grillo piazza

Il Movimento Cinque Stelle ha tre principali matrici ideologiche. Sebbene tutte e tre siano ancora presenti come tratti del Movimento, esse si sono succedute in senso cronologico e la prima ha via via perso d'importanza rispetto alle altre.

 

Internet

La prima matrice ideologica è la sub-cultura di internet. Già dagli anni 1990, Grillo aveva tenuto spettacoli in cui aizzava il risentimento popolare contro banchieri e politici e diffondeva varie teorie alternative e infondate. La sua popolarità crebbe quando prese a diffondere video e altri contenuti su piattaforme multimediali, quali il suo blog e YouTube. Egli divenne il più noto di una galassia di blogger e utenti che condividevano idee simili e i cui temi si possono riassumere come segue: sfiducia nei media tradizionali ed esaltazione di internet quale sola fonte di informazioni attendibili; conseguente tendenza a credere in verità alternative su temi economici, farmaceutico/medici e politici; tesi dello svuotamento delle istituzioni rappresentative, destinate a essere sostituite da nuovi e più avanzati processi decisionali in rete; suggestioni new age e pseudo-metafisiche; ambientalismo radicale e fiducia che i problemi ambientali saranno risolti dalla introduzione di nuove tecnologie (cui talvolta si aggiunge il motivo degli oscuri interessi economici volti a frenare la diffusione delle tecnologie pulite); vaste cospirazioni governative ordite contro i popoli.

Il grillismo, insomma, cresce negli anni del boom di internet e trova un humus ideale in ragazzini (e, tavolta, in adulti) il cui immaginario è stato plasmato dalle sorelle Wachowski e da «V per Vendetta», più che da solide letture. Il matrimonio con la futurologia di Gianroberto Casaleggio va anch'esso inquadrato in quest'ottica. Da questa prima matrice ideologica (o pseudo-ideologica) il grillismo ha espunto le teorie cospirative di ambito economico. Grillo riprese la tesi che l'emissione di moneta causerebbe il debito pubblico dal professor Giacinto Auriti, defunto studioso di diritto con simpatie neo-fasciste, ma la lasciò presto cadere. Restano parte della ideologia grillina i complotti socio-sanitari, esemplificati dallo scetticismo nei confronti dei vaccini, una generale attitudine anti-scientifica e la tesi fututristica secondo la quale la democrazia rappresentativa verrà superata da forme di rappresentanza in rete. Quando non sostengono tesi apertamente complottistiche, i grillini identificano quali riferimenti intellettuali studiosi ai margini dell'accademia, che non hanno o hanno poche pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali e che sostengono tesi generalmente rigettate dalla letteratura anglosassone. Anch'essi offrono una base, in verità assai tenue, per molte tesi grilline, dall'ambientalismo radicale, all'acqua «bene comune», al pauperismo economico.

 

Il travaglismo

La seconda matrice ideologica del grillismo si potrebbe chiamare «travaglismo», sebbene Marco Travaglio non sia che uno (ma di gran lunga il più influente e rappresentativo) di molti giornalisti che, a partire dai primi anni 2000, hanno documentato e criticato la corruzione politica in Italia (una tendenza nata principalmente come reazione al secondo governo berlusconi). Travaglio partecipò al I «V Day», dell'8 settembre 2007, e dalla fine degli anni 2000 i suoi interventi video furono ospitati sul blog e sul canale YouTurbe di Grillo. Questo sodalizio fu in qualche modo formalizzato dalla creazione de «il Fatto Quotidiano», che, a eccezione di poche, pregevoli firme (Stefano Feltri) mantiene una linea editoriale generalmente filo-grillina. Le tesi di Travaglio traghettarono i grillini da un atteggiamento anti-sistema ingenuo, di matrice cospirazionistica, a toni e atteggiamenti pure critici verso l'establishment politico, ma più maturi.

