Strade pubblica i documenti del Gruppo di Lavoro sull'Economia di Radicali Italiani. Dopo aver pubblicato i lavori su pressione fiscale e debito pubblico, pubblichiamo per concludere un paper firmato da Michele Governatori, sui sussidi pubblici e la tax expenditure.

falasca faldoni sito

Abstract

Il mare di sussidi pubblici, molti dei quali in forma di spesa fiscale, rispecchia un forte interventismo dello Stato nell’economia anche in assenza di partecipazioni pubbliche, e probabilmente rispecchia l’ipertrofia stratificata e polverizzata della nostra attività legislativa, piena di facilitazioni a questa o quella categoria, spesso senza una coerenza tra misure.

La relativamente piccola dimensione di molte delle misure prese singolarmente, ognuna delle quali ha però beneficiari pronti a protestare, probabilmente concorre alla difficoltà nell’aggredire questa forma di spesa. I sussidi all’autotrasporto [1] su gomma, inaccettabili sotto il profilo competitivo e ambientale e in competizione con quelli al trasporto su ferro, anch’essi beneficiari di sussidi, sono uno dei tanti esempi di contraddittorietà.

I sussidi in forma di trasferimenti di Stato centrale e regioni alle aziende valevano oltre 41 miliardi nel 2011 [2]. Quelli, sempre in forma di trasferimenti diretti, del solo Stato centrale e del sistema di parafiscalità di bollette energetiche valevano secondo il ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) 19 miliardi nel 2016.

Più complicato computare la spesa fiscale (che è generalmente considerabile sussidio in quanto priva di contropartita). Secondo il MATTM essa, escludendo gli enti locali e includendo la parafiscalità energetica, ammonta a 22 miliardi, di cui circa 16 sono da eliminare in quanto dannosi all’ambiente e contrari a impegni interni e internazionali del Governo. Il MEF nel suo primo rapporto sull’erosione fiscale elude una quantificazione complessiva, ma fornisce un catalogo che è utilizzato per fare le considerazioni di questo documento.

Una prima classe di sussidi fortemente discriminatori e incoerenti con le politiche ambientali riguarda gli sconti su accise a carburanti e combustibili fossili soprattutto a trasporto commerciale ed agricoltura per circa 4 miliardi/anno, di cui circa 2,4 escludendo il trasporto aereo.
Altre voci di sussidi in forma di spesa fiscale di cui è difficile ravvisare un senso avvantaggiano la prima casa, per oltre 10 miliardi all’anno, in questo caso in favore di persone fisiche.

Anche la spesa fiscale per la “competitività” e per la riduzione del cuneo fiscale delle aziende è altissima (oltre 13 miliardi) e diventata ancor più alta recentemente. Se è vero che il cuneo fiscale è un elemento decisivo di competitività, sarebbe meno distorsivo e arbitrario affrontarlo con una riduzione generalizzata delle tasse anziché con misure di incentivo all’acquisto o ammortamento di determinati beni o defiscalizzazione solo temporanea e selettiva del lavoro.

Tra i settori in generale più sussidiati: agricoltura, trasporti, energia. Una revisione fiscale con forti riduzioni di aliquote d’imposta dovrebbe avvenire insieme al reset di gran parte della spesa fiscale, che contribuirebbe in modo decisivo a finanziarla.

 

Sussidi pubblici e tax expenditure in Italia

Incoerenti, costosi, distorsivi, sono un grande bacino di possibile riduzione della spesa pubblica

1. I sussidi: strumento sbagliato per welfare o “politica industriale”

Definizione
Quale parte dei trasferimenti a fondo perduto e della spesa fiscale pubblica può essere considerata sussidi? Cottarelli [3] definisce i sussidi come “trasferimenti senza contropartita”. Altra definizione, dell’OCSE e a cui si attiene il MATTM nel suo Catalogo [4], è quella di trasferimenti atti ad alterare il prezzo di scambio di un bene rispetto a quanto esprimerebbe il mercato, al fine appunto di sussidiare una parte. I “trasferimenti alle imprese” sono la prima cosa da tagliare secondo Cottarelli (che qui in realtà intende sussidi, perché i “trasferimenti” includono in generale anche gli acquisti di beni da parte dello Stato di cui lo stesso Cottarelli parla separatamente).

