Una spesa pubblica, quella italiana, apparentemente fuori da ogni controllo. Una serie di governi, tra il 2000 e oggi, che si rimpallano a vicenda l'accusa di averla aumentata e rivendicano, ognuno per sé e contro gli altri, il merito di averla tagliata. Chi mente? Chi dice la verità? Esiste, poi, una verità unica? In quest'analisi proviamo a capirlo.

Deluca maggio sito

Sono circa vent'anni che nel dibattito politico italiano si parla della necessità di abbassare la spesa pubblica. Non tutte le forze politiche lo hanno sempre sostenuto con la stessa intensità: Silvio Berlusconi ne ha fatto un cardine della sua promessa di "rivoluzione liberale", ma anche una parte della sinistra ha parlato della necessità di ridurre la spesa pubblica e di renderla più efficiente (sempre a sinistra, sono presenti anche voci più critiche, spesso minoritarie, che sostengono che la spesa pubblica non vada abbassata). Dopo vent'anni, una decina di governi e una dozzina di ministri dell'Economia diversa, chi può dire davvero di avere mantenuto la sua promessa? La risposta è "nessuno", almeno fino al 2009-2011. Prima di andare a vedere i dettagli, però, bisogna chiarire un paio di cose.

La spesa pubblica come percentuale sul PIL

Esistono vari modi di misurare la spesa pubblica. Ad esempio, uno dei sistemi più utilizzati è calcolare l'ammontare della spesa pubblica come percentuale del Prodotto Interno Lordo. Se proviamo a guardare l'andamento della spesa pubblica da questa angolatura, gli ultimi 20 anni sembrano delle montagne russe. Ad esempio, secondo il rapporto dell'economista ed ex ministro per i rapporti con il parlamento Piero Giarda:

[la spesa pubblica] è salita in modo pressoché ininterrotto sino al 1993, anno nel quale ha raggiunto la quota del 56,6%, è scesa fino al 47,3% nel 2000, è poi risalita fino al 52,5% nel 2009, per scendere al 51,2% nel 2010.

Negli anni successivi, dal 2011 al 2013 e, secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, fino al 2015, la percentuale di spesa pubblica sul PIL è rimasta ferma intorno ad una cifra leggermente inferiore a quella del 2010, circa il 50 per cento. Ma questo conto generale presenta un problema se quello che vogliamo capire è quale governo ha abbassato la spesa pubblica. Nel calcolo è compresa anche la spesa per interessi, cioè il costo degli interessi che lo stato paga sul debito pubblico. Questo costo dipende in sostanza da quanto gli investitori, cioè i "mercati" chiedono al governo italiano in cambio dell'acquisto dei suoi titoli. Scrive ancora Giarda:

Una frazione rilevante della spesa complessiva è costituita dalla spesa per interessi sul debito pubblico che ha visto la propria quota sul PIL crescere lentamente negli anni dal 1951 (anno nel quale era pari all'1,2%) al 1972, poi in rapida progressione al 4,4% nel 1980 e al massimo del 12,7% nel 1993, per scendere poi gradualmente fino al 4,8% nel 2010.

Questa componente della spesa pubblica torna a salire leggermente fino al 2013 e si attesta intorno al 5 per cento del PIL. Come abbiamo visto, la spesa per interessi dipende sostanzialmente dalle opinioni degli investitori. Può essere influenzata da quanto un governo è percepito solido, intenzionato a fare cose che i mercati percepiscono come "corrette" e via dicendo. Ma è influenzata anche da fattori che non dipendono strettamente da quello che fa o non fa il governo in carica. L'aumento dei tassi di interesse nell'estate 2011, ad esempio, era certamente influenzato dalle difficoltà che il governo Berlusconi aveva all'epoca nell'approvare una legge finanziaria, ma aveva anche a che fare con il timore della rottura dell'area euro. Questo fattore (che secondo alcuni addirittura arrivò ad essere la causa di ben 200 punti di spread) non era direttamente sotto il controllo del governo.

La spesa pubblica primaria

Anche per questi motivi, a volte la spesa pubblica viene calcolata senza tenere conto della spesa per gli interessi. Togliendo la spesa per interessi risulta più chiaramente cosa ha fatto ciascun governo nelle aree dove aveva più libertà d'azione, ma diviene più chiaro anche quanto un governo spende effettivamente nelle sue funzioni che riguarano più direttamente i cittadini: sicurezza, sanità, pensioni e così via. Questo indicatore si chiama "spesa pubblica primaria", o spesa pubblica prima degli interessi ed è quello di cui ci occuperemo nel resto dell'articolo. Il ministero dell'Economia ha pubblicato un documento con una tabella (la trovate a pagina 25) che mostra l'andamento della spesa pubblica primaria come percentuale del PIL tra il 2000 e il 2011. Le montagne russe della spesa pubblica dopo il pagamento degli interessi sono sparite e ci troviamo di fronte ad un arco che non fa che crescere fino al picco della crisi: nel 2000 la spesa primaria era al 39 per cento del PIL, nel 2011 era arrivata al 45 per cento nel 2011. In realtà nel 2008 c'era stato un altro picco: la spesa pubblica primaria era arrivata al 47 per cento del PIL. A quel punto scese nel 2009 e tornò a crescere nel 2010 e nel 2011.

