beppe grillo

Quando ti condannano sei fuori. Quando non ti condannano, quando ti arriva un semplice avviso di garanzia, ma anche quando non avviene nulla di tutto ciò, se resti o se te ne torni a casa lo decide Grillo.

Tutto il nuovo 'Codice di comportamento del MoVimento 5 Stelle in caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie', eliminando il superfluo, si può riassumere nelle due righe che precedono. Sono il Garante del Movimento (vale a dire Beppe Grillo) e il Collegio dei Probiviri (che, come chiarisce il Regolamento, “è composto di tre membri, nominati dall’assemblea mediante votazione in rete su proposta del capo politico del MoVimento 5 Stelle”, cioè di nuovo su proposta dello stesso Grillo) che, compiendo “le loro valutazioni in piena autonomia”, decidono quando il comportamento di un eletto debba considerarsi “grave” (e quindi sanzionabile), “a prescindere dall’esito e dagli sviluppi del procedimento penale, anche in modo indipendente “rispetto ai fatti oggetto dell’indagine”, e perfino “a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale”.

A questa totale discrezionalità (mitigata solo dalla possibilità di ricorrere presso il Comitato d’Appello, “composto di tre membri, due nominati dall'assemblea mediante votazione in rete tra una rosa di cinque nominativi proposti dal consiglio direttivo dell'associazione MoVimento 5 Stelle ed uno dal Consiglio Direttivo dell'associazione medesima”: Consiglio Direttivo che a sua volta, perlomeno nell’atto fondativo dell’Associazione, era composto da Grillo, suo nipote e un commercialista) fanno eccezione soltanto le condanne, che fanno scattare automaticamente la presunzione di “gravità”.

Per tutto il resto decidono o Grillo, o persone comunque scelte su sua proposta o iniziativa. Il bello (o il brutto, fate un po’ voi) è che “il resto” comprende anche il caso del famigerato “avviso di garanzia”, utilizzato per decenni come strumento di gogna mediatica e politica contro gli altri e oggi ridotto al rango di fatto che “non comporta alcuna automatica valutazione di gravità dei comportamenti potenzialmente tenuti dal portavoce stesso”: circostanza, questa, che nella narrazione pubblica qualifica il nuovo codice di comportamento come “svolta garantista” del Movimento, alla faccia del fango gettato addosso all’universo mondo fino al giorno prima.

Senonché, si tratta di un garantismo perlomeno singolare. Da un lato ci si premura di valorizzare la presunzione di innocenza, calpestata senza il minimo scrupolo finché si trattava di attaccare gli esponenti della “vecchia politica” (Di Maio due anni fa tuonava “Per me ai politici non va applicata la presunzione di innocenza. È facendo i garantisti con i politici che abbiamo rovinato lo Stato Italiano”); dall’altro si rimette in capo a un unico soggetto una panoplia di decisioni arbitrarie così ricca e nutrita da configurare una situazione pressoché surreale, nella quale il garantismo finisce per diventare una specie di ciliegina su una torta che in realtà non esiste.

Impreparazione, dirà qualcuno. Ingenuità. Le solite alzate d’ingegno goffe e maldestre dei grillini. E invece no. Perché mi pare evidente che questa grottesca paccottiglia di garantismo e giustizialismo sia stata messa insieme con uno scopo preciso: consentire a Beppe Grillo di governare il Movimento saltando a pie’ pari l’inedito rischio rappresentato dalle indagini (pressoché inevitabili quando un partito aumenta di dimensione e assume incarichi di governo), al tempo stesso continuando a decidere in modo arbitrario cosa si debba considerare grave e cosa no, quali peccati siano veniali e quali mortali, cosa vada sanzionato e cosa invece si possa perdonare. E quindi, in ultima analisi, chi tenere dentro e chi sbattere fuori.

Nessuna svolta, dunque, ma al contrario la prosecuzione naturale di quello che in un modo o nell’altro sapevamo già. Decide Grillo. Il resto è aria fritta, anche se divisa in articoli e commi.

@metilparaben