Putin grande

Basterebbe consultare i dati dell’Istat o quelli disponibili sul sito del Ministero degli Interni alla voce ‘Sbarchi e accoglienza dei migranti: tutti i dati’, per rendersi conto che il fenomeno dell’immigrazione, che certamente non va sottovalutato ma governato con razionalità e buon senso, non sia affatto un’invasione che mina l’integrità del nostro Stato, come sostengono in questi convulsi giorni di campagna elettorale sovranisti e populisti, specie dopo l’episodio di Macerata. I tragici fatti della città marchigiana, dove sabato 3 febbraio il ventottenne Luca Traini ha ferito a colpi di pistola sei stranieri, lungi dall’essere letti come l’atto di un folle affetto da turbe psichiche, sono stati infatti strumentalizzati dagli stessi movimenti in chiave elettorale. Matteo Salvini, pur stigmatizzando il gesto criminale di Traini, ha affermato che “l’immigrazione è fuori controllo”. Forza Nuova si è spinta più in là della Lega mettendo a disposizione di Traini un pool di avvocati per la sua difesa. Alcuni militanti di estrema destra hanno addirittura esposto uno striscione a Ponte Milvio, a Roma, in cui si inneggiava a Traini come a un eroe.

Torniamo per un attimo ai dati del Viminale per avere un’istantanea del fenomeno. Se osserviamo gli sbarchi dell’ultimo mese dall’1 gennaio al 7 febbraio 2018 e li confrontiamo con i dati riferiti allo stesso periodo degli anni 2016 e 2017, ci accorgiamo che il fenomeno è in netto calo (- 21,67%) rispetto al 2016 e (-49,51%) rispetto allo scorso anno. Ma ripeto ciò non significa che il problema non esista e che non vada governato con lungimiranza. Posto che la sfida dell’immigrazione è di grande momento, la sua soluzione non passa certo attraverso la retorica usata da populisti e sovranisti che chiedono la chiusura delle frontiere ma attraverso politiche concertate con l’Europa. La scelta peggiore per il nostro Paese, non solo a livello economico, ma anche a livello sociale sarebbe quella di chiudersi.

Una scelta dettata dalla presunzione di volere governare fenomeni epocali in perfetta solitudine senza il supporto della Ue sarebbe suicida. Ma veniamo alla retorica dell’invasione. A detta delle forze populiste e anti-sistema l’Europa sarebbe assediata ai propri confini da orde di barbari e la risposta a questa presunta invasione non sarebbe il rafforzamento del progetto europeo ma la chiusura entro gli angusti confini nazionali. È singolare come nessuna delle forze sovraniste, apparentemente interessate all’integrità territoriale del Vecchio Continente e apparentemente sensibili al tema dell’invasione straniera, abbia mai denunciato in questi ultimi anni le gravi violazioni avvenute da parte del Cremlino in territorio georgiano, l’invasione russa in Donbas e in Crimea e le reiterate provocazioni ai Paesi Baltici, i cui spazi aerei sono stati più volte violati nell’ultimo lustro. Come hanno fatto notare storici quali Timothy Snyder e Serhii Plokhy, l’annessione russa della Crimea e la guerra ibrida in Donbas sono, a tutti gli effetti, tentativi per destabilizzare non solo l’Ucraina ma l’intera Europa.

Eppure sovranisti e populisti non sembrano preoccuparsi né dell’avvenuta ridefinizione di confini internazionali con l’uso della forza né della pioggia di denaro che affluisce in Europa dalla Russia. Certo perché i principali beneficiari di questo flusso di denaro sono loro stessi. Non stupisce affatto che per costoro il modello di riferimento da contrapporre all’Europa “di immigrati e gay” (il termine Gayropa è stato coniato dai consulenti del Cremlino per attaccare l’Unione Europea e i suoi valori) sia proprio quello russo. Grazie anche alla complicità della narrazione russa veicolata da molti media italiani, si è creato in Italia terreno decisamente fertile per le agende populiste di tutti quei movimenti e partiti che in questi giorni di campagna elettorale premono per l’uscita del nostro Paese dalla Ue, dall’euro e dalla Nato.