Inadeguatezza rispetto a finalità redistributiva
A differenza dei trasferimenti fiscali operati con il sistema delle imposte dirette, i sussidi non possono tener conto della situazione reddituale delle categorie sussidiate, se non con forti complicazioni amministrative. Se l’obiettivo è aiutare un’azienda a investire e crescere, o tutelare il potere d’acquisto delle persone fisiche, è più trasparente e meno distorsivo (e quindi utile alla crescita economica e alla libertà) un sistema di imposte sui redditi strutturalmente vantaggioso anziché facilitazioni su determinati beni o categorie. Un esempio è l’accisa agevolata su una fascia di consumo di energia elettrica nelle abitazioni di residenti (650 milioni all’anno) che avvantaggia il single ricco quanto una famiglia numerosa e indigente. In generale, dalle tabelle dei conti dello Stato emerge che i sussidi, soprattutto quelli in forma di spesa fiscale, sono slegati tra loro e spesso contraddittori, una stratificazione delle rendite più disparate.

Sussidi, tax expenditure e politiche ambientali
Un sistema di imposte indirette che tenga conto di esternalità negative è uno strumento imprescindibile nell’attuazione di politiche come quelle ambientali (per esempio attraverso la carbon tax). Un intervento su sussidi e spesa fiscale deve tenerne conto, sia per selezionare le voci da eliminare, sia per valutare la contraddittorietà di alcune di esse rispetto alle politiche ambientali già decise. Il Governo è già impegnato rispetto al Parlamento e a organizzazioni sovragovernative a eliminare i sussidi dannosi all’ambiente. Il Catalogo dei sussidi classificati come vantaggiosi o dannosi all’ambiente del MATTM è un’utile guida per discriminare in questo senso.

 

2. La spesa fiscale

Definizione
Revenue losses attributable to provisions of the laws which allow a special credit, a preferential rate of tax, or a deferral of tax liability” (Surray, 1985)

La spesa fiscale (SF), anche detta erosione fiscale o con termine anglosassone tax expenditure, è quanto il fisco rinuncia a incassare concedendo esenzioni o agevolazioni a determinate categorie di beni o attività. Eccettuando le esenzioni fiscali a soggetti dell’amministrazione pubblica (mirate a evitare partite di giro, ma comunque potenzialmente distorsive), le voci di spesa fiscale, in quanto prive di contropartita, hanno tipicamente fine di sussidio.

La quantificazione della SF è molto opinabile: se si computano tutti i regimi agevolati (soprattutto quelli IVA per determinate categorie di beni) il valore raggiunge l’ordine di grandezza delle centinaia di miliardi/anno. Un valore utile a comprendere la dimensione enorme di forme redistributive affidate alla SF senza tener conto della capacità contributiva dei soggetti beneficiati, ma probabilmente non indicativo (perché conduce a una sovrastima) del livello di gettito potenziale del sistema di tassazione in assenza di facilitazioni.

Anche il tipo di sistema fiscale influenza la valutazione della SF [5]. In generale, la scelta di considerare spesa fiscale o meno determinate facilitazioni di trattamento richiede tra le altre cose di stabilire se tali vantaggi siano eccezioni o invece coerenti rispetto all’impianto originario dell’imposta. La scelta del MEF nel suo rapporto è invece quella di considerare spesa fiscale solo regimi molto specifici con aliquote ridotte ma non l’intero valore delle aliquote ridotte rispetto a quella standard o massima. A questa definizione prudenziale e per difetto si riferisce quasi sempre anche questo documento in particolare nelle sue proposte.

Equivalenza rispetto ai trasferimenti
Una tipica obiezione a chi mostra i numeri clamorosi della nostra spesa fiscale è che essa non sia assimilabile in termini di effetti economici ai trasferimenti monetari diretti dello Stato, in quanto con la SF c’è semplicemente una rinuncia a entrate teoriche. Si tratta di un’obiezione irrilevante rispetto agli effetti distributivi e di distorsione della concorrenza operati dalla SF, mentre è vero (come scritto sopra) che non sempre una SF corrisponde a un gettito che sarebbe esigibile in assenza di facilitazione. Quest’ultimo però è un problema tanto minore quanto più selettivo è il catalogo delle previsioni di SF in termini di loro eccezionalità rispetto all’impianto fiscale.

