Holodomor 2

È stato l’ex Presidente Viktor Yushchenko, anatra zoppa a livello politico per la sua incapacità di riformare l’Ucraina dopo la Rivoluzione Arancione ma molto attivo nel far conoscere la storia del suo Paese, a istituire il giorno della Memoria per le vittime del Holodomor. A partire dal 2008 ogni anno, il quarto sabato di novembre, l’Ucraina e la diaspora ucraina in tutto il mondo commemorano lo sterminio per fame di milioni di contadini avvenuto all’inizio degli anni Trenta.

Il primo a squarciare il velo di silenzio che regnava su questo crimine dell’URSS di Stalin, forse la più sconosciuta delle grandi tragedie del Ventesimo secolo, fu lo storico statunitense Robert Conquest con il suo saggio Harvest of Sorrow, uscito in Inghilterra e negli Stati Uniti nel 1986, pubblicato in Italia con il titolo Raccolto di Dolore solo nel 2004. Ettore Cinnella, storico italiano che nel 2004 curò la postfazione di Raccolto di Dolore, sottolinea come lo studioso inglese, tra i massimi esperti di stalinismo, sia stato il primo a scrivere un resoconto completo di una delle pagine più drammatiche della storia moderna.

“Conquest ebbe il grandissimo merito di squarciare il velo del silenzio su quei fatti atroci, il cui ricordo era tenuto vivo solo dalla diaspora ucraina. Il mondo accademico internazionale, dominato da storici indulgenti verso il comunismo sovietico, preferiva ignorare l’evento; e, infatti, i dotti bacchettarono con sussiego (tranne poche eccezioni) il sovietologo che aveva osato mettere a nudo le indicibili atrocità della collettivizzazione e il castigo inflitto alla nazione ucraina”.

In Italia il primo volume pubblicato sul Holodomor, termine ucraino composto da due parole, holod – carestia, fame – e moryty – uccidere, è stata la raccolta di rapporti inviati dal 1932 al 1933 dai diplomatici italiani in URSS a Mussolini, Lettere da Kharkov (1991), curata dallo storico Andrea Graziosi. Questi dispacci, rinchiusi negli Archivi di Stato italiani per cinque decadi senza che nessuno si prendesse la briga di esaminarli, fotografano lucidamente gli eventi terribili della collettivizzazione e della carestia che causarono la morte di milioni di ucraini.

In un intervento al Convegno La morte della terra. La grande “carestia” in Ucraina nel 1932-33 tenutosi a Vicenza nell’ottobre 2003, Andrea Graziosi afferma che i documenti dei rappresentanti diplomatici italiani in Urss sulla carestia del 1932-33, rinvenuti nell’archivio del Ministero degli Esteri, “hanno radicalmente mutato la mia comprensione della storia sovietica e anche il modo in cui guardo al secolo passato”. “Alla luce del 1932-33 quel sistema ci appare, almeno per una fase della sua storia, come un vero e proprio “impero del male”: più che come un “totalitarismo” ideologicamente teso a conquistare e rifondare le coscienze, un impero i cui dirigenti sono condannati senza appello dal loro coinvolgimento in crimini contro l’umanità di portata straordinaria”.

In tempi recenti la letteratura italiana sul Holodomor si è arricchita di altri importanti contributi. Dopo la pubblicazione anche nel nostro paese del libro di Conquest da parte di Liberal Edizioni, nel 2015 è stata la volta del saggio di Ettore Cinnella Ucraina. Il genocidio dimenticato 1932-1933 e quest’anno del romanzo di Vasyl Barka Il Principe Giallo che racconta la lenta agonia che accompagna i componenti della famiglia Katrannyk in un villaggio dell’Ucraina centro-orientale nel terribile 1933.

Ma torniamo al libro di Cinnella, concepito dal sovietologo italiano con il dichiarato scopo di far conoscere una delle massime tragedie del mondo contemporaneo a una platea più vasta di quella rappresentata dal mondo accademico. La conoscenza di questo genocidio sociale e nazionale costituisce infatti sorta di conditio sine qua non per comprendere i profondi sentimenti del popolo ucraino. Scrive l’autore nell’introduzione: “La tragedia del holodomor non è soltanto una fosca pagina di storia, appartenente al passato e ormai archiviata. Essendo assurta a doloroso simbolo del riscatto nazionale dell’Ucraina, essa dev’esser conosciuta anche da chi vuol capir qualcosa dei sentimenti più profondi di quel popolo”.

Il volume, che esce a distanza di trent’anni dalla pubblicazione di Harvest of Sorrow, si avvale di una corposa documentazione dovuta all’apertura degli archivi dell’URSS un tempo non disponibili. L’enorme mole di documenti consultati da Cinnella, inaccessibili a Conquest, ha reso possibile la ricostruzione dei fatti nei dettagli, cogliendo le motivazioni e i retroscena che portarono al Holodomor e soprattutto ha permesso di valutare con maggior esattezza il numero delle vittime.

Il libro, unendo rigore filologico, profondità dell’analisi storica e sintassi fluida e scorrevole, si rivela testo imprescindibile per chi in Italia voglia approfondire una delle pagine più aberranti dello storia sovietica.