Il pericolo di interferenze esterne è già stato sottolineato più volte, non solo in relazione al Russiagate che ha interessato l’elezione di Trump. Sia la Francia di Macron sia la Germania della Merkel hanno dovuto affrontare questo problema nei mesi scorsi. Per fortuna l’intelligenza degli elettori francesi e tedeschi e la sofisticatezza dei sistemi di intelligence hanno scongiurato gli scenari più cupi.
Per inquadrare in ottica teorica l’attuale situazione, è opportuno fornire una definizione puntuale del termine disinformazione. Per disinformazione s’intende la “falsificazione intenzionale di dati e notizie al fine di manipolare le percezioni di un bersaglio, influenzarne le decisioni, e indurlo ad agire nel modo desiderato dal disinformatore” (Germani).
È importante distinguere nettamente la disinformazione dalla mala-informazione non intenzionale ossia “l’informazione errata o viziata che viene inconsapevolmente presentata come vera a causa dell’ignoranza, confusione, superficialità o pregiudizi di chi la diffonde. La disinformazione, invece, è una azione ostile, deliberata e pianificata, che persegue un vantaggio in maniera occulta, costruendo e diffondendo informazione falsa o distorta” (Germani).

Luigi Sergio Germani, che ha recentemente pubblicato un testo, il primo in Italia su questo tema, intitolato "Disinformazione e manipolazione delle percezioni: una nuova minaccia al sistema-paese", sottolinea come la disinformazione costituisca una grave minaccia alla sicurezza e alla competitività del sistema-Italia.
“La disinformazione – scrive l’autore e curatore nella nota introduttiva al libro che raccoglie contributi di diversi esperti – è un’arma di lotta politica, militare ed economica adoperata da attori statali e non-statali, la cui potenza ed efficacia viene moltiplicata dalle nuove tecnologie ICT (informatiche e della comunicazione) e dallo sfruttamento del cyberspazio”.


Pur nella consapevolezza dell’impossibilità di essere esaustivi su un tema così complesso e sfaccettato ritengo utile illustrare gli obiettivi, le metodologie e gli strumenti utilizzati dal governo russo in quella che viene definita guerra ibrida o non-lineare.
Valery Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle forze armate russe e teorico dell’omonima dottrina, sottolinea come “il ruolo degli strumenti non-militari nel conseguimento di obiettivi strategici politici e militari è cresciuto e, in molti casi, questi strumenti hanno superato il potere delle armi in quanto ad efficacia”.
Soffermiamoci per un attimo sulle finalità delle odierne campagne di disinformazione e confrontiamole con quelle di un tempo. Esse non appaiono molto diverse da quelle utilizzate dal KGB ai tempi della Guerra Fredda.
“Le campagne di disinformazione sovietica perseguivano diverse finalità strategiche, tra cui le seguenti:
1) Diffondere fra élites e masse nei paesi non-comunisti un’immagine falsamente tranquillizzante della politica estera sovietica.
2) Screditare e demonizzare determinati Paesi, governi, gruppi politici, leader, o individui, considerati ostili agli interessi sovietici.
3) Fomentare tensioni tra i Paesi NATO e tra Stati Uniti ed Europa Occidentale.
4) Alimentare tensioni fra paesi occidentali e paesi del Terzo Mondo (e in particolare fra Usa e Terzo Mondo).
5) Aizzare le popolazioni contro le Istituzioni dello Stato nei paesi occidentali e provocare la crescente ingovernabilità di questi ultimi.
6) Delegittimare e destabilizzare i servizi informativi e di sicurezza occidentali.
7) Diffondere un senso di demoralizzazione, sfiducia e pessimismo tra le popolazioni dei paesi occidentali circa il futuro delle democrazie capitalistiche, sfruttando paure e sensi di colpa” (Germani).

