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Si sono svolte ieri le elezioni anticipate in Catalogna convocate eccezionalmente dal primo ministro spagnolo Rajoy dopo i fatti del primo ottobre, a seguito dei quali è stato applicato l’articolo 155 della Costituzione che ha destituito i membri del governo catalano (la Generalitat). Ciononostante, i risultati premiano con 70 seggi su 135 la triade indipendentista composta da Junts Pel Sì, Esquerra Republicana e Candidatura de Unidad Popular, che conquista la maggioranza, e puniscono il Partido Popular di Rajoy che invece ne perde uno restando a 3. Colpiscono inoltre i numeri assoluti sul voto pro-indipendentista: da 1.352.111 elettori a favore nel 1996, si è arrivati ai 2.057.646 odierni.

Cerchiamo allora di fare una modesta analisi su come sia stato possibile arrivare a questo risultato. Il 1° ottobre si è tenuto in Catalogna un referendum illegittimo e anticostituzionale, il cui fine era di avviare il processo di indipendenza della regione autonoma. La spinta indipendentista della Catalogna che ha portato a tenere tali votazioni è cresciuta negli anni, nonostante l’approvazione della Costituzione spagnola del 1978 che aveva sancito un patto con la borghesia catalana. Un particolare slancio ci fu nel 2006, quando fu approvato, a seguito di trattative con l’amministrazione dell’allora premier Zapatero, un nuovo statuto che nei propositi doveva aumentare l’autonomia della regione catalana. Tuttavia un ricorso di un partito allora di opposizione, il Partido Popular, presso il Tribunale Costituzionale portò alla riapertura delle trattative. Nel 2010 oltre un milione di persone parteciparono a una manifestazione in difesa del nuovo statuto, ma il PP, nel frattempo divenuto il partito di governo con la nomina nel 2011 di Rajoy come primo ministro, decise di chiudere ogni porta a nuove trattative con l’amministrazione catalana, respingendo qualsiasi richiesta di revisione della Costituzione del 1978.


La riluttanza di Rajoy a riaprire un tavolo per discutere le richieste autonomiste che provenivano dalla regione spinsero il partito maggiore in Catalogna, Convergencia, a passare da posizioni autonomiste ad altre più orientate verso l’indipendentismo. Si ottenne così un referendum consultivo nel novembre 2014, dichiarato illegale, a cui parteciparono un terzo degli aventi diritto, dei quali l’80% votò per l’indipendenza. Seguirono nel 2015 nuove elezioni catalane, le quali videro un’alleanza tra Convergencia i Uniò (partito storicamente di centro) e Esquerra Republicana (di centro-sinistra) con l’obiettivo di condurre la Catalogna all’indipendenza. La coalizione prese il nome di Junts Pel Sì e vinse con il 39,5% dei voti; il CUP (Candidatura de Unidad Popular), partito indipendentista di visione anticapitalista, ottenne un altro 8,2% dei consensi e fu decisivo per la formazione del governo guidato fino al 28 ottobre di quest’anno da Puigdemont. 


È così che si arriva al più recente referendum anticostituzionale, che ha portato alla carcerazione preventiva di otto membri del governo catalano, tra cui il leader di Esquerra Repubblicana Oriol Junqueras. Data la sordità di Rajoy verso le istanze catalane, si possono ragionevolmente considerare le consultazioni del primo ottobre come un gesto di disobbedienza civile: che il referendum fosse anticostituzionale lo sapevano sicuramente i governatori catalani e tutti colori i quali hanno deciso di recarsi comunque alle urne, ma hanno scelto lo stesso di aderire a questa manifestazione simbolica. La risposta violenta del governo spagnolo, che ha represso i manifestanti causando 761 feriti, è stato considerato da molti un'azione illegittima; è stato visto come un esercizio aribitrario di ciò di cui il governo è, per definizione, monopolista - l'uso della forza - quando invece sarebbe stato possibile lasciar correre e avvalersi all’indomani delle sedi giudiziarie.

Reprimere un atto nonviolento di pronunciamento politico con i manganelli appare un gesto autoritario, che si pone in antitesi rispetto alla tutela di chi è inerme da parte dello Stato. Questo modo di rispondere a una manifestazione di comuni cittadini è stato forse l’errore più grave di Rajoy, che maggiormente ha spostato l’ago della bilancia dell’opinione pubblica. 
Cosa accadrà nei prossimi giorni sarebbe azzardato prevederlo, ma gli eventi catalani sono stati una delle dimostrazioni più evidenti della portata della nonviolenza e della disobbedienza civile come strumento di lotta politica e, in questa chiave, possono essere considerati un esempio per chi, al di là del proprio orientamento politico, intenda porre le sue istanze non solo tramite l’uso del voto nelle occasioni istituzionali.

Seppure l’indipendenza della Catalogna appaia ancora una eventualità remota, oggi sicuramente lo è meno di ieri. Con questi risultati elettorali una trattativa su maggiore autonomia amministrativa e tributaria è più probabile, e si tratterebbe comunque di un risultato conseguente al referendum del primo ottobre. 
Quale molla abbia spinto i cittadini catalani a prendere parte a quel referendum chiaramente nullo, forse ce lo può spiegare Hanna Arendt con il suo testo sulla disobbedienza civile: “La disobbedienza civile nasce quando un numero consistente di cittadini ha raggiunto la convinzione che i normali canali del cambiamento non funzionano più e che le lamentele non saranno ascoltate né prese in considerazione.” 
E questo è esattamente quanto è accaduto in Catalogna dopo il 2006.