Sono bastate poche ore perché nell'opinione pubblica più ingenuamente confidente negli effetti del bazooka messo in campo dalla BCE iniziassero a farsi spazio ragionevoli dubbi non solo sulla ripartizione dei benefici e dei costi del quantitative easing - che non è affatto detto premi l'Italia - ma anche sul significato politico di questa apparente "rottura" della camicia di forza imposta dalla Bundesbank all'Eurotower.

draghi

Lasciamo da parte il primo aspetto e ragioniamo sul secondo che, se è meno rilevante sul piano degli effetti immediati sulle economie e i bilanci pubblici degli stati europei, è un significativo indicatore della tendenza - quella alla rinazionalizzazione politico-economica dell'area euro - che la scelta di ieri non sembra affatto invertire, ma al contrario assumere come un vincolo insormontabile, proprio nel momento in cui la BCE sceglie di mettere in campo il massimo di mutualità possibile e di sfidare non la lettera, ma quella che la vulgata "rigorista" accreditava come l'interpretazione ortodossa dei trattati.

Draghi ha avuto probabilmente buon gioco a giustificare un QE che oggi formalmente non serve a sussidiare surrettiziamente i bilanci pubblici dei paesi più esposti sul fronte del debito, ma a perseguire l' obiettivo istituzionale della BCE, la stabilità dei prezzi. Ma ha dovuto ovviamente rispettare un principio "nazionale" di ripartizione del rischio, che sarà per l'80% a carico delle banche centrali nazionali. Di questa misura, come della clausola anti-Tsipras, che sospende l'operazione in caso di rottura dell'accordo con la troika, si è detto che rappresentano una "vittoria della Germania" e la vera ragione dl sostanziale via libera di Berlino.

In realtà occorrerebbe ammettere che il QE di Draghi rispetta la costituzione materiale dell'eurozona, non solo i desiderata tedeschi. Una politica monetaria meno "particolaristica", come una politica economica e fiscale europea più ambiziosamente comune comporterebbe una effettiva cessione di sovranità politica proprio su quei temi su cui gli Stati (non solo quelli più forti, innanzitutto quelli deboli: Grecia, Spagna, Italia, ora anche Francia) tornano a rivendicare "democraticamente" il proprio primato.

Nell'Europa del nazionalismo antieuropeo, è del tutto illogico attendersi come risposta un più generoso europeismo economico-monetario non solo da parte di Berlino, ma anche di Bruxelles e di Francoforte.

@carmelopalma