Nazionalismo e Islam sono due componenti imprescindibili dall’identità turca, insite nel Paese fin dalla sua formazione e che, nel caso della seconda, nessuno, nemmeno il fondatore dello Stato moderno, Mustafa Kemal Atatürk, ha mai cercato di scalfire.

Ottaviani Istanbul

Una nuova identità
Nell’ottobre del 1923 nasce ufficialmente la Repubblica turca, sulle ceneri dell’Impero ottomano. A guidarla c’è un ex ufficiale, Mustafa Kemal, che ha vinto la guerra con le potenze occidentali e la Russia, ma si trova di fronte una missione titanica: costruire una nazione ex novo. Il suo sogno è quello di dare vita a un Paese con una forte identità turca, ma sul modello occidentale. Il ‘Padre della Patria’, però, sa di avere un ostacolo da affrontare per realizzare il suo progetto: la religione. Atatürk è ben conscio di quanto l’Islam sia profondamente permeato fra la popolazione, e per aggirare il problema lo mette sotto il controllo dello Stato.

Le corti islamiche vengono chiuse e a loro subentrano codici ispirati a quelli svizzeri, francesi e italiani. Viene creata la Diyanet, l’Autorità per gli affari religiosi, sostanzialmente sotto il controllo del governo, dando vita a quell’ibrido in continua mutazione di paese musulmano ma guidato da istituzioni ‘laiche’ che oggi conosciamo. Atatürk, a causa della sua morte prematura, riuscirà nel suo intento solo fino a un certo punto. Il popolo turco, anche grazie al lavoro delle Confraternite islamiche, continuerà a percepire la religione come parte integrante della sua identità. L’Islam sunnita sarà una componente il cui peso aumenterà progressivamente nel corso della storia della Turchia moderna, insieme con quella etnica e nazionalista, con tutte le conseguenze sulle minoranze religiose e no.

La politicizzazione dell’Islam
Il Padre della Patria morì nel 1938, lasciando il suo disegno ampiamente incompiuto e soprattutto senza aver preparato la sua successione. Con l'introduzione del multipartitismo alle elezioni del 1946, la religione entra ufficialmente nei programmi politici. Adnan Menderes, che ricopre la carica di primo ministro dal 1950 fino al golpe del 1960, compie una virata a 180 gradi rispetto al tentativo di Atatürk di nazionalizzare l'Islam e renderlo funzionale al suo progetto politico. I sermoni nelle moschee e il richiamo alla preghiera tornano in arabo e non più in turco, nel Paese vengono edificati centinaia luoghi di culto su tutto il territorio nazionale. Il golpe militare del 1960 avrà come unico effetto quello di allontanare l'ingresso ufficiale e strutturato dell'Islam nella vita politica e civile del Paese di appena 10 anni. Nel 1969 Necmettin Erbakan, il padre politico di Recep Tayyip Erdoğan, fonda il Millî Görüş, il Movimento per la Visione Nazionale, che pone l'accento sulla valorizzazione dei sentimenti morali e religiosi della popolazione, in chiave schiettamente antioccidentale, unita alla promessa di una lotta alla corruzione. Un mix di Islam e populismo che nel 1973 porta il Millî Selamet Partisi, il partito fondato da Erbakan, a diventare la terza forza politica del Paese. Segno che la combinazione di sentimenti nazionalisti e religiosi in Turchia funziona e può anche migliorare.

La sintesi turco-islamica
Nel 1971, intanto, i militari erano intervenuti per la seconda volta nella vita civile del Paese, anche se in modo più sfumato rispetto al 1960. Il golpe era servito a riportare la calma per le strade, sconvolte dalle lotte fra i gruppi comunisti e filo-curdi e quelli della destra ultranazionalista. Avevano tenuto un profilo basso, invece, i militanti afferenti alla destra islamica, sia quelli che facevano capo a Erbakan, sia quelli sotto il controllo di Fethullah Gülen, un imam che pratica un Islam meno dogmatico e di impronta social democratica, che predica la fratellanza universale, ma che nel frattempo sta mettendo su un impero che assumerà proporzioni enormi. Per evitare che le Forze Armate si occupino di lui e pur di dare fastidio a Erbakan, che porta avanti un'azione politica chiara e non strisciante come la sua, Gülen inizierà a sostenere in modo sempre più convinto i militari e a infiltrarne i ranghi.

