Dall'inizio della crisi economica e finanziaria nel 2009, i cittadini europei assistono, impotenti, all'opposizione sterile tra gli Stati Membri fautori della politica dell'offerta e quelli partigiani della politica della domanda.

A più di sei mesi dall'invasione e dall'annessione della Crimea da parte di Mosca, mentre le forze russe proseguono, malgrado la tregua, la loro conquista militare del Donbass, non ci è ancora dato di vedere il lancio, pertanto annunciato, di una ambiziosa politica europea dell'energia. Due esempi emblematici dello stato della nostra Unione.Europa pennellate

Certo non mancano le critiche, alla Commissione europea e persino al Parlamento europeo. Stranamente, il Consiglio dei Ministri se la cava. Eppure questa istituzione, uno degli angoli del triangolo istituzionale originario, dove i ministri dei 28 Stati Membri si ritrovano in formazioni specializzate (agricoltura, finanze, trasporti, ...), partecipa allo stesso titolo del Parlamento europeo al processo legislativo europeo (la famosa codecisione). Con il PE, emenda, approva o boccia le proposte di direttive presentate dalla Commissione.

Questa istituzione poco visibile mutua ancora molto, è innegabile, dalle prassi diplomatiche. L'essenziale del suo lavoro è eseguito da diplomatici (Coreper[1]) che, come vuole lo spirito di corpo, rispondono più alle loro "Farnesina" rispettive che ai loro governi nazionali e, a fortiori, al ministro competente.

Per giunta, trasformato il triangolo in quadrilatero con la creazione del Consiglio europeo (audacia concettuale e semantica!), il Consiglio (dei Ministri) è stato, de facto, relegato al ruolo di esecutore della nuova istituzione suprema. E i cittadini si sono smarriti ancora un po' di più nel labirinto istituzionale europeo. Solo i mass media hanno trovato il proprio tornaconto: contrariamente alla pratica impegnativa delle cronache parlamentari, infatti, una riunione solenne di 28 capi di stato e di governo che lavorano al fotofinish assicura senza sforzo un buon spettacolo mediatico.

Vero è, però, che oggi ci sono due istituzioni, il Consiglio (dei ministri) ed il Consiglio europeo (dei capi di stato e di governo) ad assicurare la funzione di rappresentanza degli stati-nazione in seno all'Unione europea. Una delle due è di troppo? Per molti, fra gli altri per quelli che, con Luuk Van Middelaar[2], teorizzano lo spirito di club dell'Europa, ci si sarebbe spinti troppo avanti per poter tornare indietro. Queste due istituzioni sarebbero chiamate a durare nella forma che è oggi la loro. Saremmo quindi condannati vita natural durante alla coabitazione di un consiglio dei ministri evanescente e di questi "vertici dell'ultima chance" a ripetizione, quegli stessi che sono rimessi in questione dai quattro saggi autori del rapporto "Refaire l'Europe: Esquisse d'une Politique"[3].

Se, tuttavia, come sostengono molti osservatori, una parte sostanziale delle leggi votate nei parlamenti nazionali deriva direttamente o indirettamente da "Bruxelles", abbandonare l'elaborazione delle grandi opzioni economiche e politiche ai 28 capi di stato e di governo (e ai loro invisibili sherpa) non fa che esasperare le posizioni ideologiche e nazionali.

Non sarebbe possibile, al contrario, promuovere una differenziazione più netta del ruolo di queste due istituzioni? Il Consiglio europeo (che, del resto, "non esercita funzione legislativa") del quale potrebbero auspicabilmente fare parte i Presidenti della Commissione, del Consiglio, del Parlamento e della Banca Centrale Europea, manterrebbe questo ruolo di "impulso" e di "definizione degli orientamenti e delle priorità politiche generali"[4], un luogo di scambio di vedute semestrale tra i capi di stato e di governo che diventerebbe allo stesso tempo, formalmente, il Consiglio costituzionale dell'Unione, il luogo dove si prendono le decisioni che riguardano le eventuali modifiche costituzionali dell'Unione, o, detto altrimenti, quelle decisioni che toccano direttamente alla sovranità degli stati-nazione.

Il Consiglio (dei ministri) diventerebbe a tutti gli effetti "il Senato degli stati membri"[5]. E, se pure si può concordare con Pascal Lamy quando lo definisce "una istanza westfaliana nella quale sono rappresentati gli interessi degli stati"[6], non è per questo condannato a rimanere una istituzione per definizione puramente diplomatica. Ci sono ampi margini per istituzionalizzarlo, per "parlamentarizzarlo", per favorire l'emergere al suo interno di logiche di trasmutazione degli interessi nazionali, per emarginare o meglio ancora superare i meccanismi di voto di scambio, per, insomma, "eliminarne l'essenza diplomatica", farne una reale interfaccia tra le istituzioni nazionali (governi e parlamenti) e le altre istituzioni europee.

