Beppe Grillo a destra, i parlamentari del Movimento 5 stelle a sinistra. A volerla sintetizzare per sommi capi, risiede qui la chiave della non episodica incomunicabilità tra Genova e Roma. Che la semplificazione sia grossolana non ci piove. Ma che la linea di frattura interna ad un movimento che si professa post-ideologico si collochi su un crinale tutto politico è un dato di fatto.

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L'ex comico rivendica con orgoglio il suo essere "populista". E su questa linea ha impostato, in vista delle europee, una campagna aspra nei toni ma più soft nei contenuti di quanto non si possa pensare. Critico nei confronti di un'eccessiva apertura delle frontiere all'immigrazione, molto cauto rispetto a indulto e amnistia, scettico nei confronti dell'euro e delle politiche di Bruxelles. L'obiettivo è quello di infilarsi nella diaspora del centrodestra, e sfilare quanti più elettori possibili alla galassia di Silvio Berlusconi.

Che, al contrario, l'estrazione della sua classe parlamentare sia tendenzialmente di segno opposto è dovuto alle modalità con cui è stata selezionata. In lista sono finiti i candidati non eletti nelle tornate amministrative tra il 2008 e il 2012. Un periodo nel quale, fatto salvo per le regionali in Sicilia, le 5 stelle viaggiavano su percentuali a una cifra. E la loro minore esposizione mediatica li portava a raggranellare consensi in tutti quei movimenti del No orfani di una interlocuzione con i partiti tradizionali.

Così Laura Castelli e Marco Scibona hanno saldato alle istanze grilline quelle dei No Tav, Giuseppe D'Ambrosio e Diego De Lorenzis le battaglie dei lavoratori dell'Ilva (con loro anche Alessandro Furnari e Giuliana Labriola, poi usciti dal Movimento) e le perplessità degli ambientalisti sul gasdotto Tap, Aris Prodani e Walter Rizzetto la contrarietà al rigassificatore di Trieste, Riccardo Nuti e la quasi totalità dei parlamentari siciliani la lotta contro il Muos di Niscemi. Oltre ai movimenti sul territorio, alcuni degli eletti a 5 stelle hanno avuto un passato di vicinanza (se non di militanza) con i partiti alla sinistra del Pd, da Rifondazione comunista a Sel. È stato questo il caso di Adriano Zaccagnini, ultralibertario di sinistra che ha fatto armi e bagagli accusando Grillo e Casaleggio di poca trasparenza e di metodi autoritari. Ma anche quello di Marta Grande, vicina negli anni dell'università alle associazioni studentesche riconducibili a Sel, o di Massimiliano Bernini, deputato di Vetralla che ha partecipato nel 2010 al "Comitato costituente" del partito di Nichi Vendola nella sua provincia, quella di Viterbo. Maria Mussini, eletta nella progressista Emilia Romagna, non nasconde la propensione al dialogo (si parla di un'antica amicizia fra la sua famiglia e quella di Romano Prodi). Quest'estate ha partecipato ad un confronto pubblico alla festa del Pd di Reggio Emilia. Accanto a lei sul palco Stefano Bonaccini, che di lì a poco sarebbe diventato prima coordinatore della campagna elettorale di Matteo Renzi, poi una delle figure forti nella segreteria del neo segretario del Pd. In molti sono rimasti affascinati dal populismo tribunizio di Antonio Di Pietro. Dall'attuale capogruppo al Senato, Parola Taverna, "accusata" nei meetup romani di aver fatto campagna elettorale in passato per un candidato dell'Italia dei Valori, all'ultra dissidente Lorenzo Battista.

Si contano sulle dita di una mano i parlamentari dal retroterra culturale legato al centrodestra. Nicola Morra, colto professore di filosofia già capogruppo a Palazzo Madama, non fa mistero di provenire da una famiglia le cui simpatie politiche pescano nell'altra metà dell'emisfero politico. Così come quella di Luigi Di Maio. Più di un suo collega, spendendo parole d'elogio per il piglio con il quale governa l'aula, aggiunge scherzando: "Si vede che è di destra". Così come parrebbe essere di destra il padre di Alessandro Di Battista, approdato su tutt'altri lidi anche dopo il suo girovagare in Sud America. Una gioventù nel movimento giovanile dell'Msi, alla Camera è noto il suo feeling con Giorgia Meloni ma, soprattutto, con Guido Crosetto, fondatori di Fratelli d'Italia.

Non ci si deve sorprendere se i punti di comunanza con la piccola borghesia produttiva e l'operaismo di tendenze reazionarie dei Forconi sono più d'uno. Perché se da un lato la pattuglia parlamentare si è impegnata, chi più chi meno, a prendere le distanze dalle piazze di metà dicembre, da un lato, su Facebook e nei meetup, molti attivisti hanno spostato la mobilitazione, dall'altra Grillo l'ha benedetta con l'ormai celebre post di invito alle forze dell'ordine a non schierarsi in difesa dei palazzi della politica. Una vicinanza frutto non tanto dell'estrazione politico-culturale di una minoranza dei parlamentari stellati, quanto al tentativo portato avanti dall'ex comico di competere con Forza Italia (che qualche giorno dopo ha messo nero su bianco: "I Forconi sono la nostra gente, dobbiamo difenderla") nel voto del ventre molle del centrodestra. Un ulteriore terreno scivoloso nel rapporto che lega Grillo e Casaleggio ai loro uomini in Parlamento. Due di loro, scesi in piazza con la protesta, si sono beccati un sonoro "vaffa".