Tra Valls e Hollande un rapporto complicato e inedito nella storia della V Repubblica, che segnerà i destini della sinistra francese e potrebbe aprire al nuovo primo ministro la strada per la candidatura all'Eliseo. Anche in Francia una sinistra alle corde si affida a una figura culturalmente eccentrica.

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François Hollande ha ripreso la tradizione dei Presidenti francesi di rottamare il primo ministro, interrotta da Nicolas Sarkozy, unico Presidente della V Repubblica ad essere stato accompagnato lungo tutto il suo mandato dallo stesso capo dell'esecutivo, nel caso specifico François Fillon. Tuttavia, invitando alle dimissioni Jean-Marc Ayrault (la Costituzione non attribuisce al capo dello Stato alcun potere di revoca del primo ministro, trattandosi di un potere di fatto, una pratica instaurata da de Gaulle e seguita dai suoi successori), e nominando proprio Manuel Valls, Hollande ha compiuto un atto che si discosta significativamente dalle tradizionali sostituzioni a Matignon durante il mandato presidenziale e che per questo potrebbe avere conseguenze rilevanti e interessanti.

Manuel Valls, 51 anni, Ministro degli Interni nel governo Ayrault, non è un personaggio qualunque. In Italia, ma anche oltralpe, è stato paragonato a Matteo Renzi, perché rappresentante di una sinistra che vuole liberarsi di tanti gravami del passato, di orientamento liberale, popolare anche al di fuori del proprio partito, anzi, forse più al di fuori che tra i recinti del Ps, dove, in occasione delle primarie per le elezioni presidenziali del 2012, raccolse solo il 5% dei consensi. Ma la sua figura, in realtà, richiama un altro leader politico – e in Francia non pochi lo hanno notato – ovvero quel Nicolas Sarkozy che sbaragliò l'ala chiracchiana del partito e giunse così prima alla candidatura del suo partito, l'Ump, e poi all'Eliseo. Valls non ha ancora sbaragliato i maggiorenti del suo partito, ma le premesse ci potrebbero essere tutte. Politico di lungo corso, nel partito e nelle istituzioni, ottimo comunicatore, ha utilizzato la sua permanenza a Place Beauvau (Ministero degli Interni) come già fece prima di lui Sarkozy, assumendo posizioni piuttosto dure sui temi della sicurezza e dell'immigrazione e non lasciandosi sfuggire occasione per influenzare l'agenda politica e mediatica con presenze sul campo, frasi choc, azioni risolute (come lo sgombero di campi Rom abusivi).

Valls è molto popolare, si diceva. Mentre Hollande si conferma il più impopolare dei Presidenti della V Repubblica, da più di un anno e mezzo Valls è il più popolare tra i leader politici francesi (superato nell'aprile di quest'anno, rispettivamente di due e quattro punti solo da Ségolène Royal e Christine Lagarde, dati Ipsos). Una recente indagine Ifop (1 aprile 2014) rileva che il 61% dei francesi approva la sua nomina a Primo ministro. L'opinione è più favorevole tra i socialisti (77%); il 23% di disapprovazione ci dice che la sua ispirazione liberale, di politico che vorrebbe ormai rottamare pure il termine socialista, ancora suscita qualche diffidenza nell'area socialista, per non parlare della sinistra-sinistra, favorevole alla sua nomina solo nella misura del 42% presso il Front de Gauche e del 53% presso gli ecologisti. Tuttavia, quei tre quarti di consenso tra i simpatizzanti socialisti per una figura sonoramente sconfitta alle primarie, e tutto sommato anche le percentuali importanti di elettori collocati ben più a sinistra, segnalano – e qui il parallelo con il caso italiano ritorna – che in quel mondo la delusione per una sinistra piuttosto balbettante nel suo ruolo di governo sta portando acqua al mulino di una figura culturalmente eccentrica rispetto al mondo tradizionale socialista e di sinistra. Non meraviglia, infine, la percentuale sopra media dei simpatizzanti dell'Ump (63%): Valls si colloca in prossimità del centro politico e la sua immagine decisionista e volutamente non buonista non può che avere un'accoglienza se non altro benevola in quel settore dell'opinione pubblica.