Per mostrare l’equivalenza tra SF e trasferimento di pari valore è sufficiente ipotizzare di sospendere un beneficio fiscale e riattribuirlo sulla base di un’asta a chi paghi di più per averlo. L’importo pagato dall’aggiudicatario si avvicinerebbe, salvo costi di transazione o incertezza di valutazione, al valore del vantaggio fiscale messo all’asta, il che dimostra che per chi fruisce di spesa fiscale essa è assimilabile a un trasferimento economico.

In termini più generali (e forse un po’ tautologici), come riporta il primo rapporto MEF sulla spesa fiscale 2016, una spesa fiscale può dirsi tale quando potrebbe essere sostituita da un’equivalente misura di trasferimento di denaro pubblico. Dunque ai fini della valutazione dei sussidi pubblici in termini di distorsione ed effetti distributivi non fa differenza che i sussidi prendano la forma di un trasferimento diretto o di una spesa fiscale. Qualche cautela invece è necessaria in termini di impatto sulla finanza pubblica.

Questa equivalenza tende tuttavia a non essere riconosciuta in termini di trasparenza e approfondimento delle ragioni che motivano l’istituzione di voci di SF. Secondo il working paper IMF citato nel prossimo paragrafo, uno dei problemi della SF è la sensibilità alle lobby, maggiore di quanto avvenga per i trasferimenti, questo a causa di minori strumenti di trasparenza legislativa o decisionale che le istituzioni tendono ad adottare nell’istituire nuove tax expenditure. Per esempio: tipicamente l’approvazione della legge di bilancio non prevede che sia necessaria un’esplicita decisione per prolungare a tempo indeterminato voci di SF. Ragione per cui secondo l’IMF le tax expenditure dovrebbero essere sempre stabilite con una data di scadenza.

Più in generale, si ripropone probabilmente anche a livello di decisione politica e di opinione pubblica quella sorta di distorsione cognitiva citata all’inizio di questo paragrafo, per cui il peso di voci di SF è percepito in misura minore rispetto a voci di pari dimensione relative a trasferimenti.

Confronto internazionale
Nel 2010 la spesa fiscale [6] in Italia era stimata dall’OCSE (con criteri omogenei tra paesi) a livelli altissimi rispetto ai paesi sviluppati (oltre 8% del PIL, circa il triplo che in Olanda, Norvegia e Francia, il 20% in più che in UK). Una valutazione più estensiva del MEF del 2011 stabiliva la spesa fiscale in Italia addirittura al 16% del PIL usando come benchmark il sistema fiscale italiano.

 

3. A quanto ammontano i sussidi, in particolare quelli alle imprese

Giarda, Flaccadoro, Giavazzi
Un rapporto di Giarda e Flaccadoro [7], che in parte fa proprio il precedente studio Giavazzi, quantifica i sussidi a imprese da parte dello Stato centrale (definiti come trasferimenti “generalmente senza contropartita”) in circa 33 miliardi nel 2011, di cui 15 erogati dallo Stato e la differenza da enti locali. Questo ammontare non include la spesa fiscale.

Catalogo Ministero dell’Ambiente
Il Catalogo dei sussidi ambientalmente favorevoli e dannosi pubblicato nel febbraio 2017 dal Ministero dell’Ambiente include sussidi, sia trasferimenti sia spesa fiscale, da parte del solo Stato centrale e parte dei sussidi inseriti nel sistema della parafiscalità [8] delle bollette energetiche, quantificandoli in oltre 41 miliardi di Euro/anno. Il Catalogo include anche casi di sussidi al consumo di beni a vantaggio di persone fisiche. 

Dei sussidi censiti, 22 miliardi circa sono di spesa fiscale di cui quasi 16 miliardi sono considerabili secondo il MATTM dannosi all’ambiente e quindi da eliminare stando a quanto lo Stato si è impegnato a fare in seno all’UE, al G7, ed è impegnato internamente a fare da risoluzioni approvate in Parlamento e dalla Delega Fiscale 2014. Come già menzionato, il perimetro della spesa fiscale è molto labile e difficilmente tutte le voci potrebbero essere trasformate in entrate effettive da un giorno all’altro. Per esempio, nell’ammontare della spesa fiscale dannosa all’ambiente è incluso il trattamento di favore delle accise sul gasolio per autotrazione rispetto a quelle sulla benzina valutato in circa 5 miliardi/anno e che non corrisponde a un’esenzione, ma a una discriminazione di aliquote priva di motivazioni sia in termini di internalizzazione di esternalità sia di intensità impositiva rispetto alla capacità energetica del carburante.

