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Maggiore velocità ed efficienza del procedimento legislativo attraverso l'eliminazione del bicameralismo perfetto: questo era uno dei cavalli di battaglia del fronte del SÌ al referendum. Eppure il SÌ si è guadagnato la fiducia soltanto del 41% degli italiani.

Al netto quindi dei dati e delle analisi, certamente corrette, che si leggono fin da domenica sera in merito alle preferenze di voto suddivise per cluster di popolazione (giovani/non giovani, alta/bassa istruzione, nord/sud ...) e che puntano tutte a spiegare la vittoria del NO come successo del voto di protesta e malcontento generalizzato contro la politica e contro il governo come centro del sistema politico, la domanda meno ovvia da porsi forse è la seguente: chi nel fronte del NO non ha votato di pancia, come suggerito da alcune parti politiche, ma ha votato di testa, guardando al merito della riforma, perché l’ha bocciata?

È una domanda che ha senso porsi, perché, se è certamente vero che il fronte del NO è stato politicamente egemonizzato e rappresentato dal volto di Grillo e Salvini e dalle loro piattaforme politiche, è anche vero che a votare NO sono state molte personalità della nostra vita politica e sociale e milioni di cittadini che non hanno votato e non voteranno mai né per la Lega né per il M5S e che hanno criticato la riforma proprio nei suoi aspetti di merito e il premier per il modo troppo spregiudicato con cui ha cercato di raccogliere consenso su di essa.

La risposta a questo "perché" è: proprio la riforma non ha convinto ed è la sua "promessa" a non essere apparsa persuasiva. E se non ha convinto, gran parte della responsabilità è nella scarsa forza di quello che sembrava il principale argomento dei suoi sostenitori, cioè l’eliminazione del bicameralismo perfetto come fattore di maggiore efficienza istituzionale e responsabilità politica.

Sia chiaro: è vero, come ha documentato il fronte del SÌ, che in Europa prevalgono regimi monocamerali, in quelli bicamerali l'elettività della seconda Camera riguarda una minoranza di Paesi e l'uguaglianza dei poteri tra Camera e Senato rappresenta praticamente un unicum italiano. Quel che non è apparso vero anche a chi ha votato in modo più consapevole e meno di pancia è che fosse questa anomalia istituzionale la causa principale dell'anomalia politica italiana, della lentezza del processo legislativo e dell'incapacità dei partiti di decidere in modo tempestivo e responsabile sui temi di governo.

Dato che gli italiani sarebbero per la maggior parte inclini alla riduzione del numero dei politici, possiamo ben capire come dietro alla scelta di schierarsi dalla parte opposta – chi ha votato NO ha implicitamente scelto di mantenere il numero attuale di rappresentanti in Parlamento - debba esserci una motivazione ancor più forte del malcontento verso la classe politica e i suoi privilegi. E, cercando ancora di darci una spiegazione per questa scelta, si può ipotizzare che i contrari alla riforma non vedano l'ostacolo all’efficienza del procedimento legislativo nel bicameralismo perfetto, bensì nella mancanza di una forte volontà politica di chi ci governa. E questa spiegazione non manca di riscontri e di prove nella nostra vita istituzionale. Facciamo alcuni esempi concreti.

Il ddl sulla legge annuale sulla concorrenza (che dovrebbe essere approvata, appunto, annualmente, ed è stata invece annualmente non-approvata, dalla data della sua istituzione nel 2009 - art. 47, l. 23 luglio 2009, n. 99) è ormai "spiaggiato" da più di un anno al Senato. Presentato il 3 aprile del 2015 dall’allora Ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, il disegno di legge è stato approvato, con modifiche, dalla Camera dei Deputati a ottobre 2015 e trasmesso al Senato. Dopo più di due mesi di audizioni informali e quasi un anno di trattazione in Commissione Industria, il disegno di legge si è arenato in aula al Senato dall'agosto 2016.

La lista infinita di audizioni effettuate e le continue proroghe dei termini per gli emendamenti ed i subemendamenti in Commissione dimostrano come il testo di legge sia stato oggetto di numerose pressioni e veti, come è normale che sia data la sua importanza. La volontà della maggioranza, che sostanzialmente decide la programmazione dei lavori in Parlamento, è stata chiara fin dall’arrivo del provvedimento in aula al Senato: congelarlo fino all’esito del referendum a causa di numerose questioni politicamente troppo spinose da affrontare in un momento così delicato di campagna elettorale.

E questo è soltanto un esempio di provvedimenti che, ad un certo punto del loro iter, sembrano finire su un binario morto. Se ne potrebbero fare anche a "camere invertite": il disegno di legge sull'eleggibilità e incompatibilità dei magistrati rispetto a cariche politiche, approvato al Senato a marzo del 2014, è arenato da allora presso la Commissione giustizia della Camera. Ad averlo fermato non sono state le complicazioni burocratiche della "navetta", ma ragioni del tutto politiche (i rapporti con la magistratura associata, la fine del Patto del Nazareno, ecc. ecc.).

Insomma: la lentezza del procedimento legislativo, le trappole e le strade senza uscita in cui finiscono molte leggi sono davvero solo un prodotto del bicameralismo, o non sono anche un prodotto della debolezza della politica, dalla sua inclinazione a finire catturata nel sistema dei veti incrociati? Utilizzando un termine molto in auge in questi tempi, possiamo risponderci così: non sarà forse un… "combinato disposto" fra i due?