stato - tasso di fertilità, tasso di mortalità e tasso di immigrazione netta - sono da considerarsi come scenari, più che certezze puntuali numeriche, come accade in tutte le scienze probabilistiche.

Figura 1: Scenari di crescita della popolazione mondiale ed europea fino al 2050

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La figura 1 mostra gli scenari di crescita previsti per la popolazione mondiale ed europea, tratti dalla pubblicazione citata delle Nazioni Unite. Secondo i dati, la popolazione globale sarà, in uno scenario “mediano”, di quasi 10 miliardi di persone nel 2050: una crescita del 46% rispetto ai 7 miliardi attuali.

Per quanto riguarda un’Europa sempre più ingrigita, invece, le simulazioni mostrano una popolazione stabile, leggermente declinante dai livelli attuali. Gli scenari meno favorevoli, stimati con parametri dinamici di fertilità più conservativi, prevedono un appiattimento della popolazione globale attorno alla soglia dei 9 miliardi e mezzo di persone, mentre per l’Europa la popolazione inizierebbe a calare sin dall’anno prossimo, e sarebbe inferiore di un 5%, rispetto ai livelli attuali, nel 2050.

Questa schematica narrazione potrebbe indurre a credere che i dati futuri si situeranno necessariamente nelle forchette mostrate. Le cose, tuttavia, non sono così semplici.

Le linee mostrate non sono che scenari mediani di tre alternativi modelli di simulazione soggetti a “disturbi stocastici”, ovvero a variazioni dei parametri secondo una certa distribuzione di probabilità specificamente ipotizzata ex-ante. La stima mediana delle 600 mila singole simulazioni, per ogni tipo di variante di scenario, non è null’altro che il dato stimato della popolazione futura. I margini di errore, perciò, non sono le forchette mostrate, ma sono da desumersi da statistiche complementari di difficile accesso anche per gli specialisti. Immaginiamo, perciò, l’imbarazzo del pubblico che normalmente legge, sui quotidiani, stime che sembrano precisissime e puntuali, laddove la realtà è invece probabilistica e soggetta ad ampi margini di errore non facilmente intellegibili.

Per dimostrare questo semplice fatto, basta soffermarsi sulle figure 2 e 3, che mostrano le ultime proiezioni disponibili della popolazione per l’Italia e la Francia, insieme ai dati reali e alle proiezioni italiane stimate dal servizio demografico dell’ONU nel 2000, ovvero quindici anni orsono. La figura 2 mostra come la popolazione italiana sia in pratica stagnante da un paio di anni, e nello scenario centrale tenderà leggermente a contrarsi, per raggiungere nel 2050 il livello di 56 milioni e cinquecentomila cittadini, dopo aver toccato un picco di 59 milioni e ottocentomila nel 2017. Tre milioni d’italiani in meno in 35 anni. Nello scenario più sfavorevole, la popolazione italiana sarà di 52 milioni, ovvero una contrazione netta di sette milioni di abitanti.

Figura 2: Scenari di crescita della popolazione italiana e francese fino al 2050
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I nostri cugini d’Oltralpe, grazie a un tasso di nascite più consistente, continueranno ad aumentare di numero, per raggiungere nella stima centrale i 78 milioni nel 2050, ben 22 in più dell’Italia. Non male per un paese abitato da 5 milioni di persone in meno, nel 1950!

Come ricordato, tuttavia, le stime vanno prese con le molle, e questo è esemplificato dalla figura 3. Il dato reale registrato dopo gli anni 2000 si discosta pesantemente dalle stime dell’ONU. Per l’Italia addirittura il modello centrale non riesce nemmeno a catturare il trend reale poi registratosi. Laddove si stimava una popolazione già in contrazione, in realtà essa è cresciuta del 5%, ovvero di 2 milioni e 600 mila unità.

Le fonti principali dell’errore sono da ricercarsi in una sostanziale sottostima del flusso d’immigrati netti (immigrati meno emigrati), e del tasso di fecondità, come mostrato dalla figura 4. I demografi ONU avevano previsto un flusso netto di 300.000 persone in ogni quinquennio, dal 2000 al 2015, per un totale di 900 mila immigrati netti in più. In realtà l’afflusso netto è stato superiore ai 3 milioni nei tre lustri considerati, oltre 2 milioni in più del preventivato.

Anche per quanto riguarda la fecondità, nel suo scenario centrale del 2000, il servizio statistico delle Nazioni Unite aveva previsto un tasso di fecondità totale pari a 1,2 figli per donna, mentre nella realtà il dato storico si è poi situato a un livello più alto, 1,4 figli per donna. Sebbene più alto di quanto pensato, il tasso di natalità è comunque bassissimo, perfino se paragonato alla pur non esaltante performance europea. Nell’ultimo quinquennio, si è attestato a 8,5 nati per ogni 1000 abitanti, contro una media del 10,7 in Europa e del 12,3 in Francia, paese che ha sperimentato un piccolo boom di nascite negli ultimi vent’anni, anche grazie a politiche molto generose pro-famiglia.

