C’è una forte inquietudine in Europa rispetto all'ondata di atroci attacchi terroristici che hanno colpito al cuore la società civile del Vecchio Continente. Invece di demonizzare gli stati arabi, sarebbe il momento di imparare da alcune delle loro esperienze. L'approccio del Bahrain, ad esempio, è stato unico, avendo separato religione e Stato in una regione in cui tendono ad essere inestricabilmente uniti. C’è molto da imparare dall'esperienza del piccolo regno-arcipelago.

Belfer Bahrain

I gruppi estremisti islamici - come ISIS o Hezbollah, rappresentativi comunque di sette diverse - condividono l'obiettivo di stabilire un sistema di governo teocratico basato sulle letture distorte dei testi religiosi. Essi infliggono sofferenze alla popolazione civile come strumento di azione politica e compiono in modo disinvolto omicidi, terrorismo e distruzione di patrimonio artistico e culturale, per quanto importante dal punto di vista storico possa essere. E spesso trovano un sostegno dall'estero.

Hezbollah è pubblicamente e spudoratamente sostenuto dall'Iran, che utilizza il gruppo per generare instabilità in Medio Oriente e, a volte, in Europa. Hezbollah beneficia anche dell'assurda distinzione tra la sua ala politica e quella militare, tanto che molti governi europei hanno bandito solamente quest'ultima, consentendo ad Hezbollah di mantenere i canali di finanziamento aperti.

L'ISIS, invece, non è appoggiato da alcuno stato arabo. Si basa su una serie di donatori, organizzazioni criminali, tribù (in particolare nella provincia di Anbar in Iraq) e sulla continua sete di petrolio illegale (dunque a basso costo).

ISIS offre un califfato e Hezbollah un Imam-ato. L'ISIS può essere in guerra in e con l'Europa, ma Hezbollah lo è allo stesso modo, sebbene la sua guerra si dispieghi in genere contro gli interessi europei in Medio Oriente e non sulle strade parigine. Tuttavia, è un errore pericoloso trattare le due entità - e le loro organizzazioni alleate - in modo diverso.

Per tutti coloro che hanno interesse alla stabilità, è il momento di affrontare la violenza religiosa e il terrorismo come un unico problema anziché attraverso calcoli geopolitici. Le milizie sciite, sostenute dagli iraniani, non sono molto diverse dai gruppi sunniti radicalizzati.

Lo schierarsi in modo irrazionale ha prodotto l’attuale situazione in Iraq, dove la presa del controllo delle forze armate nazionali da parte dell'esercito del Mahdi di Al Sadr ha, in ultima analisi, legittimato gli ayatollah sciiti radicali, che poi hanno utilizzato il potere militare del paese come un club... per infliggere "giustizia" settaria - omicidi, stupri e pulizia etnica - contro la popolazione sunnita. Gli Stati Uniti e l'Europa sono stati ingannati e hanno appoggiato i militanti sciiti iracheni vestiti con le uniformi dell'esercito nazionale, epurato degli ufficiali sunniti, e utilizzati come un altro fronte nella guerra civile latente del paese.

Assediata, abbandonata e amareggiata, la popolazione sunnita irachena è diventata estremamente ricettiva alla promessa di sicurezza dell'allora Stato Islamico dell'Iraq (ISIS), anche se questo l’ha condotta sotto il giogo di una organizzazione islamista radicalizzata. Quando l'ISIS ha rivelato le sue vere intenzioni, era ormai troppo tardi. Le persone che potevano scappare lo hanno fatto e gli altri si sono dovuti radicalizzare o, almeno, far finta. La radicalizzazione della religione è divenuta l’ideologia degli “staterelli” che sono poi stati “cuciti” insieme come Califfato dell'ISIS.

Poi vennero gli stranieri – soggetti imbevuti di ideologia, intenzionati a prendere parte al nuovo Stato Islamico sulla promessa di un bottino di guerra in questa e nella prossima vita. Questo ha comportato un'importazione (e di conseguenza un'esportazione) della radicalizzazione da e verso l'Europa. La comunità internazionale ha indugiato e gli estremisti hanno proliferato. La pressione è montata e il terrorismo ha raggiunto il suo apice.

Per evitare il ripetersi di quello che è accaduto in Iraq, è necessaria una vera e propria strategia politica di lotta al terrorismo attraverso l'isolamento politico delle sue fonti d’ispirazione, di finanziamento e di legittimità religiosa - un giro di vite contro l'estremismo in Medio Oriente e il suo potenziale attrattivo in Europa. Ma fare questo significa anteporre i veri interessi europei alla “politica politicante”.

E gli interessi europei stanno nel frattempo cambiando. Da un focus sugli impegni economici, l'Europa è sempre più interessata a sviluppi politici nel tentativo di comprendere e guidare le tendenze regionali e trans-regionali. Ma non può farlo da sola. Ha bisogno di alleati nella regione, alleati che parlino l'arabo, capiscano le sfumature della cultura islamica e che possano dare un senso al gergo della strada. L'Europa ha bisogno di ancore di stabilità, al fine di combattere efficacemente il terrorismo e le sue fonti di energia. Invece ha purtroppo finito per alienare alcuni dei suoi più stretti alleati arabi, come il Bahrain, proprio per aver fatto ciò che andava fatto al fine di vincere la guerra al terrorismo.