Rapporto annuale sulla spesa fiscale 2016, MEF
Il primo rapporto del ministero dell’Economia sulla spesa fiscale della commissione per le spese fiscali del MEF, con dati tendenziali 2017-19, pubblicato a ottobre 2016, incredibilmente non computa l’ammontare complessivo delle spese che censisce, e motiva questa abdicazione spiegando che una somma di quanto recuperabile da singole facilitazioni fiscali interdipendenti tra loro non avrebbe senso. (Questo è tautologico e non toglie che un’indicazione dell’ammontare totale sia significativa).

Dalle tabelle del rapporto MEF, considerando solo le voci sopra i 50 milioni (quindi con un’impostazione per difetto) e arrotondandole ai 50 milioni più vicini emergono alcune voci particolarmente rilevanti [9] in termini di ingiustificabilità dei sussidi (a imprese e persone fisiche) in forma di spesa fiscale:

 - 2.350 milioni di Euro/anno all’agricoltura in sole esenzioni a accise, imposte di registro, IMU, TASI e imposte sui redditi.

 - 10.150 milioni alla prima casa di proprietà (clamorosamente regressivi visto che lasciano all’asciutto tutti i non proprietari di case) computando l’esenzione IMU/TASI, quella IRPEF del reddito da fabbricati, gli sconti sulle imposte di registro al cambio di proprietà, la detrazione degli interessi passivi dei mutui ipotecari per acquistare o costruire l’abitazione principale. Una cifra che sopravanza di gran lunga le agevolazioni sugli affitti di circa 2.000 milioni (in buona parte in defiscalizzazione dei canoni) e che non comprende la spesa fiscale insita nell’obsolescenza delle rendite catastali, che oggi produce vantaggi ingiustificabili (e gravemente regressivi rispetto al reddito) ai possessori di immobili soggetti a IMU o TASI che si sono rivalutati di più rispetto alle rendite.

 - 850 milioni al trasporto commerciale su gomma in sole esenzioni alle accise sui carburanti fossili, cui si aggiungono sconti IRPEF per circa 50 milioni, sconti sui pedaggi e altre forme di sussidi.

 - 850 milioni di esenzioni alle accise su carburanti fossili ad agricoltura (inclusi nel totale di cui al primo punto di questo elenco) e pesca

- Esenzioni al trasporto aereo commerciale, che derivano da accordi internazionali e superano abbondantemente il miliardo/anno, non citate nello studio MEF.
- 650 milioni in altre facilitazioni d’accisa su carburanti e combustibili fossili a determinate zone o categorie di clienti per motivi perlopiù di sostegno a categorie o aree in difficoltà.

Nel campo della “competitività delle imprese”, come in altri campi, la spesa fiscale sembra a dir poco strabica: per esempio aiuta le piccole imprese e le imprese individuali con facilitazioni IVA per 1.050 milioni, mentre i grandi consumatori di energia ricevono aiuti in quanto grandi (computati nell’apposita sezione), aiuta poi le cooperative in quanto tali per 200 milioni.

 

4. Alcune possibili proposte

Omogeneizzazione aliquote IVA
Una revisione dell’IVA con soppressione dei regimi di vantaggio ridurrebbe effetti distorsivi scarsamente motivabili e permetterebbe un fortissimo recupero di gettito utilizzabile per la riduzione di altre imposte. In particolare l’aliquota ridotta al 10%, che si applica per esempio a ristoranti, hotel e trasporti, ha scarsissime ragioni d’essere in termini di politiche redistributive. Ipotizzando inelasticità della domanda dei beni sottesi e d’evasione – quindi con ipotesi decisamente grossolane – portare l’aliquota del 10% al 22% incrementerebbe il gettito di circa 25 miliardi. Più prudentemente, la Corte dei Conti [10], tenendo conto del moltiplicatore (negativo) sul PIL e dell’aumento dell’evasione, ha proposto di portare solo l’8% della base imponibile soggetta all’aliquota del 10% al 22%, con un effetto netto di aumento di gettito di 5 miliardi.

