Hannah Arendt nel raccontare il processo a Adolf Eichmann spiegò, scandalizzando l'opinione pubblica mondiale e anche quella ebraica, che il male assoluto di Auschwitz doveva la sua implacabile efficienza non alla forza diabolica, ma alla diligenza mediocre dei carnefici, che facevano funzionare l'apparato della Shoah aderendovi perfettamente, senza resistenze (anzi - peggio - senza pensieri), come un ingranaggio agli altri ingranaggi della macchina. Gli addetti alla produzione e alla contabilità dello sterminio sapevano perfettamente quel che facevano, ma non comprendevano il senso umano, cioè mostruosamente disumano, del loro "lavoro".

Si sentivano responsabili verso i superiori, cui erano tenuti a obbedire, non verso gli inferiori, che erano tenuti a smaltire come rifiuti. Cooperando scrupolosamente ai mezzi senza porsi domande sulla natura e sugli effetti della cosiddetta soluzione finale, i burocrati della Shoah - dice Hannah Arendt - smentivano anche la tradizionale teoria della colpa come responsabilità per un male "voluto" e non come obbedienza impersonale e meccanica a una regola, per così dire, oggettiva. Così, in Eichmann il male smetteva di mostrare il proprio volto profondo e radicale, per presentare quello della banalità, dello zelo superficiale. Nell'umanità riprogrammata del Terzo Reich l'incapacità di pensare il male privava gli uomini della possibilità di riconoscerlo e di provarne orrore.

L'immagine dell'ingresso del campo di Auschwitz - che ieri Grillo ha ritoccato e profanato per tenere calda la sua piazza elettorale - racconta, insieme alla storia delle indicibili sofferenze del popolo ebraico, anche la vergogna di un'umanità sfigurata da quella esperienza e tenuta a serbare il senso di quella caduta. La banalizzazione dell'Olocausto e la sua trasformazione in un repertorio di metafore per le polemicuzze della campagna elettorale, non è solo un'offesa alla memoria dei morti, ma un attentato all'intelligenza dei vivi, perché relativizza il senso di quel fenomeno assoluto della storia umana e del suo sempre incombente pericolo. Anche mantenere il senso delle proporzioni, cioè dell'assoluta sproporzione tra il "male di Auschwitz" e quello di una democrazia imperfetta, appartiene ai doveri della memoria. A banalizzarlo, infatti, il senso terribile di quel "male banale" si perde sino a dissolversi.

Grillo, che i consigli del suocero avevano reso particolarmente comprensivo verso il regime iraniano e diffidente verso le lobby ebraiche dell'informazione, non è il custode più credibile di questo impegno. Non gli stanno simpatici gli ebrei, non gli importa nulla della storia che ha preceduto e seguirà la sua fenomenale prestidigitazione degli umori del Paese; per lui, alla fine, accostare Eichmann a Dell'Utri o a Napolitano è perfettamente normale e perfino giustificato. Tocca augurarsi, con qualche fiducia, ma anche con qualche timore, che tra quei due italiani su dieci che si accingerebbero a votare per lui alle elezioni europee, questo episodio abbia fatto suonare un campanello d'allarme.

@carmelopalma