Appena caduto come Primo Ministro, nel 2007, Tony Blair viene nominato “inviato del Quartetto (Onu, Usa, Russia, Ue) per il Medio Oriente” – un ruolo di mediazione nel conflitto israelo-palestinese all’interno di area sensibile, in cui sono nel frattempo cambiati i protagonisti e gli equilibri/squilibri geopolitici, scomparsi alcuni stati e mutati gli obiettivi “di pace”. All’epoca il nemico dell’occidente era il terrorismo quaedista – contro il quale Blair ha ingaggiato insieme agli Usa allora presieduti da George W. Bush due guerre, in Afganistan e Iraq – quella in Iraq conclusa con la deposizione del dittatore laico Saddam Hussein, accusato (in maniera non proprio fondata) di legami con l’organizzazione terroristica allora più minacciosa del globo.

blair netanyahu

Alla causa anti-radicalismo islamico, Tony Blair si dedica da allora anche da privato cittadino attraverso la Tony Blair Faith Foundation  – un’organizzazione finalizzata a promuovere il dialogo inter-religioso e la cultura della tolleranza. Sempre da privato cittadino esperto di politiche riformatrici, Tony Blair ha anche avviato un’attività di consulenza per multinazionali e governi. Attività riservata talora a entità politiche quali il Kazakhstan del non proprio progressista presidente  Nazarbayev. D’altronde è Caino che ha senso consigliare su come rendersi Abele: i lobbisti questo fanno di mestiere ed è un mestiere che può anche apparire sporco, ma che in realtà è a suo modo persino meritorio.

Pochi giorni fa, la società di consulenza di Tony Blair firma un contratto con il nuovo presidente egiziano, il golpista laico Addel Fattah el-Sisi. L’obiettivo della consulenza è fornire assistenza sulle riforme economiche all’interno di un progetto finanziato dagli Emirati Arabi Uniti. Fin qui tutto ok. El-Sisi è un ex militare cresciuto con Mubarak che ai tempi ci pareva un intollerabile dittatore. Una volta sperimentata l’alternativa islamica del fratello musulmano Morsi, tuttavia, è stato impossibile contenersi dall’invocare l’aridatece

L’Egitto in questo momento è un’oasi di laicità in un deserto di islamizzazione coatta dominato dal Califfato islamico di Isis – di cui, per dire, persino i quaedisti eccepiscono gli eccessi. Preoccupazione non solo loro, a quanto pare. L’Iran è il cattivo che vuole il nucleare per scopi bellici e gli obiettivi da colpire per lui si chiamano Israele e Occidente. L’Iran tuttavia è contro Isis, come lo è l’Occidente, dunque l’Iran su quel fronte è con noi. E la Siria? Anche la Siria di quel dittatore laico ma sanguinario di Assad è nostra nemica. Anch’essa tuttavia è considerabile nostra alleata contro i radicali islamici di Isis, sebbene intanto lanci razzi contro Israele via Hezbollah, il vicino di casa libanese dei nostri amici israeliani. Da che parte stare, allora?

Chi sono gli amici, chi i nemici in Medio Oriente è difficile capirlo, se ne converrà. Si converrà altresì come nella mutevolezza dei confini, dei regimi, delle alleanze, delle leadership, delle professioni di valore ecc. ecc., la comunità internazionale – intesa come Usa, Europa, Onu, Russia – non faccia in tempo a ritagliarsi una posizione ed emettere uno statement che le cose sul campo sono già cambiate rendendo quella (tiepida) posizione e quello statement (tardivo) sostanzialmente obsoleti.

In tutto questo caos, scoppia la bomba Israele-Hamas, o meglio Israele-Palestina essendo ormai Hamas organizzazione politica di governo legittima, sebbene di natura terroristica, alleata e partner del Fatah del Presidente “legale” Abbas. Israele sceglie la linea dura – e si isola come sovente capita a Israele di fronte alla difficoltà, anche razionale, di considerare accettabile una strage di civili come danno collaterale di un’azione di difesa, quella sì, legittima, dagli attacchi spontanei, continuativi, illegali di Hamas su obiettivi parimenti civili di Israele.

A Gaza tuttavia è strage e la strage ripugna. Fermiamola, dunque. Ok, ma chi media? Non gli Usa – che non riconoscono Hamas, ricambiati nella scortesia. Non la Ue, mai pervenuta e non certo a causa della poltrona vacante di Alto Rappresentante della Politica Estera – non avendola in realtà la Ue una Politica Estera. L’Egitto, dunque. El Sisi – si diceva – è l’unico laico dell’area, il nemico più nemico di tutti gli islamismi, Fratelli musulmani compresi. Ed è questo che ne fa se non proprio il miglior amico quanto meno un potenziale partner di Israele – l’unico, francamente.

È proprio all’Egitto infatti che si deve già nei primissimi giorni dell’offensiva Hamas-Israele un’iniziativa di mediazione portata avanti dal Presidente Sisi proprio grazie ai saggi offici del neo-consulente Blair. Avendo tuttavia Israele inasprito gli attacchi ed aperto il fronte terrestre, per l’Egitto è diventato impossibile mantenersi mediatore equidistante senza alienarsi del tutto le simpatie dei non amatissimi, ma pur sempre vicini, fratelli palestinesi. Ecco allora la carta Tony Blair, non più in veste di consulente del Presidente egiziano ma in quello di inviato del Quartetto – funzione sostanzialmente irrilevante in questi 7 anni, e che tuttavia torna utile proprio per la natura istituzionale-formale di cui permette di ammantarsi.

Mentre a Vienna, su iniziativa del Ministro degli Esteri inglese William Hague, connazionale di Blair, si riunivano Usa, Germania, Francia e appunto Uk per discutere della crisi mediorientale, Tony Blair rilasciava dichiarazioni ufficiali perfettamente sovrapponibili a quelle inizialmente sostenute, ma non più pubblicamente dicibili, dal suo cliente egiziano. Consta quanto Blair dice in quella circostanza in quanto ‘lobbista’ di Sisi o inviato del Quartetto? Forse in realtà non c’è alcuna distinzione tra i ruoli perché non c’è più un ruolo pubblico della mediazione ma solo appunto un ruolo privato, legittimo, a suo modo trasparente, che si chiama non più diplomazia, ma lobbying.

La destatalizzazione mediorientale in fondo ha anche questo corollario peculiare: ha reso possibile, probabilmente addirittura necessario, privatizzare la mediazione, il dialogo tra poteri governanti che appunto, dall’Iraq alla Siria e alla stessa Palestina, non coincidono più con l’autorità statuale ufficiale e presunta legittima, ma con entità spontanee e appunto private.

@kuliscioff