Della Vedova Uemani

Chissà perché, il tema chiave che sta alla base del diniego di Mattarella sul nome di Paolo Savona, quello rispetto a cui stanno emergendo due polarità forti, radicali come mondi opposti e inconciliabili, resta fuori dal dibattito che pure da esso si origina.

L’Europa, insomma, innesca la crisi, ma la crisi si combatte su altri fronti: il dibattito sul senso della democrazia, ad esempio, e quello sul tenore formale e sostanziale della Carta. Sono cose importanti, sicuro, ma non meno della collocazione comunitaria del nostro paese, almeno in questo preciso contesto storico ed economico.

Quando Mattarella dice di no, insieme a un nome, a un piano preciso e ancor più pericoloso, noi siamo con lui. Però non ci basta, o non ci basta più. Vorremmo che la battaglia fosse a viso aperto, almeno a questo punto. E intera, vera. E vorremmo che a combatterla non fosse il Presidente della Repubblica come garante costituzionale, ma la politica: quella politica che spesso si autodefinisce responsabile e che però negli ultimi mesi ha totalmente abdicato al proprio ruolo e alle relative responsabilità.

È la politica che un anno fa, da posizioni di governo, definiva il Fiscal Compact “una delle peggiori idee partorite dall’Unione europea”, e che dovevamo “impegnaci per far sì che scompaia dagli orizzonti europei”. Era il marzo 2017, cominciava lo sciagurato periodo in cui anche nel Pd si faceva strada una certa febbre antiunionista, il tempo in cui - complice qualche stratega scarso - si faceva largo la scelta di flirtare con la rabbia di un popolo già sedotto da Grillo e Salvini. Forse qualcuno pensava di edulcorarla con dei contenuti più solidi, con dei toni più civili, ma fatto sta che quando svegli la bestia poi è difficile riaddormentarla. E così è stato.

Vorremmo poter credere che sia finita lì, ma non è così; e oltre alle sberle del 4 marzo c’è oggi la concreta dimostrazione che alle cose tremende che Lega e 5Stelle hanno detto sull’Unione Europea, qualcuno vuole far seguire i fatti. E pure giustamente, dal suo punto di vista. Il che, non sfugga, può (anzi, deve) tranquillamente essere visto come un atto di coerenza. E questo se possibile è peggio, perché è proprio la coerenza che è mancata ad autorevoli leader autoproclamati responsabili: che oggi plaudono a Mattarella, ma ieri indugiavano nell’ambiguità di “un’altra Europa”, senza spiegare cosa e come dovesse essere. La verità è che forse neppure lo sapevano.

Perché ricordiamo queste cose? Perché le avevamo dette. Ed è giusto ribadirle adesso che la situazione è di gran lunga più grave, e che prossimi al baratro del disastro cerchiamo una via di fuga, l’ipotesi del ribaltamento di un quadro che all’apparenza non ci lascia scampo. Ma a niente si potrà dar rimedio se non rimedieremo prima a uno strutturale limite di coraggio. Il coraggio di affrontare i temi per quello che sono, di non giocarci, di non fare melina per non dover dire la verità a milioni di italiani incazzati: e cioè che sono incazzati per il motivo sbagliato, che confondono la malattia con la cura, e che non sarà più assecondata la vulgata comune sull’Europa matrigna alla quale anche i "responsabili" hanno irresponsabilmente contribuito.

Vogliamo sentire chiara la denuncia del pericolo, chiara l’intenzione di resistervi, fermo il ringraziamento al Presidente della Repubblica ma al tempo stesso fermo l’impegno a surrogarlo nella difesa di un presidio di stabilità sociale e di concreta, profonda, autentica democrazia. Una difesa che certo non può essere soltanto istituzionale, ma che deve tornare ad avere i caratteri nobili di un sentimento politico. Se serve anche un ancoraggio ideologico, perché il sogno europeo resta probabilmente l’unica ideologica degna di un Novecento controverso e doloroso.

Dunque parliamone, più di quanto si stia facendo. Non confondiamo temi, pur importanti. La democrazia e la Costituzione sono l’essenza e la guida della nostra comunità, ma i veri confini del nostro progresso, del nostro benessere e della nostra sicurezza sono senza dubbio quelli europei.

Parliamone, facciamolo con chiarezza, riprendiamo la strada. Sarà lunga e faticosa ma è l’unica che può portarci da qualche parte. Partendo da questo principio che è anche un dato di realtà: non c’è niente di meno “protettivo”, nei labirinti del mondo globale, che l’illusione del ritorno allo stato nazionale, oggi strutturalmente impotente ad affrontare fenomeni che tutti, nel bene e nel male, scavallano le frontiere geografiche e politicamente finte degli stati otto o novecenteschi.

@gabri_molinari