Nonostante il secondo colpo di Stato, la situazione per quanto riguardava la sicurezza nelle strade rimaneva critica. Nel 1979 Khomeini aveva preso il potere in Iran, sottoponendo tutta la regione a un rischio di contagio. Per questi motivi, nel settembre 1980, l'establishment militare decise di intervenire per la terza volta nella vita civile nel Paese, con un impatto senza precedenti in termini di provvedimenti presi e violazioni dei diritti umani. L'obiettivo principale di questo colpo di Stato furono i movimenti di sinistra, socialisti e in generale filo-curdi. La giunta conservò il potere per oltre due anni. Questo servì non solo per resettare lo Stato dalle fondamenta, ma anche per dare vita a uno strumento che avrebbe dovuto compattare la popolazione e fare crescere generazioni più allineate e meno inclini a quelli che erano considerati pericolosi estremismi: la sintesi turco-islamica, ossia la consacrazione dell'identità islamo-nazionalista, dove la componente religiosa è rigorosamente rappresentata dall'Islam sunnita. È interessante notare come a sostenere questo progetto siano stati proprio i militari, tradizionalmente considerati i difensori dello Stato laico di Mustafa Kemal Atatürk. Pensavano che con la nazionalizzazione della religione, idea che risale ai tempi del Padre della Patria, avrebbero tenuto lontano la Turchia dalle influenze della regione. In realtà fu un punto di non ritorno, che sdoganerà definitivamente l'Islam politico.

Il 'metodo Özal’
Purtroppo per i militari, e soprattutto per la Turchia, se loro non avevano mai brillato per sagacia politica, dall'altra parte si trovarono davanti un interlocutore dall'intelligenza non comune e con un progetto ben preciso: Turgut Özal. Fu lui a implementare la sintesi turco-islamica, ma fece anche di più: creò una sorta di bilanciamento fra progresso e pragmatismo da una parte e il richiamo alla religione e alla tradizione dall'altra, offrendo nuove possibilità di valorizzazione tanto dell'Islam quanto del passato ottomano. Con Özal i membri delle confraternite islamiche entrarono nella burocrazia statale. A questo va aggiunta l'apertura del Paese ai mercati stranieri, soprattutto quelli arabi, che permetteranno l'influsso costante e cospicuo di capitali sauditi, soldi che serviranno a dare vita al fenomeno delle cosiddette 'Tigri Anatoliche', un sistema di piccole e medie imprese appartenenti a imprenditori vicini ai circoli più conservatori, che con il passare del tempo occuperanno un ruolo sempre più importante nell'economia nazionale. Non è un’esagerazione dire che Özal e Menderes sono state le due figure a cui Erdoğan si è ispirato maggiormente per attuare il suo disegno.

La ‘Yeni Türkiye’
L’avvento di Recep Tayyip Erdoğan al potere, nel 2002, è stato salutato da parte della comunità internazionale con entusiasmo. Si credeva che un partito islamico-riformista in un contesto istituzionale democratico avrebbe potuto rappresentare un modello per altri Paesi nella regione. Purtroppo l’illusione è durata solo qualche anno, il tempo di mettere fuori gioco gli apparati più laici dello Stato. Successivamente, il presidente della Repubblica ha dato un nuovo connotato alla sua attività politica, rientrando a pieno titolo nel solco della tradizione nazionale. La matrice religiosa è apparsa evidente fin dalle sue prime mosse, anche se celata all’opinione pubblica internazionale da un’attività riformatrice. A partire dal 2013, Erdoğan ha affiancato al carattere vocazionale della sua azione politica un connotato sempre più nazionalista, volto soprattutto a calamitare i consensi e a compattare il suo elettorato davanti a un’affermazione progressiva della minoranza curda. Quasi una sintesi turco-islamica 2.0, che questa volta ha lo scopo di allontanare la Turchia dall’Occidente per farla ergere a riferimento per tutti i Paesi dell’area, anche grazie a una rivisitazione storica che pone l’accento sul passato neo-ottomano e dove la rivoluzione di Mustafa Kemal Atatürk sembra una parentesi.