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Accogliere, respingere, integrare, "si" ai rifugiati, "no" ai migranti economici: il dibattito pubblico sull'immigrazione si infiamma come se si stesse commentando decisioni pubbliche effettivamente prese da qualche decisore politico, nazionale, o europeo.

E così ormai questa tragedia somiglia sempre più a una folle commedia pirandelliana, perché in realtà sui migranti nessuna autorità pubblica, nazionale o europea è in grado di prendere decisioni di qualsiasi tipo, strategiche e concrete, né orientate all'accoglienza e all’integrazione, né al respingimento o al controllo dei paesi d'origine.

Al posto di strategie politiche legittime, ci sono le foglie di fico dei trattati europei sulla ripartizione - secondo il tipico schema istituzionale europeo, che consente a tutti gli stati membri di far finta di aver affrontato un problema e poi rimpallarsi le responsabilità quando emerge l'inutilità o l’inefficacia dell'iniziativa - e le decisioni tampone prese sull'onda dell’emergenza: le frontiere chiuse a Ventimiglia, gli eventuali porti chiusi italiani.

E' ridicolo discutere di "sì" o "no" rispetto a un problema qualsiasi, in un contesto dove istituzioni disfunzionali invece di consentire scelte legittime e relativa assunzione di responsabilità, sollevano in sostanza i decisori da qualsiasi effettiva accountability. In questa situazione di paralisi, in cui nessuno decide nulla e tutti giocano allo scaricabarile, le migrazioni procedono enormi, caotiche e incontrollabili come un qualsiasi fenomeno naturale.

Tanto vale aprire il dibattito sul prossimo uragano atlantico: chi è "a favore" chi "è contro", mi raccomando, argomentare bene con tutti i necessari distinguo morali, politici, economici e giuridici, perché è importante non buttarla in caciara populista.