La tesi di fondo di Travaglio, da lui più volte enunciata, è che le persone oneste non sono necessariamente buoni politici, ma i disonesti non possono mai esserlo; l'onestà è un prerequisito della buona politica. Si tratta di una tesi preliminarmente plausibile, ma errata. Giovanni Giolitti incedeva in metodi che oggi definiremmo clientelari, ma questo non cambia il valore storicamente positivo delle sue riforme. Una proposta politica non può essere valutata chiedendosi se il proponente sia disonesto, o se lo siano i suoi colleghi di partito, o, ancora, se per farla passare siano necessari anche i voti di politici disonesti.

Muovendo da questa tesi apparentemente plausibile, ma errata, Travaglio e i suoi emuli grillini tipicamente non entrano nel merito politico delle proposte. Travaglio ha fatto campagna per la corrente giuridica più conservatrice, che colitva un atteggiamento verso la Costituzione simile a quello dei musulmani salafiti rispetto al Corano (una tendenza esemplificata dalla formula: «la Costituzione non va cambiata, va applicata»). Da parte sua, però, non vi sono stati sforzi di elaborazione, non dico scientifica, ma anche solo intellettuale sulla questione. Egli non ha mai discusso criticamente gli argomenti del suo maestro, Indro Montanelli, che definiva la Costituzione «impalatabile», né tentato elaborazioni teoriche di alto profilo che tengano conto dei risultati del diritto costituzionale comparato e della politica comparata. Se si parla di economia, Travaglio preferibilmente si trincera dietro a un umile: «non faccio politica, sono un cronista giudiziario». Questo non gli impedisce di disapprovare le riforme del lavoro succedutesi negli anni e di polemizzare con il giuslavorista di orientamento riformista Pietro Ichino. Travaglio non è un esperto di politiche energetiche, ma questo non gli impedisce di esprimere scetticismo sul nucleare e di approvare il «controllo democratico» (cioè, pubblico) della gestione idrica. Egli non è un virologo, ma ciò non gli impedisce di derubricare il vaccino di immunizzazione contro il morbillo a «tagliando» e di criticare la politica delle vaccinazioni.

Gli «argomenti» di Travaglio, che sono ormai diventati la modalità argomentativa prevalente del grillismo, tipicamente fanno capo al punto che vi sono corrotti e condannati per corruzione fra coloro che patrocinano questa o quella proposta di legge; che, se non sono corrotti, hanno però stretto accordi con corrotti; che essi sono dei «nominati» e non degli eletti; che sono entrati in parlamento con una legge elettorale illegale e dunque non hanno titolo a proporre leggi; che le proposte di riforma costituzionale sono una manovra per garantire l'immunità parlamentare agli inquisiti; e così via. Di qui, si passerà senza troppa elaborazione a sostenere che sono state fatte disastrose riforme del mercato del lavoro; che i cambiamenti degli assetti istituzionali vanno rigettati; che le campagne di vaccinazione sono eccessive e allarmistiche; e così via.

Il grillismo/travaglismo, insomma, non si caratterizza per una generica richiesta di onestà nella vita politica (istanza, di per sé, condivisibile). Piuttosto, esso usa la richiesta di «onestà» per far passare surrettiziamente tesi politiche arretrate, che verisimilmente non uscirebbero vincitrici in un dibattito razionale. Alla richiesta di chiarimenti e di elaborazioni, i grillini replicheranno con risposte evasive («sono un cronista giudiziario»; «noi non siamo né di destra né di sinistra, chiediamo solo provvedimenti di buon senso»; «decideranno gli iscritti del blog»). La pretesa anti-intellettualistica di aver superato le divisioni politiche in nome di una generica onestà che dovrebbe accompagnarsi a riforme «di buon senso» serve in effetti ad avanzare posizioni politiche conservatrici senza bisogno di giustificarle sul piano intellettuale. Il risultato pratico è di rigettare, senza alcun serio dibattito, qualsiasi istanza modernizzatrice volta ad avvicinare il paese agli standard economici e istituzionali delle liberal-democrazie più avanzate. Come per i «professionisti dell'antimafia» di Sciascia, ogni forma di dissenso intellettuale può essere facilmente rigettata accusando chi dissente di corruzione o di collateralità nei confronti dei corrotti. La modesta cifra intellettuale del grillismo/travaglismo rende la tentazione di ricorrere a questo escamotage quasi irresistibile.