È per tutti questi motivi, per la forza della figura di Valls, tra l'altro da tempo tra i protagonisti dello storytelling della politica francese, del racconto anche privato dei suoi leader, che la scelta di Hollande segnala uno scostamento dalla tradizione. I Presidenti della V Repubblica, quando si sono trovati a nominare un primo ministro, ed in particolare un secondo (o terzo) primo ministro, della propria parte politica (il discorso, ovviamente, cambia nei casi di coabitazione), solitamente hanno evitato di scegliere personalità politicamente forti, con un importante consenso nel paese, rimarcando – in questo modo – la derivazione presidenziale dell'esecutivo e il predominio del presidente su di esso. Hollande non se lo è potuto permettere. Se, come molti suoi predecessori, per segnare il cambio di passo ha sacrificato il proprio primo ministro, utilizzato come in passato come fusibile, data la grave situazione di crisi e il suo crollo di popolarità senza precedenti (nella precocità e nella misura) rispetto alle sei presidenze passate, per tentare di risollevare le sorti di quello che dovrebbe essere il suo governo, ha dovuto chiamare qualcuno che progressivamente potrebbe far percepire all'opinione pubblica che l'impronta che conta sull'esecutivo è, in realtà, la sua.

La storia della V Repubblica, che è stata anche una storia di tensioni tra presidente e primo ministro, spesso in coabitazione, ma talvolta anche quando le maggioranze presidenziale e parlamentare erano coerenti, ci dice che difficilmente la probabile competizione che si produrrà tra Hollande e Valls porterà a mettere in discussione la centralità del ruolo presidenziale, quasi sacro agli occhi dei francesi – pur nelle mutazioni che ha conosciuto. E in fondo sacro anche agli occhi di chi nella contingenza si potrebbe trovare a contestarlo, perché in fondo è sempre quello il ruolo al quale si ambisce. E nessuno dubita che ad esso Manuel Valls ambisca.

Nel suo discorso dell'8 febbraio, davanti all'Assemblea nazionale, Valls nel suo stile ha assunto, come è stato osservato, il ruolo di un capo. Non ha dimenticato di richiamare il Presidente della Repubblica, dieci volte in 47 minuti, ma ha utilizzato il pronome Je, "io", settanta volte. E ha dedicato gran parte del suo intervento all'illustrazione di un ampio e dettagliato programma di riforme (parlando esplicitamente di cambiamento). Ma, soprattutto, si è rivolto alla Francia e ai francesi (in totale richiamati più di cinquanta volte), alle loro sofferenze, alle sofferenze di ogni categoria (dall'operaio al piccolo imprenditore), ai loro visi contriti, alle loro labbra serrate, con il nodo alla gola. Alla loro delusione, alla loro collera, alla loro paura per il futuro. Un discorso rivolto ai deputati, ma anche al popolo francese, con un linguaggio diretto e non privo di accenti emotivi. Con una retorica che richiamava in alcuni punti alcuni contenuti dell'ultimo presidente gollista: la necessità di dire la "verità", l'avversione per una politica avvertita come "impotente". Dunque, il discorso di qualcuno che non sembra avere l'intenzione di fare il "collaboratore" (come Sarkozy definì François Fillon).

Ciò che di nuovo questa situazione molto probabilmente porterà è, quindi, la messa in scena di una competizione, pur contenuta in virtù del ruolo ricoperto dai due competitori, per la candidatura alle presidenziali del 2017, tra i "teatri" dell'Eliseo e di Matignon. E una competizione che, data la debolezza del Presidente, potrebbe durare per i prossimi tre anni del mandato presidenziale. Hollande, rebus sic stantibus, non appare in grado di allontanare un primo ministro chiamato proprio per invertire la tendenza e così popolare. E' difficile immaginare che possa comportarsi come Giscard d'Estaing con Jaques Chirac nell'estate del 1976, quando il primo Presidente liberale allontanò il leader gollista, già allora impegnato nella costruzione di quella che si sarebbe rivelata la sua lunga strada per l'Eliseo.

Assisteremo dunque, con probabilità, a un duello dalle forme inedite, un duello tra leader dello stesso partito che recitano però da palcoscenici istituzionali. Qualcosa che richiama quanto accadde tra Sarkozy e Chirac, se non fosse che il primo era solo un ministro e il secondo di fatto non competeva per succedere a sé stesso. Un duello del quale è già molto probabile prevedere il vincitore. Mai un primo ministro uscente è direttamente transitato alla candidatura ufficiale della sua parte politica per le presidenziali. Poiché i socialisti francesi, tra i loro tanti difetti, non hanno quello di portare le loro divisioni interne sino alle estreme conseguenze (a differenza dei gollisti, che in più occasioni sono arrivati divisi all'appuntamento presidenziale), non è poi così difficile immaginare Valls sfidare la destra tra tre anni.

E, dunque, l'evento inedito potrebbe portare con sé (sempre che Valls riesca davvero a mantenere un proprio profilo e non si faccia travolgere dal discredito del suo Presidente) il definitivo passaggio di una sinistra che - nonostante Mitterrand, nonostante le istituzioni della V Repubblica, nonostante la fine della nefasta prevalenza comunista nel '78 – ancora si dibatte tra modernizzazione e richiami della foresta, a quella necessaria innovazione radicale richiesta dalle società post-moderne. Una Terza via alla francese.