Trentasette anni di lotta contro una Repubblica Islamica radicalizzata, l'Iran, hanno insegnato al Bahrain molte cose sui suoi avversari, sui suoi amici e su se stesso.

Nel periodo della sua nascita, la Rivoluzione Islamica dell'Iran ha iniziato una campagna di sovversione, terrorismo e ribellione in tutto il Medio Oriente - concentrandosi su pochi punti strategici, come appunto il Bahrain. Alcuni leader, come il Primo Ministro del Bahrain, il Principe Khalifa Al Khalifa, hanno messo in guardia circa le intenzioni iraniane almeno dal 1978, da quando è iniziata la rivoluzione. Era tutto scritto a chiare lettere, tuttavia pochi si sono resi conto fino a che punto l'Iran si sia spinto o quanto radicale il suo regime sia stato.

La prima lezione del Bahrain è stata che, nella guerra al terrorismo, tutto era possibile. Non c'erano limiti a quello che l’Iran avrebbe potuto fare per minare la coesione nazionale e la stabilità del Bahrain. La Repubblica Islamica ha incitato alla violenza via radio e inviato cellule esperte di Hezbollah per formare gruppi terroristici locali (allora Fronte islamico per la Liberazione del Bahrain, IFLB). Ha creato una milizia civile insurrezionalista, la Sacra Difesa del Bahrain, e un’organizzazione politica per agire come intermediario con il Dawa Islamico (bandito e poi rinominato come al Wefaq). La Guida Suprema, l'Ayatollah Khamenei, ha nominato membri del Majlis (il proprio Parlamento) come rappresentanti del Bahrain e attraverso di loro ha cominciato a finanziare movimenti di opposizione anti-Bahrain in Europa. Ha condotto attacchi terroristici contro il governo e la società del Bahrain.

Con un avversario senza regole, insieme a uno squilibrio di potere intimidatorio - 550 mila cittadini del Bahrain corrispondevano a meno dell'1% della popolazione iraniana, che era di 87 milioni - il Bahrain ha appreso che l'alleanza non era un lusso ma una necessità. E così il piccolo arcipelago ha incoraggiato la formazione del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC) per la condivisione di intelligence, forze militari e risorse economiche, dietro interessi collettivi e di sicurezza. Gli altri membri fondatori si sono trovati d’accordo e nel 1981 l'Organizzazione è stata istituita, all’ombra della rivoluzione iraniana. Il GCC non è privo di problemi, ma essi sono insignificanti rispetto alla sicurezza collettiva che offre ai suoi membri, sottolineata da numerosi Paesi quali gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Francia.

Ma le alleanze possono solo aiutare a vincere la guerra materiale contro il terrorismo, sia con la dissuasione, sia sostenendo azioni di polizia e operazioni di intelligence. Non possono cambiare la natura di una società in modo tale da minare la legittimità di chi predica idee radicali e azioni terroristiche.

Ci è voluto un po' di tempo, ma il Bahrain, nel maggio 2016, ha fatto la storia, sviluppando l'approccio più completo per affrontare il terrorismo e che non ha nulla a che fare con arresti, prigioni o addirittura riabilitazioni.

Il Bahrain è invece diventato il primo paese arabo a separare ufficialmente Moschea e Stato. Nel far questo, ha inferto un colpo fatale alla radicalizzazione, contro la potenzialità di ISIS e contro le milizie sciite terroristiche, contro tutti: Hezbollah, la Gioventù del 14 febbraio e la Sacra Difesa del Bahrain.

E le personalità politiche che hanno fornito loro supporto spirituale e finanziario, come l’Ayatollah Isa Qassim e Ali Salman, stanno sperimentando cosa significhi il secolarismo. Le loro organizzazioni, come la società al Wefaq, settaria per natura, sono state sciolte, i beni congelati e i capi arrestati. Ad Isa Qassim è stata revocata la cittadinanza. I leader spirituali, la cui retorica è stata sempre sospettata di spingere alla radicalizzazione, avranno quindi la facoltà di predicare solo in nome della religione e non più in nome della politica.

Il Bahrain ha scelto dunque di non essere uno stato sempre più settario, ma la sua antitesi.

Si fa fatica a capirlo, ma il Bahrain ha attraversato quello che la Francia e il Belgio, la Germania e il Regno Unito stanno vivendo oggi. La radicalizzazione deve essere affrontata materialmente e ideologicamente. Servono cautela e vigilanza, la polizia deve effettuare degli arresti ed è tempo per l'Europa di essere più proattiva nel contrastare coloro che tentano di commettere omicidi di massa e quelli che li ispirano. E, cosa più importante, è il momento di smettere di sostenere le organizzazioni radicali solo perché i loro interessi di breve periodo sono allineati ai “nostri”. L’unico antidoto al radicalismo, all’instabilità e ai rischi per la nostra sicurezza è la secolarizzazione ed essa va sostenuta, laddove si prova a farle mettere “radici”.

*Traduzione dall’inglese a cura della redazione di Strade