Reset dei sussidi
Se è vero che serve un intervento rilevante di riduzione della spesa e del debito da accompagnare anche a una riduzione delle tasse, un reset dei sussidi, in particolare di quelli alle aziende, anche in forma di spesa fiscale, è necessario. La concomitanza con una revisione generale al ribasso delle aliquote delle imposte renderebbe l’operazione politicamente più fattibile, perché si vedrebbe il vantaggio generalizzato a fronte della perdita di vantaggi per singole (benché tante e agguerrite) categorie.

Possibili famiglie di sussidi da ridurre o eliminare [11], in gran parte nella forma di spesa fiscale, sono:

Sussidi dannosi all’ambiente. Oltre 16 miliardi all’anno, identificati voce per voce nel Catalogo MATTM. Riguardano attività e imposte disparate, da agevolazioni IVA sull’uso di risorse ambientali a sconti su accise per produzione o consumo di elettricità. In qualche caso, come in quello dell’accisa di favore al gasolio rispetto alla benzina per autotrazione, che da sola vale 5 miliardi, le cifre vengono non da specifiche esenzioni ma da un’incoerenza secondo gli estensori nella fissazione di un’aliquota. Per recuperare la cifra quindi occorrerebbe non eliminare esenzioni ma armonizzare le aliquote. I sussidi di questa voce toccano particolarmente i settori trasporti, energia, agricoltura, sia tramite consumatori sia aziende. Oltre 4 mld/anno riguardano agevolazioni d’accisa nell’uso di combustibili fossili nel trasporto commerciale e nell’agricoltura e pesca e, per specificità e palese contraddittorietà rispetto ad altre politiche, potrebbero essere questi i primi da aggredire.

Sussidi all’abitazione principale (o alla “prima casa” nel caso di vantaggi a imposte di registro e altre imposte legate al trasferimento della proprietà), per oltre 10 miliardi/anno.

Sussidi alle aziende finalizzati alla competitività e alla riduzione del cuneo fiscale (almeno 13 mld/anno nel 2017 secondo il rapporto MEF) che potrebbero essere sostituiti da una riduzione generalizzata delle imposte, meno dirigista e distorsiva.


Note al testo: 

[1] Il MEF li quantifica il circa 900 milioni/anno nel rapporto spesa fiscale 2016 in termini di sola spesa fiscale, alla quale di aggiungono sussidi diretti e sussidi nel sistema tariffario autostradale.

[2] Giavazzi, Giarda, Flaccadoro (2013) – Vd note successive.

[3] In La lista della spesa, Feltrinelli, 2015.

[4] Catalogo dei sussidi ambientalmente favorevoli e dannosi, MATTM, febbraio 2017, disponibile qui: http://www.asvis.it/public/asvis/files/CatSussAmb_.pdf .

[5] Un esempio di come diversi sistemi fiscali possono comportare diversissime quantificazioni di SF pur con effetti finali simili è il confronto tra un sistema di tassazione dei redditi di persone fisiche che includa un’aliquota nulla per un primo scaglione con un altro con aliquota subito positiva ma forti voci di esenzione per esempio sui redditi da lavoro. Quest’ultimo tenderà a mostrare un’elevata SF pur in presenza di un’articolazione fiscale sui redditi da lavoro potenzialmente simile al primo.

[6] Dati OCSE e National Commission on Fiscal Responsibility and reform USA riportati nel working paper IMF Reforming Tax Expenditures in Italy.

[7] Capitoli 10 e 11 in Analisi di alcuni settori di spesa pubblica di Pietro Giarda (allora ministro dei rapporti col Parlamento) e Enrico Flaccadoro (consigliere della Corte dei Conti) http://www.irpa.eu/wp-content/uploads/2012/07/rapporto_spending_19.3.13.pdf

[8] Un sistema di oneri e perequazioni che generano la parte non di mercato delle bollette e sono regolati dall’Autorità dell’energia.

[9] L’elenco è di insiemi in alcuni casi sovrapposti, quindi i valori non sono del tutto sommabili.

[10] Dall’Audizione della Corte Dei Conti in Parlamento sul DEF 2016, aprile 2016

[11] Gli ammontari nell’elenco non possono essere sommati perché in parte si sovrappongono.