Spesa reale e nominale

Queste cifre in percentuale sul PIL, però, ci dicono poco sul totale della spesa pubblica. Vale la pena quindi dare un'occhiata ai numeri assoluti. Nel 1994 lo stato spendeva ogni anno circa 470 miliardi di euro, mentre secondo le ultime stime ne spenderà 800 nel 2014 (secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale). In termini assoluti, insomma, le spesa pubblica non ha fatto altro che crescere negli ultimi anni. Ma su questa misurazione, che si chiama "nominale", bisogna fare un'importante precisazione. La misurazione nominale di qualsiasi grandezza economica rappresenta semplicemente il valore in moneta dell'epoca di quel fenomeno e non considera quindi l'inflazione. Questo vuol dire che nel nostro caso potremmo assistere ad una crescita della spesa pubblica anche quando questa crescita non c'è, semplicemente a causa del fatto che l'inflazione "gonfia" la cifra nominale.

Per evitare di cadere in questa trappola si può utilizzare il valore "reale". Con un procedimento statistico si fa "100" il valore di un determinato anno e si rapportano tutti gli altri anni a quel numero. Il numero che viene fuori si chiama spesa pubblica primaria (cioè senza gli interessi) reale (cioè al netto dell'inflazione). Cosa ci dice questo dato? Ancora una volta vediamo che la spesa pubblica cresce senza interruzioni fino al 2009, quando con lo scoppio della crisi comincia a calare. Questo calo diviene sostanziale tra il 2011 e il 2012 e prosegue in maniera più moderata nei due anni successivi.

Quindi chi ha tagliato la spesa pubblica?

Cerchiamo di ricapitolare. La spesa che ci interessa di più per la nostra analisi è quella primaria, cioè senza contare il costo degli interessi sul debito pubblico. E questa spesa la possiamo misurare come percentuale sul PIL, oppure in valori assoluti. In questo secondo caso possiamo utilizzare i valori "nominali" oppure quelli reali, facendo dei calcoli che ci permettono di tenere conto dell'inflazione (un euro del 2000 è diverso da un euro del 2014). Tenendo presente questo, possiamo permetterci di tirare un paio di conclusioni. Fino al 2009, nonostante le volontà più o meno esplicita di contenerla o tagliarla, la spesa pubblica è aumentata in termini reali, nominali e come percentuale sul PIL, inoltre è aumentata sia quella primaria che, in maniera incostante, anche quella complessiva. Non sembra di poter vedere una chiara differenza tra governi di centrodestra e governi di centrosinistra. In termini reali, fatto 100 il 2005, la spesa pubblica primaria è cresciuta di 10 punti durante i governi di centrosinistra tra 1996 e il 2001 e di altrettanti 10 punti tra il 2001 e il 2006. Sotto il governo Prodi del 2006-2008 la spesa pubblica primaria ha avuto un piccolo balzo - almeno guardando in percentuale sul PIL - ma è difficile imputare la colpa soltanto al governo Prodi. La Banca d'Italia, infatti, attribuisce il picco ad una manovra finanziaria espansiva accompagnata dall'arrivo della crisi economica.

Soltanto l'arrivo della della crisi ha portato a una serie di tagli che però non appaiono particolarmente significativi. I primi tagli vennero programmati nella manovra faticosamente partorita dal governo Berlusconi nell'estate del 2011. Alcune delle misure di questa manovra vennero anticipate dal governo di Monti che mise in piedi anche un certo numero di altri tagli: qui potete vedere come nel 2012, al termine del governo Monti, la spesa pubblica primaria era calata di 13 miliardi rispetto al picco del 2009.

Con il governo Letta la spesa primaria è tornata ad aumentare. I tagli del periodo di crisi, comunque, appaiono contenuti anche se li misuriamo guardando la spesa pubblica primaria come percentuale del PIL. Dopo il record toccato nel 2009, quando la spesa pubblica primaria era al 47 per cento del PIL, negli anni successivi si è assestata intorno al 45 per cento. I tagli degli anni di crisi appaiono più significativi se invece li misuriamo con l'ultimo metro, quello della spesa primaria reale (che, ricordiamo, è la spesa pubblica depurata dell'effetto dell'inflazione). Fatto 100 il valore del 2005, infatti, dopo aver raggiunto 106,2 nel 2009, la spesa pubblica primaria tornerà a 100, cioè il livello di quasi 10 anni fa, nel 2014.