Antonio Martino e Pietro Ichino sarebbero degli ottimi presidenti della Repubblica. Un liberale classico il primo, un riformista il secondo, accomunati da alcuni tratti preziosi: la cristallina onestà intellettuale e materiale, la robustezza culturale e politica, il coraggio delle idee difficili.

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Vengono da mondi agli antipodi e se qualcuno ha camminato per avvicinarsi all'altro, quello è stato Ichino, uno di quegli "ex comunisti" che ci piace, perché era comunista per le stesse ragioni per cui oggi è riformista: voleva e vuole che le cose vadano meglio, estendendo lo spazio dei diritti e della libertà. Martino, dal canto suo, può rivendicare di essere da sempre quel che è: "semplicemente" un liberale, di esserlo da prima che il termine diventasse di moda (per poi essere abusato e spompato), di essere colui che avrebbe potuto davvero inverare la rivoluzione liberale promessa e mai compiuta da Berlusconi.

Nel 1994 Antonio Martino ispirò una riforma delle pensioni che, se realizzata, avrebbe fatto risparmiare 20 anni all'Italia. Oggi paradossalmente avremmo un'età pensionabile più bassa ed una spesa previdenziale più moderata, perché non avremmo nel frattempo continuato ad accumulare anni di ritardi, di assegni retributivi, di pensioni troppo generose e di disparità tra settori e tra generi. Per 20 anni, Berlusconi ha amato Martino, ma si è scopato Tremonti, lasciando che fosse questo commercialista di Sondrio a dettare la linea della politica economica del centrodestra italiano: forse la deriva salviniana e lo sconquasso attuale del centrodestra nasce anche da quella scelta.

Pietro Ichino è, insieme a Giuliano Cazzola, l'esperto politico più solido e più profondo sui temi del lavoro, del welfare e delle relazioni industriali. Se Renzi è il padre del Jobs Act, Ichino è la madre. La riforma non è quella che il giuslavorista avrebbe disegnato se avesse potuto scegliere in piena autonomia, ma c'era bisogno che qualcuno la votasse e la facesse ingoiare (non digerire) al PD, dopo anni di ostracismo e di folli ostacoli ideologici ad ogni minima riforma. La storia e la vita politica di Ichino sono un esempio di riformismo purissimo e di opinioni di rottura (come quella sui "nullafacenti" del pubblico impiego). Un giuslavorista sotto scorta, in un Paese dove si troppo riformismo qualche giuslavorista ci è morto.

Ah, se la destra italiana fosse Martino e la sinistra fosse Ichino! Potrebbero pure farlo a turno, il preside della Repubblica: prima l'uno e poi l'altro, o viceversa. Nessuno dei due - parliamoci chiaramente - ha molte chance di fare il presidente della Repubblica, perché la politica italiana è una peggiocrazia, perché Martino viene usato da Berlusconi solo come bandierina, perché rischia di prevalere la logica della palude. Ma parlare apertamente di loro due è un modo per seminare, per "contaminare" il dibattito, per tracciare il sentiero del futuro. Mica pensate davvero che sia finita così, con il Nazareno, la politica italiana?

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