Corte costituzionale

L'idea che tutte le forze politiche italiane aspettino che sia la Corte Costituzionale a risolvere il problema del sistema elettorale con cui si voterà alle prossime elezioni di Camera e Senato non è solo politicamente irresponsabile, ma istituzionalmente idiota.

Non avendo i partiti (parola grossa) in Parlamento né voglia, né modo di compromettersi con un accordo - perché qualunque accordo nella neo-lingua antipolitica è degradato ad "inciucio" e il segno della purezza e della diversità è il disaccordo permanente, l'incomunicabilità, l'autoreferenzialità paranoica di monadi che rifiutano in ogni modo di fare sistema, per non essere confuse col "Sistema" - allora tutti, nessuno escluso, si accordano solo per buttare la palla nel cortile della Consulta perché sia lei a risolvere il problema.

La Corte, però, in teoria dovrebbe solo dire se alcune parti dell'Italicum sono incostituzionali o no, ma non dovrebbe essere chiamata a uniformare i sistemi elettorali di Camera e Senato, per scongiurare il rischio che in un sistema bicamerale paritario i due rami del Parlamento siano eletti con due meccanismi incoerenti o addirittura opposti. Chi oggi dice che "bisogna aspettare la sentenza della Corte", non rende omaggio alla Consulta ma istituzionalmente la obbliga a trovare una soluzione politica a un problema politico.

Negli scorsi anni abbiamo sperimentato, proprio con la sentenza sull'Italicum, i rischi di un inedito interventismo della Corte sulla materia elettorale e della costituzionalizzazione giurisprudenziale di una serie di principi (in materia di voto di preferenza o di premio di maggioranza, ad esempio), che pare arduo rintracciare sulle pagine della Carta. Con la riforma Renzi-Boschi si era perfino stabilito il principio del sindacato preventivo della Consulta sulla materia elettorale. Ma adesso stiamo passando dal riconoscimento di una discutibile primazia all'imposizione di un'intollerabile corvée.

Il No ha lasciato in piedi un Senato elettoralmente retto dal cosiddetto Consultellum, cioè dal sistema elettorale derivante dalla pronuncia della Consulta sul Porcellum. Un sistema proporzionale con preferenze, a base regionale, senza premio di maggioranza, con in sistema di sbarramenti differenziati: al 3% per forze che appartengono a coalizioni che superano complessivamente la soglia del 20%, all'8% negli altri casi. Quel che oggi si chiede e in qualche modo si "intima" alla Corte di fare, dichiarando l'incostituzionalità dell'Italicum, è di allineare il sistema della Camera a quello del Senato: via il ballottaggio, via il premio di maggioranza (anche in caso di superamento del 40% al primo turno), via i capilista bloccati. Così ne deriverebbe un sistema proporzionale con preferenze a base nazionale, con sbarramento fisso al 3%, in qualche modo compatibile con quello di Palazzo Madama.

L'incostituzionalità dell'Italicum è diventata una vera e propria necessità politica. La Consulta non può decidere altrimenti senza gettare la democrazia italiana nel disordine più completo, visto che il Parlamento si ostina a essere uno specchio e non un argine a questo disordine. Perfino il PD, che fino a domenica ha difeso la riforma costituzionale in base al principio che una democrazia rappresentativa, per non dissolversi nell'assemblearismo rissoso, deve essere governabile e governante, sembra rassegnato a prendersi una rivincita sul voto referendario con una mera conta proporzionale il più presto possibile nel voto politico, appena la Consulta spiattella la sentenza di fatto commissionata.

Sembra sospettabile di "inciucio" anche la ricerca di una legge elettorale che non secondi la deriva nichilista della democrazia italiana e non porti all'assurdo di un sistema in cui, alla fine, nessuno governa non solo il Paese, ma neppure il Parlamento. Il massimo della democrazia coincide con il massimo del casino istituzionale, e viceversa. Così tutti rendono un umiliante omaggio all'egemonia culturale grillina.

@carmelopalma