Figura 3: Errori di stima nelle previsioni del 2000 per la popolazione italiana

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Figura 4: Errori di stima dell’immigrazione netta e del tasso di fecondità totale

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Diminuzione delle nascite e aumento dell’aspettativa di vita sono tra i fenomeni che influenzeranno di più le nostre politiche pubbliche ed economiche, negli anni a venire. I mutamenti nella struttura della popolazione cambieranno necessariamente i comportamenti di consumo e risparmio, distribuiti in un ciclo di vita sempre più lungo e sempre più incentrato sul lavoro.

Molti di questi cambiamenti saranno indotti da naturali risposte efficienti dei consumatori/produttori, ma anche le politiche pubbliche giocano un importante ruolo nel rimodellare i sistemi di welfare e di fornitura dei beni pubblici. Per citare un solo facile esempio, in assenza di nuove sostanziose leve che paghino pensioni generose a un ristretto numero di pensionati (realtà fattuale simile a quella che caratterizzava i paesi europei, dopo la seconda guerra mondiale) è necessario o che la produttività aumenti in modo considerevole, e sinora non pare il caso, o che molti sistemi pensionistici si adeguino automaticamente alle pressioni demografiche. Anche i sistemi sanitari saranno messi a dura prova, e, se i trend recenti fossero confermati, la maggior parte delle spese sanitarie pubbliche e private andrà necessariamente allocata in servizi di cura agli anziani.

Figura 5: Tassi di natalità e indice di dipendenza strutturale degli anziani per Europa, Italia e Francia

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Il lettore attento avrà notato che, a proposito del cambiamento strutturale economico a venire, in questo articolo non sono state esposte né cifre né proiezioni. Non è un caso, perché, sebbene molti studi empirici abbiano affrontato la questione in modo dettagliato, la verità è che il margine di errore in stime di lunghissimo termine è talmente elevato che l’esercizio non sarebbe poi molto dissimile dal tentare di azzeccare un terno al lotto.

Questa non è, badate bene, sfiducia nella scienza economica: tutt’altro. È piuttosto estrema fiducia nel segno delle previsioni, derivante principalmente dalla teoria economica, mista a un sano principio di prudenza scientificamente inteso. Qualche numero è certamente meglio di nessun numero, ma laddove gli errori di stima sono importanti, e soprattutto sistematici, fornire uno scenario è il massimo che ci si possa attendere. Per la palla di cristallo, in campo economico, meglio rivolgersi ai tanti guru che, di tanto in tanto, pretendono di poter stimare, in modo consistente, i trend futuri di produttività, partecipazione al lavoro, e tasso di risparmio.

Ciò che, invece, gli esercizi empirici più seri e più legati alla teoria economica prevalente mostrano, come nel caso del paper del National Bureau of Economic Research, è che gli effetti negativi del cambiamento della struttura demografica sulla crescita del reddito pro-capite sono tutti da dimostrare. Ipotizzando un pattern di consumi e risparmi, lungo il ciclo di vita degli operatori economici, immutato rispetto ad oggi, gli autori stimano che il tasso di partecipazione al mercato del lavoro diminuirà in tre quarti dei paesi del mondo considerati nell’analisi. Il tasso medio fra i paesi sarà di 5 punti percentuali più basso di oggi, il che non è poi un’enormità.

Se a questo si aggiunge che, come già ricordato, la teoria economica suggerisce che i lavoratori cambieranno i loro comportamenti di offerta di lavoro, per adattarsi a vite più lunghe, e che il trend secolare di aumento di partecipazione delle donne continuerà sui ritmi sperimentati negli ultimi decenni, gli autori stimano che l’effetto finale potrebbe addirittura essere positivo: il tasso di partecipazione totale sarà, perciò, più elevato di circa 3 punti percentuali, nonostante la demografia sfavorevole. Lo stesso si può dire del tasso di risparmio e del tasso di crescita del prodotto pro-capite, che non subirebbe consistenti cambiamenti, in caso di mutamenti nelle scelte di consumatori, lavoratori e imprese.

La lezione da trarre da questo excursus fra demografia ed economia, insomma, è che, per prevedere i trend futuri, o ci si affida alla statistica, o il rischio è quello di restare dei piccoli cani di Pavlov che continuano a salivare al suono della campana, senza che il cibo della “verità scientifica” arrivi mai, in effetti, ad essere assaggiato e digerito. In un paese come l’Italia, allergico storicamente alle discipline scientifiche e alla matematica, questo è un insegnamento chiave per tutti coloro che hanno a cuore la correttezza delle informazioni e l’avanzamento della conoscenza nella nostra società.