La solidarietà non può tollerare derive parassitarie. La ragione per cui nel Regno Unito - tra i conservatori, ma anche tra i laburisti - si levano cori contro l'apertura totale delle frontiere a bulgari e rumeni ha natura economica, non razziale.

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"Il problema del socialismo è che prima o poi i soldi degli altri finiscono", ammoniva la Lady di ferro negli anni più cupi che il Regno Unito avesse trascorso dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Oltremanica, da quella fervente stagione politica, deplorata da molti e difesa da pochi, una lezione di economia e di etica pubblica, però, l'hanno appresa tutti.

Di fatti, quello che i sudditi britannici sembrano aver compreso meglio di tanti cittadini europei, è che la solidarietà non può tollerare derive parassitarie, e che il sistema welfaristico non deve essere elevato al rango di modello macroeconomico, ma rimanere una rete di soccorso riservata soltanto a chi – per motivi più che validi – versa in condizioni di indigenza. Il rischio di lasciarsi prendere la mano da un assistenzialismo troppo generoso con chi potrebbe farcela da solo è che non rimangano più risorse per aiutare nemmeno chi fa palesemente fatica a raggiungere standard di vita dignitosi. In tempi di vacche grasse, una certa quantità di "spesa elettorale" con cui acquisire consensi può essere anche colpevolmente tollerata, ma in periodi di crisi – specialmente in paesi come il Regno Unito – la corda diviene immediatamente troppo corta, e i contribuenti perdono facilmente la pazienza con chi intende tirarla.

Benché il dibattito pubblico europeo si muova su un piano emozionale (o irrazionale), è principalmente economica e pragmatica - e non razziale - la ragione per cui nel Regno Unito si levano cori di protesta contro l'apertura totale delle frontiere britanniche a cittadini bulgari e romeni, iniziata lo scorso primo gennaio con la caduta delle ultime restrizioni che Londra era riuscita ad ottenere da Bruxelles.

Da un lato, infatti, può sembrare scontata la rigida presa di posizione del premier Cameron che, assecondando la volontà della sua constituency in vista delle elezioni del prossimo anno e sperando di svuotare così parte del bacino elettorale degli euroscettici dell'UKIP, intende porre immediatamente freno ai fenomeni di "turismo assistenziale e sanitario" (sic) con provvedimenti che limitino l'erogazione dei sussidi di disoccupazione prima di tre mesi sul suolo britannico e l'accesso agli alloggi popolari e la fruizione gratuita del sistema sanitario per i non residenti. D'altro canto, però, è interessante notare come alcuni punti critici della questione vengano sollevati anche da autorevoli voci del laburismo inglese.

Sebbene sostenga che la preoccupazione che la Gran Bretagna si trasformi in un paese dei balocchi del cosiddetto "turismo assistenziale" e che subisca un'invasione incontrollata sia un'esagerazione volta a strumentalizzare il dibattito sull'immigrazione, uno studio dell'Institute for Public Policy Research – noto think thank orientato a centrosinistra – ammette che il paese dovrà ben attrezzarsi per far fronte ad una crescente domanda di assistenza, alloggi e servizi pubblici, senza sottovalutare, inoltre, i problemi di integrazione che potrebbero sorgere dall'eventuale e non precisamente quantificabile flusso migratorio di individui di etnia rom, censiti come circa 621.000 in Romania e 370.000 in Bulgaria, rispettivamente il 3,3% e il 4,6% delle popolazioni nazionali. Il paper, pur mantenendo un approccio che considera vitale l'apporto dei nuovi immigrati comunitari alla ripresa economica britannica e definendoli giovani, abbastanza istruiti e professionalmente qualificati, non manca dunque di ricordare che "l'immigrazione romena e bulgara rimane fonte di preoccupazione per il settore pubblico" (sic).

Dal canto suo, Migration Watch, think thank di ispirazione più conservatrice, sostiene che molti bulgari e romeni che lavorano in Italia e in Spagna sarebbero già pronti a trasferirsi nel Regno Unito per usufruire di un mercato del lavoro e di una rete assistenziale più generosi, in cifre stimate intorno ai 50.000 individui l'anno nel prossimo quinquennio.

Per quanto polarizzato, strumentalizzato e talvolta caratterizzato – come fisiologico che sia – da alcune posizioni minoritarie di chiara ispirazione xenofoba, la convergenza di laburisti e conservatori su alcuni punti della questione dei flussi migratori che anima da mesi l'opinione pubblica d'oltremanica dimostra che la vicenda – che sarà certamente determinante per l'esito delle prossime elezioni – non può essere liquidata tacciando la totalità della società inglese, tra le più aperte e multiculturali d'Europa, di cieco razzismo.

Di fatti, il problema non può essere colto nel suo intero se non si considerano due fattori di tutt'altra natura. In primo luogo, la costante preoccupazione squisitamente britannica per l'uso più opportuno dei soldi del contribuente e la sensibilità a che tutti contribuiscano al meglio al buon andamento della società. In secondo luogo, last but not least, vi è il sostanziale rifiuto di gran parte dell'elettorato britannico alle imposizioni di Bruxelles, in un momento in cui il paese chiede a gran voce – forse anche con un referendum di uscita dall'UE – di tornare ad avere maggiore autonomia rispetto a quella che viene percepita come una macchina burocratica parassitaria e sempre più invasiva, additata come la vera causa del declino economico del vecchio continente.

In definitiva, il Regno Unito merita di essere tacciato di xenofobia e di euroscetticismo nell'accezione demagogica, tout court e leghista del termine tanto quanto alla Germania – non a caso impegnata anch'essa nel dibattito sui nuovi flussi migratori – spettano le accuse di affamatrice di popoli per il solo fatto di avanzare la pretesa che i paesi economicamente più malati tengano i conti in ordine per non trascinare nel baratro il resto dell'eurozona. Sono insinuazioni che poco hanno a che vedere con la realtà, pronunciate troppo spesso da chi ha perso da tempo la capacità di affrontare le questioni di più cruciale importanza per le sorti di un paese senza smarrire il buon senso e, al contrario, facendo costantemente i conti con una triste realtà: quella che i soldi degli altri sono finiti da tempo.