C’è una distanza siderale tra la retorica estremista dei partiti sull’immigrazione – soprattutto Lega Nord e M5S – e i programmi scritti sui loro documenti ufficiali, tutto sommato moderati. Alla radice di questa contraddizione c’è una verità poco ripetuta, ma abbastanza elementare: l’immigrazione non è uno dei grandi problemi del nostro Paese.

De Luca

Quando lo scorso aprile il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha detto che le ONG erano in combutta con i trafficanti di esseri umani, la prima forza politica a offrirgli una sponda è stata il Movimento 5 Stelle. In un’intervista al programma Agorà, Zuccaro disse che alcune ONG avevano l’obiettivo di «destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi». Negli stessi giorni, Luigi Di Maio spiegò che le ONG altro non erano che “taxi del mare” e chiese ai giornalisti che lo stavano intervistando: «Chi paga le ONG? Chi c’è dietro?».

Molti hanno considerato le parole di Di Maio uno storico riposizionamento del Movimento 5 Stelle: il partito che chiedeva di dialogare con l’ISIS e che votava contro il reato di immigrazione clandestina improvvisamente aveva assunto posizioni sovrapponibili a quelle della Lega Nord. In realtà la linea sull’immigrazione del Movimento 5 Stelle resta ancora oggi molto confusa.

Di Maio ha attaccato le ONG in un momento in cui sembravano politicamente deboli e un bersaglio facile per chiunque. Ma i documenti ufficiali del partito, come ha notato Bruno Venditto proprio su «Strade», mostrano un programma tutt’altro che estremo. Il Movimento 5 Stelle propone di introdurre migliori vie d’accesso legali al nostro Paese e di rafforzare le espulsioni, ma anche di aumentare la cooperazione internazionale e di introdurre dei ricollocamenti a livello europeo più efficaci.

Questa schizofrenia, tra una retorica spesso razzista e programmi politici tutto sommato moderati, è una malattia che affligge tutte le forze politiche del nostro Paese. Persino la Lega Nord, nei pochi documenti ufficiali sull’immigrazione che ha prodotto, è più simile a un moderato partito conservatore che al paranoide movimento razzista spesso rappresentato dai suoi leader.

Alla radice di questa contraddizione c’è una verità poco ripetuta, ma abbastanza elementare: l’immigrazione non è uno dei grandi problemi del nostro Paese. Non si spiega altrimenti perché nessuno dei grandi partiti abbia formulato un programma credibile su questo tema. Se davvero qualcuno ritiene che sia in atto una sostituzione etnica degli italiani sovvenzionata da grandi gruppi finanziari, allora dovrebbe proporre di sbarrare gli ingressi in maniera feroce, di combattere questi gruppi con iniziative eclatanti, di rendere gli incentivi alla natalità la pietra angolare della sua azione politica.

Nulla di tutto ciò si trova nei programmi di Movimento 5 Stelle, Lega Nord, Forza Italia e nemmeno in quelli del Partito Democratico. Questo perché anche gli stessi leader di queste formazioni sanno che, tutto considerato, l’immigrazione non è l’evento cataclismatico che spesso si sente descrivere. Certo: abbiamo un problema di sbarchi di clandestini che creano complesse questioni logistiche da risolvere e che comportano una spesa aggiuntiva di denaro pubblico importante, ma comunque non particolarmente pesante per il bilancio dello Stato (circa 4 miliardi su 800 di spesa pubblica). Ma le “emergenze” che di solito vengono associate all’immigrazione non hanno nulla a che fare con i recenti sbarchi.

Ad esempio non c’è un problema di sicurezza causato dagli immigrati. Anzi, mentre gli arrivi di immigrati crescono i reati non fanno che calare. A notte fonda la stazione di Milano e quella di Roma sono pericolose oggi come lo erano 15 anni fa, e probabilmente lo erano ancora di più tra gli anni Settanta e Ottanta, quando il numero di reati raggiunse l’apice dal dopoguerra. È vero che in proporzione gli immigrati commettono più reati degli italiani, ma viene da chiedersi se non sia per un semplice fatto che spesso si accompagna al loro essere immigrati: e cioè che sono poveri.

L’immigrazione non è nemmeno un problema economico. Gli immigrati che “rubano il lavoro” non sono certo quelli sbarcati a Lampedusa negli ultimi anni, che spesso un lavoro non ce l’hanno e quando lo trovano è di solito a bassa retribuzione nell’agricoltura intensiva del Mezzogiorno. Se vogliamo andare alla ricerca di un significativo effetto economico dell’immigrazione dovremmo probabilmente tornare alla metà degli anni duemila, con l’apertura a est dell’Unione Europea che portò in Italia circa un milione di cittadini dei paesi dell'ex blocco comunista che avevano spesso abilità e competenze che li hanno messi in concorrenza con lavoratori e artigiani italiani. Si tratta di un’ondata, però, di cui raramente si parla e che, in ogni caso, sembra entrata nella sua fase di riflusso.

Il punto è che il nostro Paese ha davvero problemi di sicurezza, sia percepita sia reale, almeno nelle periferie delle grandi città; ha davvero problemi di disoccupazione e di sottoccupazione. Ma sono problemi che richiedono soluzioni complicate e che la politica deve spiegare con una narrazione coerente e soluzioni concrete. La storia degli ultimi anni, però, ci ha dimostrato che tutti i principali partiti, dopo 25 anni di assedio fisico e culturale, non hanno più le forze per formulare questo tipo di narrazioni.

L’immigrazione è diventata così la parola magica con cui una classe politica divenuta ormai afona risponde a qualsiasi emergenza. La sicurezza? Colpa degli immigrati. Lo stato sociale non arriva alle famiglie che ne hanno bisogno? Colpa degli immigrati. Ci sono disoccupazione e sottoccupazione? La colpa è sempre degli immigrati. Persino il Partito Democratico è caduto in questa trappola. Ha supinamente accettato la narrazione dei suoi avversari secondo cui l’immigrazione sarebbe un’emergenza epocale. Il ministro dell’Interno Marco Minniti è arrivato al punto di dire che la “tenuta democratica” del Paese è a rischio a causa di questa crisi.

Eppure ci sarebbero proposte politiche più serie e mature da proporre. Di fronte alle divisioni e alle insicurezze, la sinistra ha sempre avuto a disposizione la narrazione di una società più equa e inclusiva, in cui lo Stato svolge il ruolo di grande equalizzatore. Nel Regno Unito il leader Laburista Jeremy Corbyn ha ottenuto una delle più storiche rimonte degli ultimi anni sostenendo che non esiste un limite all’immigrazione, ma offrendo al contempo la visione di una società unita e solidale, attenta alle necessità delle sue parti più deboli.

La destra ha altrettanti strumenti a sua disposizione, soprattutto in un Paese come l’Italia. Ma piuttosto che parlare di liberalizzazioni, di attacco alle rendite di posizione e ai monopoli, di serie proposte per migliorare giustizia e sicurezza, fino a ora ha preferito parlare di invasione e di sostituzione etnica.

Quando negli anni Venti l’estrema destra proponeva come soluzione ai mali delle democrazie occidentali la caccia agli ebrei, Lenin disse che l’antisemitismo era il socialismo degli imbecilli. Nell’Italia di oggi, il razzismo nei confronti degli immigrati è il socialismo – e il liberismo – degli imbecilli.

@DM_Deluca