Come era prevedibile e coerente con le caratteristiche del personaggio e del suo modo di interpretare la parte, Napolitano nel suo ultimo discorso di Capodanno ha parlato da Presidente e non da ex Presidente, misurando le parole e i gesti e non rinunciando a dettare i passaggi dell’auspicabilmente non troppo lunga transizione che porterà all’elezione del suo successore.

In linea col piglio sempre più apertamente interventistico mostrato negli ultimi anni del mandato, Napolitano non ha mancato neppure di ribadire un esplicito sostegno al governo in carica e alla sua agenda politico-istituzionale, che oggi oggettivamente rappresenta (non solo per la spinta del Capo dello Stato) la garanzia per l’ancoraggio europeo dell’unico grande Paese dell’eurozona in cui il voto euro-nichilista – raccolto da forze politiche tra loro non alleate, né alleabili – assomma abbondantemente la maggioranza assoluta dei consensi e sembra anche destinato a crescere.

Napolitano e corazziere grande

Sinceramente ci si poteva anche attendere la carrellata di “italiani esemplari” (Cristoforetti, Gianotti...) da contrapporre all’immagine di un’Italia degradata dagli scandali e dal malaffare politico e anche dal voluttuoso compiacimento con cui l’informazione italiana ne fa il paradigma di tutti i mali della nazione. Anche gli autisti dell'Atac e i vigili urbani di Roma Capitale che hanno disertato in massa il turno di Capodanno sono però a modo loro "italiani esemplari", no?

Da questo punto di vista, se ci possiamo permettere, il Napolitano esemplarmente pedagogico dei messaggi quirinalizi avrebbe però potuto spingersi ben più avanti, aggredendo quella gigantesca rimozione che continua a gravare sul dibattito pubblico italiano e che la politica e l’informazione scandalistica usano in modo scientifico per evitare o rimandare la resa dei conti con la realtà. Insomma “mettiamocela tutta”, per risalire la china, ma prima “diciamocela tutta” sulle ragioni della crisi italiana e sulle sue possibili soluzioni.

Il governo e il premier, con il sostegno di Napolitano, giocano lo scontro con le opposizioni nichiliste insistendo su di un registro retorico facile, ma pericolosamente somigliante a quello utilizzato, senza inibizioni dialettiche e con efficacia più grossolana, dal fronte avverso. La rappresentazione del conflitto è puramente soggettiva, come se la differenza tra Renzi e Grillo o Salvini dipendesse da una diversa disposizione personale – intrinsecamente cattiva e colpevolmente antipatriottica, agli occhi degli avversari – e non da una diversa analisi dei fatti. Come se gli uni volessero il “male” dell’Italia e quegli altri il “bene”. La maledizione della questione morale ha infiltrato anche l’ultimo bipolarismo rimasto, quello tra politica e antipolitica, riducendolo a un’opera dei pupi svuotata di qualunque concretezza storica e culturale.

Il livello più profondo dello scontro, che erompe in un’eurofobia paranoide contrapposta a un’eurofilia irenistica, invece poggia su di una base più dura e drammaticamente oggettiva. Occorre dare un nome e una ragione alla crisi che gli italiani oggi fronteggiano e alle sue relazioni con le questioni del mondo. O ci si convince – con Grillo e Salvini – che l’Italia è oggi intrappolata in una macchinazione euro-mondialista a guida teutonica o anglo-americana, oppure ci si persuade che è inadeguata alla competizione globale. Da quest’analisi discendono le soluzioni, non viceversa. Non sappiamo Salvini o Grillo, ma certamente milioni di italiani che li votano credono sinceramente, per quello che capiscono e che non capiscono, che la risposta giusta sia la prima.

Per persuaderli del contrario, visto che non è detto che a breve il vento cambi e la ripresa punisca la speculazione politica al ribasso, più che sfottere i menagramo e confidare nella naturale confidenza degli italiani con lo stellone, forse occorre che anche le comunicazione politica stia sul livello della realtà politica e affronti i dilemmi radicali in modo radicale.

C’è un pezzo d’Italia pronto tranquillamente a passare dal sogno americano al sogno putiniano e disperatamente disposto a credere che il declino italiano sia colpa dell’euro, dell’Europa, della Germania, delle sanzioni alla Russia, dei disperati stipati sui barconi illegali e nascosti nei barconi legali che seguono le rotte europee e di chiunque altro, fuori dai nostri confini, stia sempre meglio mentre “noi” stiamo sempre peggio. Per strapparli all’illusione autoconsolatoria e disperata dello “stampa e svaluta”, occorre convincerli che le ragioni dei nostri guai, iscritte nei capitoli critici del nostro bilancio pubblico e in quello delle nostre imprese, siano tutte nostre, e che le abbiamo volute noi e ce le dobbiamo risolvere (e pagare) sostanzialmente da soli. Cosa difficile da accettare, per chi si è abituato a credere che tutto quello che non va – dalla produzione industriale, all’occupazione passando per l’inefficienza della PA e della spesa pubblica – debba necessariamente essere effetto di un illecito o di uno scandalo, oppure di un complotto, non di una scelta politica consapevole e legittimamente democratica.

A ricordarlo, in modo neppure troppo obliquo, è stato l'ultimo dell'anno proprio il beniamino del filo-europeismo anti-tedesco, Mario Draghi, che per non dovere concedere troppo ad un euro-dogmatismo stupido non deve concedere nulla a un euro-miracolismo furbo.

@carmelopalma