Alla fine la sorpresa è arrivata e, come spesso succede anche in Italia, nessun sondaggista si era accorto della sorpresa in arrivo. Il favorito, Victor Ponta, attuale primo-ministro del governo di centro-sinistra, contro il "tedesco" Klaus Iohanni, era dato avanti di almeno 10 punti percentuali. Alla fine l'ha spuntata Iohannis distanziando Ponta di 9 punti percentuali. I primi indizi arrivano dagli exit-poll che attestano un sostanziale pareggio. Si deve aspettare però poco tempo per capire chi è il vincitore, infatti due ore dopo la chiusura dei seggi Victor Ponta ammette la sconfitta.

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Come sia successo questo "miracolo", penso che sarà oggetto di lunghe analisi ma le spiegazioni sono forse più semplici e meno "etniche" di quanto l'origine di Iohannis suggerisca. Non è una vittoria "tedesca" e meno che mai protestante (nel senso confessionale del termine). Il nuovo presidente è personalmente rappresentante di una minoranza nazionale e religiosa, ma politicamente ha dato voce a un malessere crescente e alla fine maggioritario, non solo nella diaspora, contro un sistema politico accusato di inefficienza e corruzione. La Romania prova a voltare pagina rispetto a una storia di controversa continuità di potere, che affonda le proprie radici agli albori della rivoluzione post-Ceausescu e che ha coinvolto in questi decenni anche molti esponenti del vecchio regime comunista.

Iohannis ha vinto contro Ponta grazie – si direbbe nel gergo calcistico - al risultato in trasferta. La grande mobilitazione della diaspora rumena ha determinato l'esito del voto. I centosessantamila che hanno votato al primo turno sono diventati quattrocentomila il 16 novembre. La gestione demenziale dei seggi da parte delle ambasciate rumene, che hanno ritenuto di non aprire seggi supplementari e perfino di chiuderne alcuni, sono state un incentivo al voto contro il partito al potere. Le immagini con le lunghe file ai consolati di Londra, Torino, Roma, Parigi, con migliaia di rumeni in fila dalle prime ore dell'alba per votare, in alcuni casi senza riuscirci, ha creato un'ondata di indignazione in quell'elettorato che normalmente assiste passivamente alle vicende politiche. Un pathos che non sia affacciava da decenni sulla scena politica rumena, portatore di un messaggio forte e chiaro: il governo in carica va mandato a casa e Ponta non deve diventare presidente.

Infatti, se fino alle 17 la tendenza sembrava quella di una vittoria di Ponta, da quel momento fino alla chiusura delle urne le cose sono cambiate radicalmente. Quei 2 milioni di rumeni "dormienti" finalmente si sono svegliati e sono andati a votare contro lo spettacolo penoso che le televisioni riversavano su di loro. Un dato su tutti: il 70% dell'elettorato sotto i 30 anni ha votato per il "tedesco".

Certo, non si può neanche negare e minimizzare la figura di Iohannis che per tutta la durata della campagna elettorale ha dato un'immagine di serietà, determinazione e soprattutto di "aria pulita". Il credito morale accumulato da sindaco di Sibiu è stato l'arma fondamentale per la sua ascesa alla presidenza.

Sul piano strettamente interno ha contato molto il messaggio fermo del presidente eletto riguardo alla corruzione. Ponta ha fino al voto traccheggiato sulla legge di amnistia, che avrebbe fatto uscire di galera tanti dei "baroni" di sinistra coinvolti in gravi casi di corruzione. Il 16 novembre la legge era ancora al ordine del giorno. Il 18 novembre, in regime di urgenza, la legge è stata definitivamente respinta dal parlamento con un solo voto contrario e un astenuto. Il messaggio è arrivato forte e chiaro, la Romania cambia.

Chi vuole vedere dietro questo risultato gli esiti di un "complotto" tedesco o magari americano sbaglia di grosso. La Romania, come si è detto un tempo, sarebbe rimasta in ogni caso una "colonia" americana ai confini della Russia, cioè un paese di indiscutibile fedeltà atlantica e ancoraggio europeista. Nulla dei risultati delle presidenziali di Bucarest è dipeso da quanto succede ai confini orientali dell'Europa, tutto dalle evoluzioni del quadro politico interno.

Per una volta uno slogan è stato decisamente azzeccato: "La Romania del lavoro fatto bene". Ecco, stavolta, le cose sono state fatte bene.