Una riforma del genere non necessiterebbe né nuovi trasferimenti di competenze, né un vero e proprio sconvolgimento istituzionale. Al posto delle attuali formazioni specializzate, gli stati membri invierebbero al Consiglio cinque o sei ministri[7] che sarebbero a capo, nei loro governi rispettivi, di diversi ministri delegati[8]. I primi assumerebbero, da una parte, la responsabilità politica del loro grande ministero e, d'altra parte, parteciperebbero, in seno al Senato europeo, alla difesa della politica promossa dai loro governi e alla armonizzazione di questa con quelle difese dagli altri Stati Membri; i secondi assicurerebbero la gestione quotidiana del ministero di loro competenza.

In seno ai paesi-membri il cambiamento sarebbe relativamente modesto. Sancirebbe piuttosto una evoluzione in corso. Spesso, infatti, i governi sono già organizzati intorno a ministeri-chiave, affidati a dei super-ministri, a volte denominati vice-primi ministri o ministri di stato.

I veri cambiamenti sarebbero piuttosto di tipo organizzativo. Si tratterebbe di rendere compatibile l'agenda dei governi e dei parlamenti nazionali con quella del Senato europeo, dedicando, per esempio, la prima parte della settimana al lavoro governativo e la seconda al lavoro senatoriale. Al fine di creare una vera dinamica istituzionale (dibattiti, rapporti, emendamenti, ...), i senatori europei non potrebbero ricorrere ai buoni uffici di un supplente (salvo per cause di forza maggiore, quindi non professionali).

Questa trasformazione istituzionale consentirebbe inoltre di dare un inizio di risposta funzionale alla questione del coinvolgimento dei parlamenti nazionali nella vita politica europea. Degli scambi di vedute assidui durante tutto l'iter legislativo di un testo di direttiva europea tra il ministro-senatore europeo ed i membri della commissione competente del parlamento nazionale del suo Paese consentirebbero al primo di prendere in considerazione le posizioni dei parlamentari del proprio Paese e ai secondi di ben comprendere le posizioni difese dagli altri 27 Stati.

Ciò non escluderebbe, fin tanto che la parte essenziale della capacità di bilancio rimarrà dominio degli Stati Membri, di organizzare, come propone Alain Lamassoure, riunioni regolari tra delegazioni delle commissioni parlamentari nazionali, rappresentanti del Parlamento europeo e membri del Consiglio.

Se, come crediamo, l'opzione degli Europei non si limita esclusivamente a un "O optiamo risolutamente per un'Europa federale, gli Stati Uniti d'Europa, oppure ricadremo nelle derive nazionaliste"[9], non possiamo tuttavia accontentarci dallo status quo attuale. Se la Federazione degli stati-nazione, il bell'ossimoro di Jacques Delors, rimane un eccellente modo per comprendere la costruzione europea, questo oggetto istituzionale sui generis va però completato: una federazione di stati-nazione e di cittadini. La sua fonte di legittimità è doppia. Poggia, in effetti, sia sui cittadini europei sia sugli Stati Membri. Rafforzare, razionalizzare e democratizzare l'azione dei governi nel processo europeo di decisione è quindi fondamentale.


Note al testo:
[1] Comitato dei rappresentanti permanenti. Incaricato di preparare i lavori del Consiglio (dei ministri) e composto dagli ambasciatori degli stati membri presso l'UE.
[2] Luuk Van Middelaar, Le passage à l'Europe, nrf Editions Gallimard, 2012.
[3] Rapporto “Refaire l'Europe: Esquisse d'une politique”, Pierre de Boissieu, Tom de Bruijn, Antonio Vitorino, Stephen Wall, settembre 2013.
[4] Articolo 15 par.1 del Trattato sull'Unione europea.
[5] Pascal Lamy, L'Europe après la crise, Regards croisés sur l'économie, N. 11, giugno 2012.
[6] Pascal Lamy, op. cit.
[7] Per esempio: un ministro degli Affari Esterni, della Sicurezza e della Difesa "coprirebbe" i ministeri delle Relazioni esterne, della Difesa e della Cooperazione allo sviluppo ; un ministro degli Affari economici, sociali e monetari "coprirebbe" i ministeri delle Finanze, dell'Economia, degli Affari Sociali, del Bilancio ; un Ministro dell'Ambiente e dell'Energia "coprirebbe" i ministeri dell'Ambiente, dell’Agricoltura, dell’Energia e dei Trasporti ... e un ministro senza portafoglio sarebbe incaricato di seguire al livello europeo tutti gli altri dossier nella loro dimensione "europea".
[8] La terminologia può cambiare a secondo degli stati. Ministri delegati o segretari di stato in Francia, Sottosegretari in Italia, Segretario di stato in Germania o in Belgio, vice-ministro...
[9] Debout l'Europe! Daniel Cohn-Bendit, Guy Verhofstadt, Actes Sud, André Versaille Editeur, 2012, p. 60