 

La casta

La terza matrice ideologica del grillismo afferisce alla polemica contro i «privilegi della casta». Se giornalisti e cronisti giudiziari fecero maturare il grillismo da posizioni acerbe, di cospirazionismo adolescenziale, verso una critica della corruzione politica, il tema dei costi della politica caratterizzò ulteriormente questo processo di maturazione. Significativamente, il fortunato libro «La casta» di Sergio Rizzo e Antonio Stella fu pubblicato nel 2007 (lo stesso anno del primo V-Day). Esso aprì un nuovo, vasto filone giornalistico-editoriale accanto a quello, già solcato, che si concentra sulla corruzione politica. Il grillismo, in questo senso, intercettò l'evoluzione del dibattito pubblico italiano, che poi avrebbe contribuito a esasperare.

Come per la corruzione, anche in questo caso si parte da una istanza apparentemente condivisibile: nessuno può dubitare che le remunerazioni dei politici italiani siano troppo elevate rispetto agli standard degli altri paesi occidentali. Di nuovo, però, questa istanza viene pervertita dal grillismo.

Il termine casta, con i suoi connotati di ascrittività e di trasmissione ereditaria, tende a fuorviare. Esso evoca un corpo sociale estraneo, separato dal resto della popolazione e quindi nasconde il fatto che per decenni la «casta» politica italiana è stata votata dal popolo italiano. I politici hanno usato la spesa pubblica per elargire benefici ad ampi settori della popolazione, i quali, a propria volta, li hanno ripagati con il consenso. Grazie a tale consenso i politici hanno estratto rendite dalle loro posizioni di potere. Il carattere improduttivo della spesa pubblica clientelare ha leso la produttività e alimentato un enorme debito. I risultati sono stati crescita asfittica e aumento del debito in rapporto al prodotto. Ciò non è stato causato delle rendite estratte dai politici (che sono grandi, per ciascun individuo, ma relativamente piccole complessivamente), ma dai benefici elargiti agli elettori (che sono spesso modesti, per ciascun individuo, ma ammontano a molto denaro, complessivamente).

La natura simbiotica del rapporto fra classe politica e popolazione è il grande rimosso dell'ideologia dei Cinque Stelle. Il lavoratore non è incoraggiato a confrontare il salario che riceve con la propria produttività, e a confrontare entrambi con i dati statunitensi; il pensionato non è incoraggiato a confrontare la propria pensione con la produttività di quando fu lavoratore e a chiedersi se le pensioni, in altri paesi, siano più alte o più basse della sua in relazione alla produttività (potrei aggiungere che anche ricercatori e docenti italiani sono in media meno produttivi delle loro controparti nei paesi avanzati). Essi sono invitati a confrontare il proprio salario, la propria pensione, con gli emolumenti dei parlamentari. Si vellicano, insomma, l'invidia e le pulsioni più basse dell'elettore, alimentando in esso un profondo senso di vittimizzazione e il sentimento di aver subìto gravi ingiustizie a opera dei politici. Allo stesso tempo, si coltiva una cultura della deresponsabilizzazione collettiva, facendo intendere che il popolo italiano non ha alcuna colpa se il paese è in crisi. La protesta contro i privilegi politici diventa un alibi per giustificare i privilegi, piccoli e grandi, della popolazione nel suo complesso.

