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L'indipendentismo catalano - scrive oggi Marco Faraci su Strade - è la cartina al tornasole della crisi del vecchio "unionismo" continentale, che considera immutabili le appartenenze territoriali e discrimina strutturalmente le minoranze, proprio perché autorizza riforme costituzionali - a partire dalla più radicale di tutte: la secessione - solo in una logica nazionale. Su questa base si dovrebbe concludere che solo il riconoscimento della volontà di comunità territoriali sub-nazionali garantirebbe la democraticità del processo politico europeo, all'interno degli Stati membri e - suppongo - tra i diversi Stati membri.

E' una lettura suggestiva e generosamente illuministica non solo della vicenda catalana, ma in genere di tutte le forme di territorialismo politico che si vanno diffondendo in Europa, sia per ragioni storico-culturali, sia per interessi più propriamente economici. Tra poche settimane si voterà in Lombardia e Veneto un "referendum civetta" che, con un quesito irrilevante e anodino, aggira il divieto costituzionale di un pronunciamento apertamente indipendentista.

Molte delle ragioni reali che spingono la Catalogna all'indipendenza, spingerebbero probabilmente lombardi e veneti a prendere congedo dallo stato unitario italiano. E quanti altri fronti - altrettanto fondati e altrettanto legittimi se a far fede della "vera" volontà popolare è il voto a maggioranza di una minoranza territoriale - sarebbero destinati ad aprirsi in Europa? E dove si potrebbe porre il confine logico e giuridico alle pretese di indipendenza di una minoranza? Se il ruolo delle Corti costituzionali è naturalmente conservatore degli assetti esistenti, quale sarebbe il giudice deputato ad autorizzare l'innovazione?

Sono domande che molti dei fautori dell'indipendentismo cool e filo-europeistico della Catalogna continuano superficialmente a sottovalutare. A consigliare una maggiore prudenza mi sembrano in parte ragioni "realpolitiche", perché la stabilità politica europea è un problema di sicurezza, oltre che di diritto, e in parte ragioni "idealpolitiche", perché il fondamento dell'indipendentismo contemporaneo non è affatto - come è stato ad esempio per quello italiano - nella volontà di emancipazione dall'assolutismo politico e di affermazione della libertà civile; si tratta di un mero fenomeno di secessionismo istituzionale. O opportunistico, dal punto di vista economico. O tradizionalistico, dal punto di vista culturale. O entrambe le cose.

Il territorialismo secessionista è la riproduzione in sedicesimo, anche nei suoi dispositivi centralisti, del nazionalismo che vorrebbe combattere. Non è l'estremizzazione istituzionale del principio di sussidiarietà verticale fondato sulla prossimità della relazione tra amministrazione e amministrati. È praticamente il contrario: la collettivizzazione ideologica del problema dell'identità politica e dell'autogoverno. E non mi sembra avere allo stato né premesse, né prospettive liberali.

Per quanto stolida possa apparire - e sicuramente lo è stata - la resistenza di Madrid a forme di compromesso con le autorità di Barcellona, c'è poco da festeggiare nei movimenti della faglia catalana destinata a terremotare l'Europa.