Se confrontiamo gli obiettivi di un tempo e sostituiamo la parola Unione Sovietica con la parola Russia, scopriamo una sorprendente linea di continuità tra la Mosca dei soviet e quella dello zar Vladimir Putin. L’unica vera differenza consiste nel fatto che mentre la disinformazione sovietica era strumento di una politica di espansione globale del marxismo-leninismo e del potere dell’Urss, quella odierna ha finalità più limitate e di carattere prettamente geopolitico e non ideologico.
Ora come allora, la disinformazione verso l’interno è finalizzata a consolidare la stabilità del regime, mentre quella verso l’esterno a indebolire l’Occidente diffondendo un senso di sfiducia e insicurezza al suo interno. L’obiettivo finale è la ricostituzione di una sfera d’influenza nell’Estero Vicino, ossia nei paesi un tempo appartenuti all’Urss e al Patto di Varsavia che Mosca considera suoi. A detta degli analisti gli obiettivi strategici della dezinformatsiya russa in Europa sono sintetizzabili nei seguenti punti:
1) Delegittimazione e indebolimento di Ue e Nato, al fine di minare l’efficacia dei loro processi decisionali.
2) Fomentare tensioni tra paesi all’interno di Ue e Nato.
3) Logorare autorità e credibilità dei governi europei reputati ostili o poco collaborativi con il Cremlino.
4) Aumentare l’instabilità e la conflittualità nella politica interna dei paesi dell’Ue.
5) Favorire la crescita, se non l’ascesa al potere, dei partiti populisti europei filo-moscoviti.
6) Alimentare la sfiducia dell’opinione pubblica in Europa nei confronti del modello liberal-democratico occidentale e nei valori fondamentali della “società aperta”.
7) Screditare i politici e i media europei critici nei confronti del regime russo e della sua politica estera.
Il ritorno dell’information warfare russa come strumento di politica estera del Cremlino, dopo il crollo del Muro di Berlino e il dissolvimento dell’Urss, si è sostanziato in due fasi, la prima di consolidamento attraverso la ri-creazione dei media, la seconda attraverso il loro utilizzo in senso offensivo.

Già prima della crisi ucraina il Cremlino aveva deciso di rafforzare le proprie contromisure difensive tese a neutralizzare la percepita 'minaccia informativa' proveniente da Occidente, ma anche di potenziare le proprie attività offensive di information warfare, tra cui la disinformazione anti-occidentale, anti-americana e anti-Ue. A tale scopo l’apparato mediatico internazionale controllato dal Cremlino viene notevolmente ampliato e modernizzato in seguito a ingenti investimenti. La disinformazione russa rivolta verso l’estero viene veicolata sia dai grandi mezzi di comunicazione - come l’emittente televisiva RT e l’agenzia multimediale Sputnik - sia sfruttando tutti gli strumenti del nuovo universo dei media digitali: social media, siti e blog di 'informazione alternativa', troll di internet (propagandisti pagati dal Cremlino), adoperati non solo per amplificare le notizie false o manipolate ma anche per intimidire e screditare chi si adopera per smascherarle” (Germani).
Va da sé che nuove tecnologie digitali hanno aperto enormi possibilità alla propaganda.
Tra le tecniche più utilizzate dalla propaganda russa, ma anche da Cina e Iran, va sicuramente menzionata quella dell’astroturfing, che consiste nella creazione artificiale di contenuti e voci a supporto di un prodotto, di un tema o un personaggio.


Nata in ambito economico prima dell’avvento di internet, questa pratica raggiunge il suo apice nell’era digitale applicata alla politica al fine di simulare un diffuso supporto verso un regime, un’ideologia, una politica. Per conseguire questo obiettivo vengono ingaggiati alcuni soggetti, che opportunamente retribuiti, producono contenuti filogovernativi a supporto delle posizioni ufficiali di un regime e in dissenso verso l’opposizione.
Un tipico esempio di produzione di massa di contenuti filogovernativi sono le fabbriche dei troll come quella scoperta a San Pietroburgo.
La fabbrica dei troll di San Pietroburgo, di cui si è avuta conoscenza grazie a due ex impiegati, Lyudmila Savchuk e Marat Burkhand, che ne hanno raccontato in dettaglio il funzionamento, impiega centinaia di persone e si occupa di produrre profili falsi, contenuti e commenti per siti web della grande stampa internazionale, portali online, forum, social network.
Dai racconti dei due ex collaboratori emerge una realtà inquietante degna del 1984 di Orwell.

L’enorme macchina propagandistica, avvalendosi di centinaia di addetti pagati ben sopra la media retributiva della Federazione Russa, è infatti in grado di confezionare falsi profili e un’enorme mole di contenuti fake e materiale patriottico a favore del Cremlino. In tal modo questi apparati riescono a propagandare le posizioni del Cremlino, influenzare la discussione online e trasmettere la sensazione di un vasto supporto sia in Russia sia all’Estero per la Federazione.
Nei prossimi giorni potremmo assistere all’intensificazione di operazioni di distrazione e di distorsione su vari siti italiani legati più o meno direttamente al Cremlino allo scopo di screditare la Ue. Quello dell’immigrazione è sicuramente uno dei temi sensibili su cui le forze populiste e sovraniste puntano per attaccare i partiti liberali di ispirazione europeista in questa campagna elettorale. La speranza è che i cittadini italiani, chiamati alle urne il 4 marzo, sappiano offrire una risposta matura e responsabile come quella di francesi e tedeschi.