Ma - si potrebbe pur obiettare - il taglio dei privilegi ha valore d'esempio. Si tratta di una patetica menzogna. Nella campagna elettorale politica del 2018, il Movimento ha invocato l'abolizione della riforma Fornero, promesso aumenti di stipendio per i dipendenti pubblici e promozione dell'occupazione tramite investimenti pubblici in settori strategici. Luigi Di Maio ha detto di voler proseguire con la spending review, ma l'unica voce che ha citato pubblicamente è il taglio delle spese correnti della politica. Di Maio ha anche previsto di finanziare la spesa pubblica in deficit violando i parametri europei. Questo non sembra lontanamente il programma di chi voglia tagliare la spesa corrente della politica quale «esempio», per poi impegnarsi in più serie riforme strutturali che richiedano sacrifici alla popolazione. Sembra invece che il Movimento abbia cavalcato il risentimento diffuso nei confronti dei privilegi politici per assecondare la tendenza di un popolo, quello italiano, che si è ormai avvezzato, psicologicamente, a declinare ogni responsabilità circa lo stato del paese e a rifiutare ogni riforma che implichi costi sociali.

 

Conclusioni

Il primo grillismo fu una forma di protesta anti-establishment ingenua, basata su una sub-cultura adolescenziale di internet. I ragazzini sfaccendati che vivevano su internet, istigati da un comico esaltato e un po' mitomane, non avrebbero mai potuto ambire a governare il paese se non avessero intercettato passioni e umori profondi del popolo italiano. Due tendenze si incrociarono e ibridarono con il primo grillismo: la vasta pubblicistica che dal 2000 circa (se non da prima) condanna la corruzione della classe politica italiana e che vede in Marco Travaglio il suo più rappresentativo esponente; la seconda ondata di pubblicistica che, a partire dal 2007, condanna i privilegi della «casta», e che fu lanciata dall'omonima opera di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.

In un primo periodo, queste tre tendenze rimasero commiste l'una con le altre. Negli anni fra il 2006 e il 2008, era possibile trovare utenti, su internet, che alternavano video di spericolati complotti mondiali a video di Antonio Di Pietro e di Marco Travaglio. Con il tempo, e com'era forse inevitabile per un movimento che aspirava a crescere e a coinvolgere settori sempre più ampi della popolazione, la vena del cospirazionismo ingenuo e adolescenziale si è inaridita e i temi della corruzione e dei costi della politica sono diventati prevalenti. Non escludo, però, che in àmbiti come l'ambientalismo e la politica delle vaccinazioni l'ispirazione del primo complottismo possa tornare alla ribalta.

L'antipolitica, cioè l'esaltazione semplicistica e anti-intellettualistica di valori generici e non prettamente politici, quali l'onestà e una condotta parca da parte degli eletti, cela la natura politica del grillismo: il tentativo di tornare alle politiche degli anni 1970-1980, prima che la crisi del debito impedisse alla classe politica della seconda repubblica di continuare a usare la spesa pubblica per comprare consenso. La crisi del meccanismo di compravendita dei voti tramite la spesa ha reso gli italiani istericamente sensibili alla corruzione e ai privilegi dei politici. Questa forma di rancore mal riposto e di deresponsabilizzazione, unita al desiderio infantile che la politica offra soluzioni bell'e pronte che non comportino alcun costo sociale, è la base di consenso del grillismo.

Ora, sfortunatamente, quasi tutti i problemi di modernizzazione del paese richiederebbero, per essere risolti, riforme socialmente costose. Per limitarmi a un esempio, gli osservatori italiani e internazionali più avvertiti ritengono che la riforma Fornero sia stata un primo passo apprezzabile, ma che il sistema pensionistico italiano avrebbe bisogno di ulteriori tagli. La lotta alla corruzione e ai privilegi della casta, esemplificata dalle manie su auto blu e scontrini, serve ad aggirare i veri nodi alla radice del nostro mancato sviluppo e ad avanzare formule e progetti politici che si caratterizzano come culturalmente e politicamente arretrati. Essa è un tentativo di negare la crisi del debito che ha impedito alla classe politica della seconda repubblica di proseguire con la politica di spesa; e di tornare a modalità di formazione del consenso e a politiche tipiche della prima repubblica.

Dietro alla pretesa di una rottura rivoluzionaria con il passato, la terza repubblica del grillismo, se mai prenderà piede, sembra indirizzata a ripetere le politiche che caratterizzarono i peggiori anni della prima repubblica.