Nei primi due capitoli, La tragedia negata e L’irruzione della verità, Cinnella affronta le interessanti, e per certi versi attualissime, questioni relative al negazionismo e all’editoria della manipolazione. Il caso più noto e clamoroso fu quello del corrispondente da Mosca del New York Times Walter Duranty, che grazie ai suoi servizi apologetici sull’URSS di Stalin conseguì addirittura il Premio Pulitzer per il giornalismo.

Duranty, nonostante fosse a conoscenza della carestia artificiale organizzata da Stalin per piegare la resistenza dei contadini che si opponevano al processo di collettivizzazione, nell’articolo Russians Hungry but not Starving che gli valse il prestigioso premio scriveva: “non c’è di fatto inedia, né ci sono morti per inedia, ma una diffusa mortalità per malattie dovute a malnutrizione”. Atteggiamento simile fu adottato dal celebre accademico di Cambridge Edward H. Carr, che, dopo aver parlato nel 1933 di “presunta carestia” in Ucraina, nelle decadi successive alla tragedia scrisse libri in cui glorificava il sistema sovietico. Carr, diplomatico di formazione, conservatore britannico, inizialmente avversario del socialismo, era un uomo colto e cinico che venerava i rapporti di forza e rispettava i vincitori.

Nei capitoli successivi Cinnella ricostruisce con dovizia di particolari le diverse fasi che dal 1929 al 1933 accompagnarono il progetto staliniano di collettivizzazione delle campagne. “All’inizio degli anni Trenta, decine di milioni di persone videro sconvolte le loro abitudini di vita e di lavoro, trasformandosi nel materiale umano di una colossale opera d’ingegneria sociale diretta dall’alto la quale, per celerità d’attuazione e brutalità, non ha forse eguali nella storia umana”. La guerra contro le campagne, dove viveva e lavorava la stragrande maggioranza della popolazione, iniziò nel 1929 e si concluse nel 1933 con il completo assoggettamento dei contadini ridotti a servi della gleba.

“La grande carestia in Ucraina fu il momento culminante, con tratti peculiari, di una assai più vasta tragedia, che dobbiamo rievocare negli aspetti essenziali per capire il holodomor”. Il processo di collettivizzazione delle campagne e la contestuale industrializzazione forzata, finanziata attraverso la confisca del grano, venduto in Occidente in cambio di valuta pregiata, durò cinque anni e fu accompagnato da una momentanea tregua nella primavera-estate del 1930. Stalin, dopo aver incoraggiato eccessi di ogni genere, facendo ricadere la colpa sui membri locali del partito, ossia su coloro che erano incaricati di gestire le operazioni di sequestro del grano, ne ordinò la fine momentanea.
Ma pochi mesi più tardi, nell’autunno del 1930, iniziò la seconda brutale offensiva affidata a Molotov e Kaganovich, forse gli unici due uomini del Partito di cui Stalin si fidava ciecamente.

Mentre l’adesione di Molotov alla linea politica del capo nasceva “dal fermo convincimento che essa fosse giusta e andasse attuata ad ogni costo”, la fedeltà di Kaganovich era quella di un umile plebeo la cui vertiginosa carriera politica era dovuta principalmente all’atteggiamento di cieca fedeltà e di assoluta obbedienza al capo supremo. “La sconfinata ammirazione per colui che considerava insieme capo e maestro, unita ad energiche doti organizzative e ad una volontà ferrea, facevano di Kaganovič l’uomo di cui Stalin necessitava per attuare la sua politica”.

Prima di descrivere minuziosamente le fasi finali della guerra contro i contadini ucraini Cinnella analizza l’opposizione a Stalin all’interno del Partito del marxista-leninista Ryutin e il ruolo della Polonia che, abitata da una forte minoranza ucraina, seguiva con attenzione le vicende interne sovietiche.

Sia Ryutin, che aveva diretto l’opera di collettivizzazione in Kazakhistan e in Siberia ed era a conoscenza delle violenze e degli orrori della collettivizzazione, sia l’uomo forte di Varsavia Piłsudski rappresentavano due serie minacce alla politica staliniana. Il dittatore sovietico provvederà a fare arrestare il primo nel 1932 e a siglare con il secondo il 27 novembre dello stesso anno un patto di non aggressione sovieto-polacco. Messa a tacere l’opposizione interna e scongiurato il pericolo di un’invasione polacca, Stalin intraprese un’implacabile guerra contro le campagne e contro l’intellighenzia nazionale ucraina.

“Era una guerra all’ultimo sangue, che non poteva più concludersi con un compromesso, ma con una chiara vittoria dell’una o dell’altra parte belligerante: o con il ritorno al NEP (e l’inevitabile crisi nel partito) o con la salda instaurazione dell’ordinamento servile (sotto forma di fattorie collettive)”.

Milioni, almeno 4 secondo le stime più recenti, furono coloro che morirono a causa delle deportazioni, della mancanza di viveri, della deprivazione fisica e dei suicidi.

Il Holodomor fu dunque un genocidio sociale perché decimò gli agricoltori ucraini e le loro tradizioni culturali e religiose trasformandoli in servi della gleba. Ma, sottolinea Cinnella, fu “anche un genocidio nazionale, perché Stalin voleva estirpare l’identità ucraina, debellare l’intellighenzia ucraina (custode della memoria storica della nazione) e assoggettare lo stesso partito comunista ucraino, reputato infido e disubbidiente”.