E pensare che c'avevamo il complesso di inferiorità per la società civile, che ci sembrava piena di gente figa e più credibile di noi, meglio vestita, abituata alla forchetta da pesce. Quella con tre cognomi e tantissimi capelli – che signora! – e la cinquantenne magrissima coi tailleur giustissimi, e l'economista carina con l'eterno broncetto da talk show. Che curriculum, che stile. San Paolo Invest, Ferrari, Confindustria, e lavori imparagonabili coi nostri: Customer Relationship Management, ad esempio, che noi poveracci dobbiamo cercare con Google per capire che vuol dire.

Societa civile 1

Solo tre o quattro anni fa sembrava perfettamente logico cedere il passo a questi, che ti guardavano pure male. Ricordo un colloquio sulla campagna elettorale romana col celebrato manager figlio di coppia importante, che mi fece fare un'ora di anticamera e poi mi presentò con sussiego il suo luogotenente per la Capitale, candidato quotatissimo. "Che lavoro fai?" - "Contratto alla London busisness" - "Vivi a Londra? Ma se ti eleggono come fai?" - "Beh, verrò una volta al mese". Poi mi fece una lezioncina su Roma, dove non passava da dieci anni, specificando che comunque non ci sarebbe tornato a stare mai però poteva rivoluzionarla a distanza, tipo il Remote Play della Playstation.

La società civile in politica ha dovuto fare una lunga marcia prima di scalfire il nostro ego. In principio furono Cicciolina e Toni Negri, gente che veniva dalle professioni, per quanto non comuni, ma con la quale era difficile sentirsi in svantaggio. Molti anni dopo il trend si riaffacciò.

Alla fine degli anni '90, per la prima volta conobbi personalmente una della società civile salita in politica, nel piccolo partito di destra per cui simpatizzavo. Era una milanese con gli stivali di vernice, che aveva soffiato il collegio provinciale a una cara amica mia, personaggio da sezione e quindi ritenuto di nessun valore. La signora stivalata aveva un sacco di idee: ad esempio regalare shopping bag ("Carinissime, vedrai che andranno a ruba") alle partecipanti a una convention femminile del partito. Pensai: durerà dieci minuti. Finì che quasi quasi faceva il ministro.

Quando arrivò il miliardario, il settore società civile fu riordinato eliminando le improvvisazioni. Venne l'età d'oro dei venditori di pubblicità e delle Meteorine, e anche quella non causò danni psicologici importanti a chi aveva letto qualche libro. Il miliardario preferiva infatti la società civile sotto i trent'anni, che di solito ha i nervi fragili, ed era facile guardare dall'alto in basso gente che pensava di conquistare un posto sicuro alle europee dandosi fuoco sotto in piazza o travestendosi da infermiera.

Epperò, all'improvviso, erano così tanti quelli della società civile che cominciarono a costituire un problema. Si resero necessari corsi di formazione. Partivano dall'ABC: prima lezione, "In Italia c'è il Parlamento, non il Re". Ascesero così in politica l'uomo del riso che non scuoce mai e la celebre igienista dentale, la bellezza rinascimentale e il nato con la camicia insieme a una folla di meno noti che screditò tutto lo screditabile. Guardandoli e ascoltandoli in tv l'autostima di noialtri era quotidianamente rafforzata, tipo Houellebecq alla presentazione di un libro di Fabio Volo.

Il trend cambiò intorno al 2012. Fece irruzione la stagione del Professore con la maiuscola e di altri titolati arruolati dalla fondazione del Carino, con curriculum da invidia, gente che non aveva fatto i calendari ma i master in materie complicate e che guidava grandi enti economici, facoltà, o addirittura intere università e mitici loghi dell'impresa e della cultura. Erano gli ottimati.

Ci lasciavano fuori dalla porta quando discutevano delle cose importanti, e a tutti sembrava normale. Tanta era la coda di paglia per i gran casini che aveva fatto la politica ai tempi di quello prima, il miliardario, che si applaudiva a prescindere. Persino il figlio di papà che dava degli sfigati ai disoccupati italiani sembrò un genio, il che dice tutto su come era ridotto il nostro ego.

Gli ottimati fecero un partito, misero più o meno alla porta chi veniva dalla politica, furono eletti, silurarono il fondatore, trattarono per il governo con uno stile tutto loro, e nel declino dei sondaggi si divisero accusandosi l'un l'altro di intelligenza con il nemico, leso civismo e vetero-politicismo. Infine, arrivati sottozero, si misero in sicurezza senza macerarsi troppo. Otto di là, col Pd, "che in fondo era già casa nostra". Tre o quattro di qua, in un rito congressuale di ri-ri-ri-fondazione all'insegna del vecchio motto mastelliano "meglio primi in provincia che secondi a Roma", anche se la provincia del caso è grande come un campo di patate.

L'unico che non si mise in scia nel tragicomico finale di partita, oltre al Professore con la maiuscola, fu quello – e non lo cito per nome perché non c'è bisogno – che veniva dalla "politica politicante". Lui se ne andò al gruppo misto, seguendo i codici della politica "di prima", prima che diventasse il doppio lavoro di signori e signore fortunati. Spiegò il perché a voce e per iscritto, si scomodò a parlare con serietà pure al congresso.

Il che non dimostra scientificamente niente, ma ci rianima un pochino: dopo un trentennio di società civile che scende o sale in politica, da Cicciolina ai miliardari, dai professori a quelli delle scie chimiche e delle sirene (di cui si dovrebbe parlare ma non c'è tempo), il nostro ego può tornare a luccicare e a espandersi intorno all'antico pregiudizio di casta. Sì, la società civile che arremba alla politica altro non è che una folla di Calogero Sedara, da dovunque provenga. Sì, noi siamo i Principi di Salina, al confronto, e la figura dei parvenu è tutta loro, comunque e dovunque, anche se hanno imparato da tre o quattro generazioni a mangiare il pesce senza usare il coltello.